Iniziamo con il dirvi cosa è la paposcia. Trattasi di un pane focaccia tipico della zona del Gargano che nasceva dall’esigenza di verificare se la temperatura del forno per la cottura fosse quella giusta.
Dall’elevato impasto usato per fare le pagnotte di pane si utilizzava la pasta che rimaneva attaccata alla Madia, luogo anticamente usato per la lievitazione. Questa veniva raccolta, impastata e allungata con le mani fino a 20-30 cm.
Poi la si poneva in forno per pochi minuti, prima che vi entrassero le pagnotte di pane. La buona cottura di questa pasta, la Paposcia, indicava la buona riuscita del pane e questa striscia di massa lievitata non veniva buttata, anzi una volta tagliata a metà, era condita con un filo d’olio, formaggio fresco locale, e diveniva un piatto tipico del Gargano, eccezionale, frutto di quelle Antiche Tradizioni contadine che oggi Slow Food ha deciso di celebrare con la creazione di un presidio.
Normalmente in Puglia la paposcia viene fatta con la farina di tipo 00 e con olio d’oliva, cotta al Mattone con forno a legna per circa 4 minuti, con fiamma viva e da decenni ci si domanda se vada considerata come pane, focaccia, pizza o un prodotto speciale che non rientri in nessuna di queste categorie.
Nel nostro caso Filippo Crippa Dolomieu, di cui abbiamo recentemente parlato (link) ha deciso di cimentarsi nella rivisitazione di questa pseudo-focaccia, interpretandola secondo la cultura gastronomica trentina, proponendocene una versione interessante e sfiziosa che non sminuisce in alcun modo il prodotto originale.
Innanzitutto l’impasto fatto con segale trentina macinata a pietra e grano germinato a lunga maturazione. Il ripieno è un mix tra materie prime tipiche di questi luoghi come manzo marinato e olio del frantoio Riva del Garda ed eccellenze italiane come la bresaola, la mozzarella di bufala campana e il pomodoro datterino.
Perfetto l’abbinamento ad una bolla di queste parti, un buon Trento Doc.