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L’INTERPRETAZIONE DEL COLLIO NEI BIANCHI DI GRADIS’CIUTTA

In questo mondo, virtuale per necessità, fa piacere trovare tanta concretezza nelle parole di un produttore sui generis, uno che la vigna la sa ascoltare, capire, interpretare.
Collio: quante volte avrete sentito parlare di questo territorio estremo, spinto ai confini carsici, rinomato per vini di grande spessore, vibranti e ricchi di tensione.
Una delle poche zone ove il Sauvignon Blanc naturalizzato italiano riesce a trovare clima e terreno ideale per non cadere nelle banali “versioni officinali” proposte dal mercato.
Robert Princic, a lungo presidente del Consorzio Tutela Vini del Collio, ha cominciato da una importante eredità lasciata dai progenitori; tuttavia ha saputo metterci anche del suo, perché imbottigliare prodotti di qualità richiede un preciso progetto identitario.
Prima suo nonno, poi suo padre, avevano acquistato alcuni terreni per produrre uva che poi vendevano a terzi. Robert nel 1997 fresco di studi enologici decise di creare un proprio brand per il territorio.

Il nome Gradis’ciutta, vuole essere un omaggio alla storica località ove crescono i filari migliori.


Ben 25 ettari vitati, che spaziano da nord a sud, sulle morbide colline ad anfiteatro nei Comuni di San Floriano del Collio, Gorizia, Capriva del Friuli e Dolegna del Collio. L’essenziale per Robert è cercare una sorta di parcellizzazione e conseguente microvinificazione, nella quale ogni areale possa specchiarsi e riconoscersi.
Il Collio, prima zona del Friuli Venezia Giulia ad ottenere la Denominazione di Origine Controllata, è incastonato tra il fiume Isonzo, il fiume Judrio e la corona delle Alpi Giulie; nel 1964 è stato uno dei primi Consorzi di tutela vini a nascere in Italia, ed il primo in Friuli Venezia Giulia.


Il segreto di tanto successo si chiama “Ponca“, una sorta di terreno misto ed essenzialmente povero, costituito da marne silicee e marne argillose, talvolta addirittura sterili. Grazie alle sue buone capacità di drenaggio, trattiene al proprio interno delle ridotte quantità di acqua e di minerali utilissimi, fondamentali nei momenti di siccità e di temperature particolarmente elevate.

Non è un caso quindi che il disciplinare della DOC preveda vini provenienti esclusivamente da uve cresciute al di sopra dei 50 metri s.l.m.


Con l’annata 2018 Gradis’ciutta ha ottenuto la certificazione biologica, frutto della costanza e di 10 anni di lavoro incessante.

Ribolla Gialla, Malvasia Istriana e Friulano sono i tre rinomati autoctoni che Robert produce in assoluta purezza, oltre una Riserva rara per l’esiguo quantitativo, che vuole accomunarli in un unico prodotto.
Si spera in futuro possa essere fatta anch’essa da monovitigni, come le rispettive versioni base.


Veniamo all’assaggio dei vini proposti, ripromettendomi di visitare l’azienda pronta ad ospitare i futuri avventori in un bellissimo relais. I tempi, si spera, possano maturare come le migliori annate.


Collio Malvasia 2019: mi sono davvero divertito lo ammetto! A onor del vero, bisogna precisare che si tratta di Malvasia Istriana che spesso sa riservare anche altrove emozioni sorprendenti. Non è ancorata su aromaticità imperanti, anzi. Stupisce per note più morbide, di gelsomino, foglia di pomodoro e mela golden matura. Tutto estremamente candido e non agrumato, dal finale persino speziato di pepe bianco e macis. Si beve che è una bellezza.


Collio Pinot Grigio 2019: un internazionale ormai davvero di casa. Più “realista del re” si direbbe, con quel color giallo acceso dai riflessi ramati e tipica neutralità olfattiva. Non siamo a livello della celebre neutralità svizzera quando si tratta di guerra; parliamo piuttosto di note amalgamate e soffuse, di erbe officinali (timo e rosmarino), unite a lime e cedro. Chiude in bocca su energiche sensazioni salmastre.


Collio Friulano 2019: tralasciamo l’inutile disquisizione sulla battaglia legale, nella quale il vitigno di marca friulana ha avuto la peggio dovendo subire un nuovo nome. Pazienza, a mio avviso è stato un vantaggio nel medio/lungo termine per i produttori. Nel breve capisco possa aver creato non pochi problemi verso il consumatore finale. Eppure qui siamo davvero di fronte al meglio che il terroir riesce ad offrire: equilibrio tra muscoli potenti, rivestiti da un delizioso abito da grande soirée. Fiori di acacia, lavanda e guarrigue sull’onda lunga finale. Melone cantalupo, salvia, foglia di tè e mandorla al sorso. Perfetto.


Collio Sauvignon Blanc 2019: il bosso c’è, ma non si sente. O meglio non è così focalizzante se si pensa alle scorze di cedro, alle note di zagara e ginestra, ad una mineralità disarmante che rende l’assaggio molto verticale e poco masticabile. Curioso per avere un corredo alcolico di 14 gradi praticamente impercettibile. Chi avesse dei dubbi che utilizzare vitigni internazionali possa essere solo una logica commerciale..lo assaggi adesso o taccia per sempre.


Collio Riserva 2016: l’unico che fa passaggio in legno. Un’idea in cui Princic crede molto, forse il sottoscritto un po’ meno, almeno non in questa fase di gioventù. Molta camomilla appassita, con un tocco di vanillina e rimembranze di formaggio brie, nocciola tostata, basilico. Ovvio che il legno sia ancora troppo presente, bisognerà attendere la giusta evoluzione. Nota positiva una buona freschezza di beva al sapor di arancia tarocca, decisamente ravvivante.
Collio on my mind.

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Scritto da

Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.

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