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LA TRILOGIA DI TOMMASI: BRUNELLO, AMARONE E AGLIANICO DEL VULTURE

Una certa tendenza del vino italiano, che ha avuto importanti pionieri ma si è consolidata solo negli ultimi dieci anni, vede sempre più spesso aziende di medie-grandi dimensioni tentare di diversificare il proprio portfolio, cercando e acquisendo tenute e terreni nelle zone storicamente più vocate del vigneto dello Stivale. Una strategia pensata soprattutto in funzione dei mercati esteri, sempre più decisivi per i bilanci.

È il caso dei Tommasi che, partiti nell’ormai lontano 1902 dalla Valpolicella veronese, dopo l’ingresso in azienda della quarta generazione, vent’anni fa, hanno dato il via al loro personale Risiko. Oggi gestiscono un parco vigne di 600 ettari in cinque diverse regioni: la Tenuta Caseo nell’Oltrepò Pavese, il Podere Casisano a Montalcino, Poggio al Tufo nella Maremma toscana, la Masseria Surani a Manduria, in Puglia, e infine (forse l’acquisizione più prestigiosa) Paternoster di Barile, nella Basilicata del Vulture. La produzione totale supera i tre milioni di bottiglie, vendute per il 90% (appunto…) all’estero.

Alcuni giorni fa il progetto Tommasi Family Estates ha presentato a Roma, nell’insolita ed eccentrica sede dell’hotel G-Rough, la “Trilogia di Emozioni”, ovvero le edizioni più recenti (annata e riserva) di Amarone della Valpolicella, Brunello di Montalcino e Aglianico del Vulture, presentate dagli enologi che le seguono in prima persona, rispettivamente Giancarlo Tommasi, Emiliano Falsini e Fabio Mecca. Ecco i nostri riscontri.

Amarone Tommasi


TOMMASI
. Tutto nasce nel 1902, quando il capostipite Giacomo Battista Tommasi rileva un piccolo vigneto nella Valpolicella Classica. La prima bottiglia di Amarone è datata 1959. Oggi gli ettari vitati di proprietà sono oltre 200, di cui la metà in Valpolicella, dove si trova anche il quartier generale dei Tommasi, a Pedemonte. I principali cru sono la Groletta e la Conca d’Oro (età media vent’anni), da cui si ricava l’Amarone classico, e il Ca’ Florian (trent’anni e oltre) che dà le uve per la riserva.

Amarone della Valpolicella Classico 2013 (50% Corvina, 30% Rondinella, 15% Corvinone, 5% Oseleta). Appassimento di tre mesi nelle arele di bambù, poi tre anni di affinamento in botti di rovere di Slavonia da 35 ettolitri. Leggera ma insistita traccia vegetale al naso, poi ciliegia, tostatura, spezie e note balsamiche. Al palato evidenzia buona acidità per la tipologia e un tannino ben estratto. Bel vino, che evita le derive più esibizionistiche (leggi dolcezza e concentrazione) dell’Amarone; gli manca giusto un po’ di scatto in chiusura.

Amarone della Valpolicella Classico Riserva 2010 – Ca’ Florian (Corvina 75%, Corvinone 20%, Rondinella 5%). Appassimento di 100 giorni, fermentazione sulle bucce per 30 giorni, poi affinamento di quattro anni, il primo in tonneaux da 500 lt., gli altri tre in botte grande. All’olfatto bel mix di note ematiche e balsamiche (menta in primo piano), poi amarena schiacciata e cioccolato fondente. Ottimo alla gustativa, fresco e scattante, per nulla appesantito dalle note dolci di frutta matura molto frequenti in zona, tannino morbido ma equilibrato da una piacevole corrente di salinità che rimane a lungo, affiancata dalle spezie del rovere. Bel conseguimento.

Brunello Casisano

CASISANO. La tenuta si trova nella zona sud della denominazione, tra Sant’Angelo in Colle e l’Abbazia di Sant’Antimo, a 480 mt. s.l.m. Le vigne, che raggiungono i 22 ettari con i nuovi impianti, sono esposte a sud-est e circondate da boschi e oliveti. L’età media delle vigne di Sangiovese Grosso è di trent’anni.

Brunello di Montalcino 2013. Macerazione sulle bucce per 25 giorni, poi affinamento di tre anni in botte grande. Profumi di ciliegia, sottobosco, tabacco, alloro, è terroso e balsamico. Sorso di buona freschezza e sapidità, tannino ancora un po’ graffiante, leggero alcol in esubero. Discreta la persistenza su toni speziati.

Brunello di Montalcino Riserva 2012 – Colombaiolo. Prende il nome dall’omonimo cru, 1,8 ettari esposti a pieno sud. Stessa procedura per la fermentazione, malolattica in legno, rimontaggi e délestages, affinamento in botti da 18 e 25 ettolitri per quattro anni. Naso prepotente, balsamico e tostato, sfumature di salsedine e macchia mediterranea, frutta rossa matura in secondo piano; in bocca la struttura non è enorme come spesso accade con le riserve giovani, anzi è perfino troppo snella per l’annata, il tannino è molto educato e favorisce la beva, la persistenza è elegante.

Aglianico Paternoster

PATERNOSTER. Una delle prime aziende a imbottigliare l’Aglianico del Vulture, nel 1925, deve la sua fama al  Don Anselmo negli anni ’80 e il Rotondo negli anni ’90. L’attuale enologo, Fabio Mecca, è nipote di Vito, e saggiamente i Tommasi hanno lasciato a lui e a Vito Paternoster il timone dell’azienda. Venti ettari in tutto sulle pendici del vulcano Vulture, vicino Potenza, spento circa 100 mila anni fa, a un’altezza di 500-600 metri. s.l.m.

Aglianico del Vulture Rotondo 2013. Annata molto regolare, anzi secondo l’azienda “spettacolare”. È ricavato da uno dei gran cru del Vulture, Villa Rotondo, e ha rappresentato fin dall’esordio un tentativo di interpretazione “moderna” di un vino di solito molto scontroso in gioventù. Quindi malolattica, 14 mesi in barriques nuove in prevalenza, e poi un altro anno in vetro. Questo esemplare profuma di amarena ed erbe aromatiche, ha toni ematici e selvatici molto pronunciati, ma anche di spezie orientali e camino spento. Di grande struttura, il sorso è quasi sollevato dall’acidità caratteristica del vitigno, risultando così in un equilibrio quasi perfetto, coniugando potenza e finezza. Miglior assaggio della giornata per chi scrive.

Aglianico del Vulture Don Anselmo 2013. Prodotto dal 1985, è ricavato da una selezione quasi maniacale delle vigne più vecchie, con macerazione di 15 giorni e frequenti rimontaggi e follature. Matura per metà in botte grande, l’altra metà in barrique, poi altri 12 mesi di vetro. Naso meno esplicito del Rotondo, fior d’arancio, pasticceria, poi emerge lentamente un lato sottile di ferro e sangue e una sfumatura boisé; al gusto è complesso ma fresco, con una robusta lama di acidità che attraversa tutto il sorso, tannino monumentale ma di buona finezza. È giovane, come evidenziato dalle note speziate del rovere, ma dimostra già una bella spinta e un finale promettente.

 

 

Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…

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