Blade Runner è un film che vanta un nutrito numero di appassionati. Arriva nelle sale nel 1982, dopo qualche decennio di arrugginiti cliché, cambiando per sempre la visione cinematografica della fantascienza.
Ai cultori non sarà certamente sfuggito che in questa rappresentazione di Ridley Scott di Los Angeles del futuro che somiglia molto alla Metropolis del passato, compaiono delle bottiglie di scotch whisky Johnnie Walker bevute dal cacciatore di androidi Rick Deckard (e non solo) interpretato da Harrison Ford.
La cosa si ripeterà trentacinque anni dopo nel seguito Blade Runner 2049 del regista canadese Denis Villeneuve.
Analizzando il film originale, poco dopo l’inizio, quando l’ispettore Bryant (personificato da Michael Emmet Walsh) obbliga Deckard a occuparsi del recupero e conseguente ritiro dei replicanti fuggiti dalla colonia Nexus 6, gli offre un Johnnie Walker Black Label.
al cui assaggio il moderno bounty killer non si sottrae.
Successivamente, nella scena più postmoderna dell’intero film dove tutta la tecnologia che vien mostrata è antiquata per un futuro immaginario (il film è ambientato 37 anni dopo nel 2019), Deckard sta suonando il piano. Si ricorda di alcune foto, delle polaroid come si legge in calce, trovate nell’appartamento di Leon, uno dei replicanti ricercati. Si alza e afferra una bottiglia di Johnnie Walker Black Label
e va verso un apparecchio che ingrandisce ed esalta le foto collegato a sua volta a un terminale (un omaggio ad Antonioni di Blow Up). Anche accanto a questi strumenti elettronici c’è una bottiglia di Johnnie Walker Black Label aperta.
Si siede sul divano con la bottiglia e il bicchiere fra le mani e con il comando vocale attiva quel processo di scansione che gli consentirà di scoprire l’identità di Zhora, altra fuggitiva. In un fotogramma si vedono entrambe le bottiglie.
La logica vorrebbe che il cacciatore di androidi ne aprisse una alla volta, ma siamo a casa sua e bisogna considerare che allo spettatore potrebbe essere sfuggito il consiglio per l’acquisto! E non è finita. L’ingrandimento della foto rileva un particolare al suo interno: sopra un mobile, si nota ancora una volta una bottiglia di Johnnie Walker Black Label (non si ha proprio fiducia in questi spettatori!), quasi a rimarcare che se è vero il principio che i replicanti sono more human than human anche questi si godranno quel whisky.
Su questo concetto, la sceneggiatura di Hampton Fancher e David Webb Peoples, coglie in pieno lo spirito di chi scrisse il soggetto. Il bellissimo romanzo al quale Blade Runner è sommariamente ispirato, “Do Androids Dream of Electric Sheep? (in italiano “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”), è del 1968; nello stesso periodo, l’anno successivo, Philip K. Dick in un breve e divertente racconto dal nome The War with the Fnools, (in italiano uscito come “Bacco, tabacco e… Fnools”) l’autore fa bere agli alieni Fnools un whisky scozzese perché debbono fare tutte le esperienze umane. I Fnools per conquistare il pianeta si mimetizzano imitando perfettamente i terrestri, ma procedendo con una categoria lavorativa alla volta (qui esce l’immancabile humour dello scrittore) e se non fossero notevolmente più bassi non si distinguerebbero dalla popolazione. È la tematica principale che ha ossessionato lo scrittore, cosa è reale e cosa non lo è, e la ricerca del metodo per individuarlo (proprio come accade fra umani e replicanti in Blade Runner dove tuttavia è meno visibile, e bisogna ricorrere a un test).
Tornando alla massiccia presenza del whisky Johnnie Walker nel film, trattasi di un product placement anche piuttosto evidente.
La pubblicità commerciale proseguirà nel seguente Blade Runner 2049 di cui Ridley Scott è produttore esecutivo, inserendo in pellicola la celebre icona di questo whisky, lo striding man luminescente sopra un palazzo, la scritta Diageo in rosso che troneggia dall’alto della metropoli, e infine il ritorno della bottiglia con un design futuristico creata per l’occasione.
Del resto il legame in essere fra Ridley Scott e la Diageo non è nascosto, anzi piuttosto palese se il figlio Jack Scott, regista di videoclip musicali, ha diretto due cortometraggi a carattere pubblicitario per la multinazionale, intitolati The Gentleman’s Wager (1 e 2), con gli attori Jude Law e Giancarlo Giannini, e come protagonista assoluto proprio il Johnnie Walker nella versione top di gamma, il Blue Label.
Ma l’evidenza maggiore di tutto ciò è che nel romanzo di Philip K. Dick, non compaiono scotch whisky, ma una volta sola una bottiglia di bourbon che vale una fortuna, mica sintetico, è di prima della guerra, autentico distillato di mais fermentato, portata da Rachel a Rick.
Tuttavia lo scrittore americano amava il whisky scozzese tanto da menzionarlo in molti dei suoi libri. Leggendo l’intera e vasta opera, ho raccolto le citazioni di otto marche di blended scotch, più una di single malt, il Laphroaig. Ma del Johnnie Walker non c’è traccia, perlomeno a quanto mi risulta. Con tutta probabilità, sbagliandosi, tentò di menzionarlo a inizio carriera, nel romanzo Gather Yourselves Together (“Il paradiso Maoista” è il titolo in italiano), scritto fra il 1948 e il 1950 e pubblicato postumo soltanto nel 1994, quando parla di uno scotch di malto dal nome Walker’s DeLuxe (che esiste realmente ma è il nome di un bourbon) e che sa di gasoline (aroma poco incline a definire un bourbon).
Terminato il romanzo, Philip K. Dick lasciò degli appunti sulla visione del film che si sarebbe potuto trarre, indicando Gregory Peck come attore principale per Rick Deckard, e l’immenso Dean Stockwell (Il ragazzo dai capelli verdi di Joseph Losey) per l’altro ruolo che nel romanzo è fondamentale, l’ingegnere di animali robotici Jack Isidore, uno speciale che nel film diventa J. F. Sebastian e ha un ruolo decisamente minore.
La scelta degli interpreti operata da Ridley Scott con rispettivamente Harrison Ford (che nel 1968 era già attore ma non ancora noto al grande pubblico) e William Sanderson, mi sembrano pertanto abbastanza vicini a ciò che aveva in mente lo scrittore.
Egli morì il 2 marzo del 1982 mentre Blade Runner fu proiettato per la prima volta il 25 giugno, quindi Dick non riuscì mai a vedere il film per intero ma solo alcuni spezzoni dei quali fu entusiasta, apprezzando in particolar modo la scelta di Harrison Ford quale Deckard.
Tuttavia io sono convinto che fosse dipeso da lui, lo scotch whisky da riprodurre sarebbe stato un altro.
Il Cutty Sark era fra i brand più conosciuti e venduti negli Stati Uniti nell’epoca in cui Dick scriveva i suoi romanzi. All’origine del suo nome è il veliero raffigurato in etichetta. Fu varato il 22 novembre del 1869 a Dumbarton in Scozia, voluto fortemente dall’armatore londinese John Mills, per aggiudicarsi la gara annuale per chi trasportava più velocemente il primo raccolto di tè dalla Cina in Gran Bretagna. Purtroppo proprio in quell’anno fu inaugurato il Canale di Suez che rese la rotta della competizione obsoleta. Ma il veliero ebbe comunque grande fama per via della storica sfida del 1872 alla quale partecipò, e che non riuscì ad aggiudicarsi rompendo il timone in pieno oceano. Malgrado l’eroico comportamento dell’equipaggio e del capitano Moodie che riuscirono ad aggiustarlo, arrivò con una settimana di ritardo rispetto alla nave concorrente. In seguito il veliero fu venduto oltre Oceano, ma nel 1922 torna nel Regno Unito, acquistato e rimesso a nuovo a Londra dal capitano Wilfred Dowman. Questa notizia fece il giro del mondo (ora è possibile osservarlo a Greenwich). Ispirandosi alla nave il 23 marzo 1923 fu lanciato l’omonimo whisky dai commercianti londinesi di vini e alcolici Berry Bros. & Rudd. Il Cutty Sark scotch whisky fu creato appositamente per i bevitori americani durante il Proibizionismo. Divenne popolare contrabbandato come alternativa al moonshine di produzione locale. Questo significa che quando il divieto fu abrogato, Cutty Sark era già un marchio affermato, il primo whisky scozzese a vendere oltre un milione di casse negli Stati Uniti. Inoltre, la leggerezza nel corpo e nel colore rappresentava precisamente il tipo di whisky a cui gli americani si erano nel frattempo abituati, complice la generosa diluizione operata dai mercanti illegali di alcolici nell’epoca della cosiddetta temperanza. A proposito del suo colore light (ricordo che in Scozia fino al termine della seconda guerra mondiale, per affinare il whisky in botte si usavano quasi esclusivamente quelle che avevano contenuto in precedenza dello sherry e che marcavano l’ospite successivo in tonalità scure), un giorno fu chiesto a Hugh Rudd della Berry Bros. & Rudd la ragione. La risposta del commerciante londinese alluse alla pratica legale d’aggiungere dello zucchero bruciato, ora caramello, al whisky scozzese nel caso la botte non ci avesse pensato di suo e soprattutto in un mercato uniforme nel colore, e fu all’incirca la seguente: “Domandatevi piuttosto, perché gli altri whisky sono così scuri!”
Conoscere l’esatta composizione di un blended scotch è difficile e oltretutto mutevole nel tempo. In questo caso la componente di whisky di malto dovrebbe provenire dalle distillerie di Glenrothes e Bunnahabhain, ma si suppone che, soprattutto in passato, siano stati utilizzati anche altri malti di Glenglassaugh, Glengoyne, Highland Park, The Macallan e Tamdhu.
Questo è il whisky che avrebbe preferito Philip K. Dick per Ford/Deckard, l’amato Cutty Sark che tante volte ha menzionato nei suoi libri.Certamente produttori e sponsor non avrebbero approvato.
Nemmeno a farlo apposta abbiamo avuto modo di assaggiare ieri presso l’osteria Poerio di Roma un Cutty Sark degli anni ’60, ancora in forma, che presentava sentori iodati e di frutta secca, ricordi agrumati e di miele, sapidità ed una ottima chiusura speziata. Insomma quasi immortale come questa celebre pellicola.
Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.
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