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Atomos, ovvero l’indivisibile – Atomos, l’elemento primario di ogni elemento

Mettiamo tra parentesi (inapplicabili nel nostro caso) le teorie quantistiche e il corrispettivo infinitesimale e interminabile sminuzzamento di quanto sembrava non sminuzzabile. E restiamo ancorati alla vite. Perché di vino parliamo. E stabiliamo che, nella nostra “fisica” vinosa, l’acino sia l’atomo. E dunque, per varare un vino (due per la verità, ma è il concetto che conta) “atomico”, è sul singolo acino che si deve lavorare, e su quell’unità basica edificare poi la costruzione.
Eccolo, il progetto speciale messo insieme e coltivato con tenacia, fantasia e ambizione in parti pressoché uguali, da Stefano Di Nisio e Maria Kalafati, imprenditori “visionari” approdati in cantina – la “1by1”, giovanissima come freschi son loro, visto che gira dal 2020 appena – da altri mondi produttivi e subito propostisi come innovatori, ma in cerca di radici.

Quel “back to the future”, insomma, che nel mondo del vino, ma non solo, spesso suggerisce o apre a una soluzione felice.
Il loro contributo è un processo di diraspatura unico, manuale, gestito con una specialissima tecnica a tre dita (e candidato al brevetto) applicato, per ricavarne a perfezione ogni “atomo-acino”, su uve fornite dalla CantinArte di Nocciano, dove la fidata complice Francesca Di Nisio (luminosa quanto energica mamma vignaiola) ha accettato di far loro da sponda.
Ecco allora i due “atomic wines”.

Primo nato, un Montepulciano d’Abruzzo figlio di viti tanto vocate quanto misurate nella produzione. La pratica in vigneto è attenta e men che mai invasiva. Quella in cantina è affidata a Giovanni Basso, enologo, la cui maieutica accorta ha privilegiato nel rosso di casa le note speziate accanto alle fruttate, e la profondità gustativa piuttosto che l’impatto a volte un filo “selvaggio” che il vitigno pure, di suo, possiede e ispira.


Secondo a veder la luce, il Trebbiano. Un “orange”,si direbbe ora, come look, derivato a sua volta da piante “anziane” (più che sessantacinquenni) condotte in biologico, fermentato per il tempo giusto sulle bucce (da qui colore e consistenze tattili svelate insieme a profumi ampi e variegati all’assaggio) e poi arditamente affinato in legno nuovo, con risultato che fa centro per complessità senza prevaricazioni delle componenti o delle singole pratiche messe in atto. Ampio, intenso, da servire a temperatura rispettosa (di cantina cioè) è insieme da tavola e da puro piacere gustativo. E, nelle aspettative di chi lo produce (in tiratura limitata, 600 pezzi all’anno per ora) anche da lungo, anzi lunghissimo corso di vita in bottiglia.
Che è, quest’ultima (altra scelta non comunissima) da litro, lunga e slanciata, fornita in una speciale fodera di alcantara cucita a mano e doppiata (e qui siamo ai pezzi quasi unici) da magnum nate particolarmente preziose anche nel packaging, grazie all’etichetta voluta dai patron in oro zecchino.

 

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