Poche denominazioni in Italia possono permettersi l’organizzazione di un seminario con nove annate da assaggiare provenienti da nove decadi diverse e da nove aziende diverse. Il Chianti Classico può, e già questo basterebbe a sancirne l’importanza primaria per la storia del vino italiano. Questa opportunità imperdibile che non mi sono lasciato scappare per nulla al mondo è arrivata durante l’annuale anteprima del Chianti Classico (Chianti Classico Collection) di scena alla Leopolda di Firenze, grazie all’impegno del Consorzio, rappresentato in prima persona dal suo presidente Giovanni Manetti, e alla verve di Filippo Bartolotta, che ha condotto la degustazione col supporto delle immagini che raccontavano ottant’anni di storia del mondo.
Un viaggio che parte dagli anni Quaranta, quando il vino Chianti aveva già la sua fama e una fisionomia che sarebbe via via cambiata nei decenni successivi, spaziando dal Governo all’utilizzo delle uve bianche (e al successivo ripudio), fino ad arrivare alle barriques e alla concentrazione del frutto, con un profilo stilistico che negli ultimi anni è stato ripensato da molti se non da tutti, per ritornare a una più diretta espressione del territorio, anche se qua e là l’utilizzo dei legni piccoli e dei vitigni francesi lascia ancora la sua impronta. Senza dimenticare la selezione dei cloni migliori di Sangiovese intorno al 2000, che ha dato impulso alla ricerca di qualità (appiattendo forse però la diversità), e, in paradossale contrasto, la nascita delle UGA, Unità Geografiche Aggiuntive, che in prospettiva dovrebbero tornare a dare una fotografia più puntuale del terroir con le sue variegate e numerose sottozone, anche se siamo ancora all’inizio di questo percorso.
Ora però la parola passa ai vini e, soprattutto nei primi esemplari, parla la Storia con la esse maiuscola. Dagli anni Quaranta a oggi, uno per ciascuna decade, con un jolly in più.
Chianti Classico Castello di Brolio Riserva 1949. Più storia di questa? Qui, nell’imponente rocca medievale tra i boschi di Gaiole, nacque il Chianti Classico moderno, qui fu scritta la celeberrima “ricetta” del Barone di Ferro Bettino Ricasoli, che prevedeva l’uso di uve bianche e il “governo toscano”, una seconda fermentazione ampiamente utilizzata fino agli anni Sessanta e tornata oggi in voga. La vicenda aziendale racconta di una svolta circa trent’anni fa, con l’adozione di uno stile “internazionale” che ha spesso perso di vista l’identità e l’unicità del vino e del terroir. Ma in questo caso siamo davanti a un bicchiere senza mezzi termini commovente: bacche rosse, nespole, bergamotto, fiori appassiti. Un vino incredibilmente vivo, con succo, polpa, acidità, ancora adatto alla tavola.
Chianti Classico Badia a Coltibuono Riserva 1958. Un’altra azienda che ha fatto la storia: qui i monaci di Vallombrosa hanno cominciato a fare vino poco dopo l’anno Mille. Questa è un’autentica “chicca”: partita di pregio che Piero Stucchi Prinetti preferì tenere nella botte di castagno invece che svenderla, fu imbottigliata solo nel 1986. Naso di vermut e tè nero, karkadè e chiodi di garofano, cuoio, alloro, prugne secche. Sorso leggiadro, pulito, ma ancora abbastanza compatto. Da meditazione. Comincia ad avvertire un po’ di languore, ma vorrei vedere voi, dopo 28 anni di legno…
Chianti Classico Monsanto Riserva Il Poggio 1969. La famiglia Bianchi molto spesso ha portato al Wine Festival di Merano vecchie annate del Poggio, a volte risalenti agli anni Sessanta (compresa questa), ma nessuna mai mi è sembrata più stupefacente. Sarà la classica bottiglia fortunata o il contesto meno caotico, ma scrivo qui che è uno dei vini più buoni che io abbia mai assaggiato. Da Sangiovese con saldo di Canaiolo. Profumi ammalianti, prevalenza floreale, toni ematici. Bevibilità semplicemente strepitosa, dimostra almeno la metà dei suoi anni, non teme confronti, a mio parere, con i migliori Grand Cru d’oltralpe che costano dieci volte tanto. Ha tutto, sale e polpa di precisione millimetrica, e non dimostra il minimo segno di decadenza nel lunghissimo finale. Da bere a secchi, Dio mi perdoni.
Chianti Classico Villa Calcinaia 1975. Si entra in una fase meno brillante nella storia del Chianti Classico, con annate fredde e incertezze imprenditoriali che verranno superate, non senza contraddizioni, nel decennio successivo. Qui sono ancora presenti le uve bianche. All’olfatto restituisce cuoio, corteccia, radici, poco frutto. In bocca appare piuttosto stanco, c’è sapore e una tenue traccia fruttata ma poco slancio e un tannino non pienamente risolto.
Chianti Classico Villa Antinori Riserva 1985. In pochi anni cambia tutto, e le cantine più grandi e rinomate si gettano senza esitazione sul cosiddetto rinascimento del vino italiano, che prevede una maggiore concentrazione di frutto sia in vigna (con i sesti di impianto più fitti) che in cantina (con una ricerca esasperata del frutto maturo e l’ausilio delle barriques nuove e tostate). Non a caso alla vista è il bicchiere più scuro finora. Al naso si percepiscono la vaniglia, il caffè tostato e un frutto disidratato. Il sorso è polveroso e il sapore ricorda lo zucchero caramellato. Rimane il dubbio di esserci imbattuti in un campione poco performante, ma lascia l’impressione di uno stile produttivo spregiudicato che non ha retto alla prova del tempo.
Chianti Classico Lamole di Lamole Riserva Etichetta Bianca 1993. Annata fredda + vigne d’altura (si tratta degli impianti più alti sul livello del mare della denominazione, assieme a quelli di Radda in Chianti): ci si aspetta un vino sottile e tendenzialmente fragile. Invece… aromi balsamici, di erbe aromatiche, chinotto, mineralità soffusa, ha un frutto vivace e una presa al palato piuttosto decisa e convincente. Robusto ed espressivo ma anche fine in chiusura. Un’autentica sorpresa.
Chianti Classico Bandini – Villa Pomona Riserva 2009. Da Castellina in Chianti, è il vino di punta di Monica Raspi. Olfatto esuberante di frutta matura, sangue, spezie chiare e terra bagnata; bocca serrata e giovanile, forse ancora da sciogliere del tutto, buon succo, trama tannica estremamente risoluta, finale leggermente asciugante ma profondo e saporito. Gran carattere.
Chianti Classico Poggerino Riserva Bugialla 2014. Altra annata fresca e molto piovosa, altro vino proveniente da vigne di alta collina, a Radda. Profumi di grande varietà, spezie, frutta gialla e rossa di notevole purezza, petali di rosa, sottobosco. Beva coinvolgente, non rinuncia alla struttura ma il quadro generale parla soprattutto di eleganza e la dinamica gustativa è davvero piacevole. Nonostante il millesimo sembra avere ancora del potenziale evolutivo.
Chianti Classico Dievole 2020. Da Vagliagli. Rispetto ai campioni precedenti è ancora in una dimensione quasi “fetale”, di difficile lettura. Fin d’ora si può dire che l’espressione del frutto (giallo in particolare) è molto precisa, con contorno di fiori e spezie assortite, e l’estrazione tannica di prim’ordine. Deve maturare ma promette bene.
BONUS
Chianti Classico Castell’in Villa Riserva 1995. I vini della principessa Coralia Pignatelli non lasciano mai indifferenti, e questo regalo proveniente da Castelnuovo Berardenga ha chiuso nella maniera migliore il seminario di Bartolotta. È un vino in parte figlio del suo tempo: perfino le aziende tradizionali come questa flirtavano un po’ con la moda di applicare ricette bordolesi a un vino e a un vitigno che avevano e hanno caratteristiche decisamente diverse da quelle del Mèdoc. Eppure è la ricerca costante dell’eleganza, che a Castell’in Villa fortunatamente non è mai venuta meno, a restituirci un vino di grande fascino. Al naso prevalgono toni floreali, di cipria e di frutti rossi, accanto a tracce balsamiche e radiciose; in bocca esplode un sapore trascinante di frutta a perfetta maturazione, i tannini sono di pura seta e ormai totalmente integrati. La persistenza è impressionante, su una traccia salina e minerale che non si dimentica.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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