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ALTO ADIGE – ARUNDA: QUANDO UN METODO CLASSICO È PER SEMPRE

La frase è volutamente ad effetto, prendendo spunto dalla nota pietra preziosa oggetto di affascinamento femminile. Non potevo immaginare qualcosa di diverso dal diamante per raccontare l’eleganza e l’audacia dei vini della cantina Arunda. “Per sempre” è un motto che ai più metterebbe soggezione, ma non a Josef Reiterer innamorato da una vita della moglie Marianna e appassionato di Metodo Classico che declina in temerarie versioni.

Da giovane parte per Milano come tecnico di una importante ditta del settore agricolo; tuttavia la strada principale non è fatta solo di funivie e sentieri impervi percorsi nel ritornare alla sua piccola ed incantevole Meltina a 1.200 metri di altezza. Josef è prima di tutto un grande insegnante della vinificazione in bianco, tanto da portarlo in parallelo a produrre vini per proprio conto. Da subito négociant manipulant, nel 1976 il suo sogno prende forma con 300 bottiglie destinate all’autoconsumo. Un esperimento fatto spumantizzando vini provenienti da uve di coltivatori a Terlano, che all’epoca venivano identificate come varietà Pinot Bianco Verde e Pinot Bianco Giallo. La variante giallo altro non era che un clone di Chardonnay presente in loco fin dal 1910 e quella verde era realmente Pinot Bianco; oggi invece lo Chardonnay è molto più aderente al clone originale conosciuto in tutto il globo, a differenza del comprimario di blend rimasto ancorato al ceppo storico.


Nel 1979 nasce la prima idea di azienda-bottega a conduzione familiare, con 10000 bottiglie prodotte e nel 1983 inizia la proficua collaborazione con Ignazio Miceli, morto nel 1998, grande ambasciatore dei vini siciliani ed artefice di capolavori come il passito di Pantelleria “Tanit”. Contravvenendo al proverbio popolare che i titolari di una società devono essere in numero dispari inferiore a 3, venne fondata dai due la Bottega Vivaldi con lo scopo di distribuzione e commercio vini. In contemporanea andava avanti anche Arunda in veste di semplice produttore. La concorrenza rispetto agli altri territori era spaventosa: in Alto Adige non esisteva tradizione della rifermentazione, se non per qualche sparuto caso. Il Trentodoc era in agguato, così pure il Prosecco apprezzato dai consumatori per minori costi e maggiore facilità di beva. Con tanta bravura e determinazione, la produzione media attuale è arrivata attorno alle 110 mila bottiglie, divenendo un punto di riferimento per l’intero comparto altoatesino.

E veniamo all’assoluta  follia di questa notte vissuta dal sottoscritto, dal direttore Maurizio Valeriani e dal collega Paolo Valentini in esclusiva per Vinodabere.it in tempo di Merano Wine Festival: la sboccatura di un Petit Verdot in purezza da 240 MESI di sosta sur lie. Il ricordo di una botte omaggio dell’amico istrionico prof. Rainer Zierock altra leggenda dell’enologia, prematuramente scomparso. Imbottigliato con il lievito originale della sua fermentazione, cosa quasi impossibile da realizzare, presenta ben 12 cm di residuo in fase di degorgement. Per poter lavorare la bottiglia senza romperla ed eliminare per intero il tappo delle fecce morte, Josef si è dovuto adattare con dei freezer di fortuna ed un macchinario progettato per l’occasione. Il risultato è da brividi. Un perlage integro e persistente, un vino appetitoso e rinfrancante più di una cioccolata calda agognabile a quelle temperature rigide. Il frutto è nitido e racconta ancora di ribes rossi freschi, bacche di ginepro e fiori di sambuco: l’infinito che prende forma!

Altro giro altra corsa, altra storica botte questa volta di Chardonnay. Altro assaggio memorabile, roba da far impallidire persino l’astronauta Keir Dullea disperso nello spazio siderale di 2001 Odissea nello Spazio. In effetti abbiamo visto diventare multicolor pure le cornee dei nostri occhi, mentre lui (il vino) stava lì seduto, ad aspettarci con un cristallino e timido giallo dalle sfumature ancora verdastre. Bocca impeccabile, annata 1984 dosata nel 1985 e da allora separata dal contatto con l’ambiente esterno solo da un sughero che ha retto in modo strepitoso.

Chiudiamo i sipari con l’anteprima del Phineas IV da cuvée a base Pinot Bianco e vinificazione in anfora. Dopo i cavalli di razza precedenti, dobbiamo esitare qualche istante per ritrovare la dimensione adatta al giudizio. La frutta espressa è polposa, con nuance da agrume candito. Erbe aromatiche a profusione ed uno sbuffo di fiore di lavanda che non guasta mai. Possiamo riassumere in sintesi: la cantina più alta d’Europa, un produttore colto e appassionato, un amore per la famiglia e per il sacro mistero delle bollicine e vini da conservare nel ricordo più nascosto dell’animo umano.

Sehr gut! Ben fatto! carissimi Marianna e Josef

 

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Scritto da

Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.

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