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Montalcino – Rosso 2017 e Brunello 2014 di Baricci – la dimostrazione che si possono fare ottimi vini anche in annate difficili

Scrivere di Baricci e dei suoi vini significa in sostanza ripercorrere la storia stessa di Montalcino, dai terribili anni Cinquanta del dopo-mezzadria, quando era uno dei più poveri Comuni della Toscana, all’attuale status di Capitale italiana del vino più costoso ed esclusivo, conosciuto in tutto il mondo, sempre più buono e sempre più desiderato, al centro di complesse operazioni finanziarie e compravendite milionarie che coinvolgono fondi di investimento e multinazionali.
Fu proprio Nello Baricci il primo firmatario del documento istitutivo del Consorzio, nel 1967, a cui aderirono inizialmente 25 soci (oggi i numeri sono decuplicati).

Grazie alla sua sapienza contadina, aveva capito già una dozzina di anni prima che quei terreni del Podere Colombaio a Montosoli, ai piedi della collina dove giace il borgo, a 250-300 metri di altitudine, con esposizioni a sud, potevano regalargli una bellissima uva da vino.

Perché erano ben riparati dallo scirocco ed erano drenanti, sassosi, rocciosi, con presenza di scisti e marne quarzifere, galestro e fossili di origine marina. In più ulivi antichissimi, tanta vegetazione, boschi fitti e poche abitazioni.


Ancora oggi da qui nascono bottiglie di Rosso e di Brunello che parlano la lingua dell’autenticità, della misura, con un baricentro (spesso colto alla perfezione) tra grinta ed eleganza.

Insomma la lingua del terroir e del vero Sangiovese, affinato esclusivamente in botti di rovere di Slavonia da 20 e 40 hl, senza trucchi a mascherare gli eventuali limiti di un’annata. Non a caso negli anni Nello Baricci, scomparso nel 2017 all’età di 95 anni, era diventato un vero e proprio punto di riferimento agricolo e stilistico per i tantissimi produttori ilcinesi che sono arrivati dopo di lui.
Ecco perché ad agosto sono voluto tornare, dopo qualche anno, al Colombaio, per assaggiare e valutare gli ultimi nati, figli di due vendemmie difficili e per certi versi antitetiche: il Rosso di Montalcino 2017 e il Brunello di Montalcino 2014.

Ne parlo col genero di Nello, Pietro Buffi, che assieme ai figli Francesco e Federico ha preso in mano da diversi anni le redini dell’azienda, i cui numeri oggi recitano 5,3 ettari di vigna per un totale di circa trentamila bottiglie. Volumi che, mi dice Pietro, cominciano a stare stretti nella vecchia cantina sotto l’abitazione di famiglia, per cui è nata l’esigenza di un ampliamento che andrà progettato e realizzato nel prossimo futuro.
I terreni vengono lavorati più volte nel corso dell’anno e “nutriti” da sovescio con orzo e favino. Anche il diradamento fogliare viene effettuato in tre fasi, in estate, durante il periodo decisivo della maturazione degli acini.
Ma ora i vini: purtroppo “solo” due, vista l’assenza della Riserva Nello, prodotta nel 2010 (prima annata) e nel 2012. “Col senno del poi, ho un piccolo rimpianto – dice Pietro – per non averla fatta nel 2013”.

Rosso di Montalcino 2017

Rosso di Montalcino 2017. “Siamo tra i pochi a Montalcino a fare più bottiglie di Rosso che di Brunello”, sottolinea Pietro, ricordando una battaglia “storica” di Nello Baricci: si opponeva a una bizzarra usanza per cui, a differenza di altri noti terroir, qui la teorica base della piramide qualitativa, il Rosso, viene bistrattata in termini numerici perché meno remunerativa (anche grazie al fatto che gran parte delle vigne sono iscritte all’albo del Brunello, denominazione nata diversi anni prima del fratello minore).
Al Rosso vengono di solito destinate le vigne più giovani, piantate nel 2001 nella parte più bassa del Colombaio. Annata difficile, si diceva, siccitosa: “Di notte abbiamo dovuto bagnare le foglie con tre quintali e mezzo d’acqua”, ricorda Pietro. Il lotto che esamino qui è in bottiglia da circa tre mesi, dopo aver sostato in legno per quasi un anno.
Dal bicchiere salgono profumi balsamici e silvestri, speziati, di frutta matura (amarene) e caramello. Anche in bocca prevale la dolcezza del frutto, però ben contrastata dall’acidità, il sorso è succoso, saporito, un po’ tannico ma di bella espressione; manca forse un po’ di allungo nel finale, segnato dalla frutta secca e da una leggera scia alcolica, ma è solo all’inizio del suo cammino: verticali aziendali hanno svelato la grande tenuta del Rosso di Baricci, anche a distanza di trent’anni.

Brunello di Montalcino 2014

Brunello di Montalcino 2014. Tutt’altro genere di annata. “Qui dietro c’è un grosso lavoro – spiega Pietro – Abbiamo vendemmiato due settimane dopo gli altri, le uve avevano bisogno di maturare ancora. E poi abbiamo fatto macerazioni più brevi, dieci giorni invece dei soliti 15-20, per evitare di estrarre tannini verdi e vinaccioli amari”. Anche la produzione è di quantità leggermente inferiore (circa il 20%) rispetto al solito. Al Brunello vengono dedicate le vigne più vecchie, piantate nel 1985 (la cui parte apicale è destinata, quando si fa, alla Riserva). Il “battesimo” a Rosso o a Brunello avviene subito, appena le uve arrivano in cantina, e comunque si effettuano vinificazioni separate per vigna. Il Brunello invecchia per tre anni in legno.
Avevo dei ricordi positivi del 2014, assaggiato in botte a un anno dalla vendemmia. E il calice che ora ho qui non mi tradisce, anzi… Naso minerale di sottobosco, corteccia, terra bagnata, roccia fluviale, poi tabacco, erbe officinali, ciliegie e frutti di bosco. Tannino molto elegante, struttura non indifferente visto il millesimo, un vino ricco e complesso, scattante, salino, flessuoso, con profonda chiusura speziata e balsamica. Hanno provato a fare un vero Brunello. E ci sono riusciti. Applausi.

 

Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…

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