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AMARCORD IN ROMAGNA

RONCHI DI CASTELLUCCIO: LA STORIA D’AMORE INFINITA PER MODIGLIANA

A volte ritornano si direbbe. Il ritorno di Ronchi di Castelluccio all’antico splendore è frutto del lavoro incessante dei fratelli Aldo e Paolo Giovanni Rametta, uniti dal desiderio di restituire agli albori una delle realtà storiche della Romagna e dell’Italia intera. Un mito nato dalla volontà di Gian Vittorio Baldi all’inizio degli anni ’70, consigliato nelle scelte fondamentali (per via indiretta) da Luigi Veronelli. L’idea, pionieristica, fu quella di identificare subito dei piccoli appezzamenti strappati al bosco, atti a divenire cru o come vengono chiamati in zona “Ronchi”, tramite lo studio di suoli, esposizioni e clima. In poche parole: seguire il terroir.

La mappa presentata è volutamente artigianale come tutto il resto in azienda. La freccia contraddistinta dal numero 1 indica il Ronco del Re o meglio quanto resta della vigna memorabile di Sauvignon Blanc. Il numero 2 simboleggia l’area del Ronco della Scimmia, che prende il nome da una mascotte di un soldato americano probabilmente sepolta in queste terre. Del suo particolare clone di Sangiovese parleremo più approfonditamente in un successivo paragrafo. Con il 3 si parla di futuro con il Buco del Prete, quasi inaccessibile ai mezzi meccanici se non muniti di cingoli. Il 4 è il vecchio Ronco dei Ciliegi ora in fase di ripristino da parziale abbandono e che ha creato la storia del Sangiovese di Romagna. Infine il numero 5, Ronco del Casone, dalle forti escursioni termiche per vini senza età.

Il convitato di pietra è sempre lui, la varietà dalle mille sorprese e dalle controverse origini e rivendicazioni. Baldi affidò carta bianca agli inizi del suo progetto ad un giovane agronomo come Remigio Bordini, padre di Francesco, che su queste alture con pendenze di oltre il 40% ha trascorso gran parte della sua vita studiando quali cloni potessero dare maggior qualità, anche a discapito della quantità. SG19 è uno dei frutti dell’attenta opera di Remigio, replicato poi nel Polo di Tebano all’epoca denominato Terre Naldi. Un luogo utilizzato fino a poco tempo fa da tanti piccoli produttori che non avevano la possibilità di vinificare le uve in una cantina propria.

I terreni sono una miscellanea di sabbie, marne ed arenarie compatte con sedimenti calcarei in superficie. I calanchi non sono distanti ed apportano il loro influsso assieme ad un lembo residuo della vena del gesso. Ottima materia prima per iniziare a parlare seriamente di vino. Il cambiamento climatico, altrove temuto, qua è una manna dal cielo che evita di dover attendere i primi giorni di novembre per vendemmiare, come invece avveniva in passato. Di produttività manco a parlarne, se va bene si raggiungono 25 quintali per ettaro su impianti a rittochino utili a piccole lavorazioni meccaniche, ma disastrosi per quanto concerne il dilavamento del terreno. Le giustificazioni sono comprensibili per chi volesse rinunciare alzando bandiera bianca e abbandonando alla natura selvaggia il proprio vigneto. Aldo e Paolo vanno testardamente controcorrente e rilanciano, cercando di riattivare tutte le antiche particelle inutilizzate, arrivando agli odierni 10 ettari vitati.

Locali di vinificazione compatti e concreti con scelta di legni piccoli per i bianchi, medi e grandi per il Sangiovese e, con l’ingresso di Francesco Bordini accanto a papà Remigio, anche vasche di cemento. Una produzione annua di circa 45 mila bottiglie che sta pian piano riconquistando la scena al posto d’onore. Vale la pena dunque fare un resoconto degli assaggi di giornata.

Lunaria 2021 -Sauvignon Blanc in purezza. Unico prodotto che fa solo acciaio. Da una vigna singola a pieno regime già dal 1992. Erbe mediterranee, mango e ananas pervadono il sorso spedendoci dritto verso un finale salino che porta lungo le sponde del mare preistorico. Assaggio superbo.

Sottovento 2020 – parti uguali tra Sauvignon Blanc e Trebbiano di Romagna. L’obbiettivo resta arrivare al 100% della prima varietà come per il campione precedente. Buonissimo, giusto mix tra agrumi e spezie candide ancora giovani.

Le More 2021 Sangiovese di Romagna Superiore – vigne sul versante Sud/Ovest in parte allevate ad alberello, sistema inizialmente preferito alla spalliera. Cru rinnovato nella quasi totalità delle sue piante, merita ancora tempo per darne un giudizio complessivo. Al momento la nota salata finale del vino ed un frutto concentrato di amarena prevalgono sulle altre componenti comprimendole.

Ronco dei Ciliegi 2020 – 40 giorni di macerazioni con un occhio alle temperature, lieviti indigeni e barrique di vari passaggi. La produzione è talmente scarna che non si arriva neppure a riempire una botte di grandi dimensioni. Eleganza allo stato puro con quelle componenti floreali e di incenso tipiche del Sangiovese romagnolo. Tannini integrati come la seta e scia finale da arancia sanguinella unita ad erbe officinali.

Buco del Prete 2020 – assaggiato in esclusiva per Vinodabere, l’unica cosa che possiamo affermare con certezza è lo straordinario potenziale palpabile in termini evolutivi. Provenendo da una zona più fresca, con il bosco circostante che fa da mitigatore climatico, lascia emergere la verve robusta del varietale con nuance balsamiche-agrumate intense e dure da domare. Alla lunga diverrà un fenomeno, complice una delle annate migliori che si ricordino per Modigliana e la Romagna.

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Scritto da

Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.

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