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Radda 2014, un’annata in cui i Vignaioli hanno fatto la differenza

Il secondo seminario organizzato dai Vignaioli di Radda durante la scorsa edizione di Radda nel Bicchiere affronta il tema del rapporto tra il terroir raddese e gli effetti climatici della passata e tanto discussa annata 2014, concentrandosi sull’analisi delle caratteristiche dei prodotti ottenuti sul territorio a significare come un terroir risponda alle criticità soprattutto in relazione al fattore umano del terroir stesso. Il Seminario è  stato condotto dal Tecnico Agronomo Andrea Frassineti oggi anche in qualità di delegato ONAV Siena. Dopo un cappello introduttivo sulle caratteristiche del territorio e della denominazione Chianti e Chianti Classico ci si è focalizzati sulla carta d’identità del terroir di Radda. La parola terroir richiama l’idea di ecosistema, un’idea di relazione che si crea tra diversi fattori naturali e umani, determinanti per la definizione dell’identità e unicità di un vino di territorio.

A RADDA COSA E’ IL TERROIR

“Il terroir è la capacità accertata di un territorio, grazie all’opera dell’uomo, di produrre un vero gusto caratteristico apprezzato dal mercato” – cosi lo definiva Denis Dubourdieu, professore alla facoltà di Enologia di Bordeaux, non volendosi dimenticare dell’uomo a cui poi il vino è destinato.

Secondo l’INAO (Istituto Nazionale d’Origine e Qualità francese)  “Il terroir è uno spazio geografico delimitato dove una comunità umana ha costruito, nel corso della storia, un sapere intellettuale collettivo di produzione, fondato su un sistema d`interazioni tra un ambiente fisico e biologico ed un insieme di fattori umani, dentro al quale gli itinerari socio-tecnici messi in gioco rivelano un’originalità, conferiscono una tipicità e generano una reputazione, per un prodotto originario di questo terroir.”

A Radda, lo abbiamo visto in un articolo precedentemente pubblicato su Vinodabere (link), non manca questo terroir. Né naturale né umano e spesso si assomigliano. Scandagliamo ora gli elementi principali su cui poi si riversa il fattore climatico “annata”.

I PILASTRI DEL TERROIR

Suolo – Il suolo raddese deve la sua composizione a tre matrici principali: galestrica, alberese e macigno. Le argillosciti lamellari scagliose presentano un bassa carica di calcare e potassio e sono estremamente soggette ad erosione. Non trattenendo la pioggia, l’acqua scivola, l’aridità del suolo conferisce poca energia alle viti e non c’è inerbimento. E’ dunque particolarmente adatto nelle annate fresche e piovose come la 2014 in questione. L’alberese è il cuore pulsante del terroir di Radda, costituendo con i suoi calcari marnosi la formazione di Sillano. Anche qui troviamo terreni ricchi scheletro, molto drenanti e ricchi di calcare attivo.  Il bianco dell’alberese è fattore determinante anche del landscape, ovvero di quella parte paesaggistica del terroir, testimonianza del legame uomo- territorio, proprio grazie all’impiego di questa pietra quale materiale da costruzione. Anche il Macigno del Chianti di origine sedimentaria, detto anche pietra serena, è parte fondamentale dell’architettura locale. Le arenarie da macigno costituiscono suoli sabbioso-scheletrici molto poveri di sostanza organica di buon drenaggio e sono soggetti a stress idrico in condizioni stagionali molto aride si trovano anche in zone molto alte permettendo di lavorare bene sulle eleganze dei vini.

Altimetria –  A Radda si viaggia tra i 280 e gli 845 metri per lo Chardonnay con un’altezza altezza media tra 300 ai 450 metri s.l.m. I terreni sono in prevalenza collinari, spesso terrazzati divisi in quattro crinali, tre dei quali sulla Valle della Pesa. Il centro – nord vede la maggior parte delle aziende, mentre a sud troviamo poche aziende per la presenza fitta di boscaglia.

Clima – Il clima è di tipo continentale con temperature basse di inverno ed estati secche e siccitose. Discrete escursioni termiche durante il giorno permettono il raggiungimento di una buona componente aromatica varietale. L’esposizione determina poi le ore di luce e le temperature medie sui vari crinali.

Viti e Vitigni – La superficie vitata è di 700 ettari totali, dal 0,5 ettari dei più piccoli ai 100 ettari di Albola con una dimensione media del vigneto di proprietà piuttosto piccola (intorno ai 5 ettari). Tutto per una produzione totale di circa 3 milioni di bottiglie. Si trovano disegni viticoli diversi, scassi e terrazze con allevamenti a guyot, cordone e alberello. Qui il Sangiovese, vibrante e spigoloso, regna sovrano, spesso in ricetta ovviamente con altri vitigni autoctoni, Canaiolo e Colorino, alloctoni internazionali ma sempre più spesso lo troviamo in purezza. Il Sangiovese, che rappresenta l’82% del totale della superficie vitata, si identifica quale marcatore e narratore di territorio, regalandoci vini eleganti e fini con toni minerali e floreali nei territori a prevalenza di macigno mentre presenta più frutto, corpo e nerbo acido nei terreni di natura argillo-calcarea, tutti destinati ad una significativa evoluzione in bottiglia che li accompagna verso una comune tipicità. Il 15% del vitato resta destinato a Cabernet e Merlot, quale retaggio del periodo scorso dove venivano utilizzati quali portatori di colore e corpo. Ultimo ma non meno importante un 2 % di Trebbiano e Malvasia Bianca destinati a quella piccola quanto cara e affettiva produzione di Vinsanto.

Uomo –   L’uomo raddese è colui che dipinge la tela produttiva, scolpisce il paesaggio viticolo, si insedia e preserva una visione culturale d’insieme. Circa 30 aziende, il cui 70% a conduzione biologica o biodinamica, di cui 24 costituiscono l’associazione Vignaioli di Radda che si dota di un dictus operandi specifico, legato all’autenticità e alla territorialità dei suoi vini nonché alla difesa e promozione agricola e paesaggistica.  Ma la storia del territorio viaggia in parallelo alla storia dell’uomo che ne disegna la forma e ne dispone l’utilizzo.  Cosi già in epoca medievale gli aggregati agricoli raddesi vengono fortificati a seguito del ruolo centrale di Radda nella Lega Militare del Chianti per poi ritornare alla destinazione agricola dopo il 1500, disegnando una maglia poderale di mezzadria che dura fino al dopoguerra con lo spopolamento e l’abbandono delle campagne. Solo a seguito degli investimenti degli anni 60 in abbandonati immobili agricoli si ha una ripresa dell’agricoltura finalizzata alla produzione e non alla sussistenza. Rilevante è la rivoluzione agricola degli ultimi 15 anni dove la progettazione del disegno territoriale si lega alla preservazione dell’integrità e bellezza del paesaggio nonché al recupero storico e culturale del luoghi che disegnano la culla del vigneto raddese. Dal disegno territoriale si capisce come l’asset umano sia determinante nella costituzione di un terroir, sia dal punto di vita produttivo che culturale.

L’ ANNATA 2014

Fare un’analisi dell’annata 2014 permette di comprendere come i vignaioli abbiano interpretato le criticità dell’annata in base alle caratteristiche peculiari del territorio raddese.  L’annata 2014 si apre con un aprile-maggio dall’inizio vegetativo precoce seguito da un giugno-luglio estremamente piovosi che ha portato alla formazione seriale di marciumi anche all’interno dei grappoli. L’emergenza fitosanitaria ha reso la vita molto difficile e critica al vignaiolo più “naturale” che cerca di non arginare i problemi sanitari in cantina o in vigna ricorrendo a prodotti chimici. La criticità continua poiché l’estate non si presenta e il settembre che segue risulta pericolosamente piovoso portando tanti produttori a vendemmiare precocemente. I chicchi hanno presentato grande succo, basso grado zuccherino e ben poco da estrarre con acidità malica molto alta, nonché una buccia finissima, estremamente soggetta a rotture e quindi a contaminazioni batteriche e fungine. Chi ha atteso con coraggio, ha incontrato un ottobre caldo e rassicurante ed è riuscito a portare in cantina uve più carnose su cui lavorare. I vini di questa annata sono perciò freschi, eleganti, tesi e di pronta beva, non troppo longevi, e seppur non presentando quei sentori tipici di macchia mediterranea e ciliegia matura, acquistano aromi floreali e aromatici di mughetto, muschio e lavanda ma anche note verdi di erba falciata. A livello di struttura presentano colori meno intensi con unghie giallognole a causa degli attacchi fungini che portano ossidazione, ma anche meno alcol e corpo.

LA DEGUSTAZIONE

La degustazione di 10 campioni alla cieca, ci ha dato la possibilità di notare quelle sfumature che riportano alla sottozona di origine.

Montevertine

1 – Brillante e luminoso alla vista ma vivido, l’acidità si vede, non solo si sente. Il colore scarico e la nota aranciata raccontano perfettamente le caratteristiche dell’annata, unite a note di fiori blu, frutta acidula e toni minerali completando così un profilo decisamente autunnale, inconfondibile delle annate fredde di Montevertine.

Istine

2 – Qui la carica antocianica è più forte, il frutto più maturo con una vena leggermente più cupa e austera. È un vino franco ed austero ma reso fine da spezi dolci e toni energetici. In bocca leggermente erbaceo ma persistente e di buona struttura tutto ancora da evolvere. È il carattere fiero delle Vigne di Istine.

Caparsa

3 – Vino dalla fattezza tradizionale, colore rubino brillante con un po’ di sedimentazione. La leggera evoluzione appare anche nelle note di fiore appassito, la grafite ed i terziari boscosi già sviluppati. In bocca è rotondo ed equilibrato on un tannino leggermente ruvido e il finale piacevolmente sapido. E quel tannino scalpitante non mente:  un Caparsino Riserva di Paolo Cianferoni.

Poggerino

4 – Colore già aranciato e brillante, che già prelude l’evoluzione dei profumi tra foglie di castagno, grafite e pomodoro secco senza però farsi mancare note fruttate di crostata lampone ed i ritorni balsamici e pepati. In bocca ha stoffa, bel sorso ed un tannino in sviluppo che rilascia un piacevole finale sapido. È la mano di Piero Lanza di Fattoria Poggerino con il terroir unico della Vigna Bugialla.

Terrabianca

5 – Colore più violaceo e profondo ma il naso non nasconde il periodo di dumb del vino nella leggera nota ridotta e quelle note di talco mentolato che chiudono all’apertura del frutto. Tuttavia emerge la nota minerale che si ritrova in bocca nel tannino lievemente ferroso ben accompagnato da un’acidità fruttata. Vino figlio di un 2014 nato al sud di Radda, la Riserva Croce di Terrabianca.

Castello di Monterinardi

6 – Il colore caldo dai toni aranciati fa da apripista ad un profilo di frutto raddese decisamente evoluto. Un potpourri di pesche sciroppate, marasche e datteri ben affiancato dalle note tipiche di sottobosco e radice. In bocca, seppur giovane, è ricco di vitalità e persistenza e gestisce già perfettamente equilibrio e rotondità. È la consapevolezza produttiva del Castello di Monterinardi Riserva.

Val delle Corti

7 – Il colore ha una trasparenza quasi fiabesca e riluce come un gioiello. Al naso la freschezza dei frutti rossi: lampone, ciliegina e susina, che si fondono con le note floreali e aromatiche di rosa canina e timo tutto sfumato da una elegante nota iodata. In bocca è scorrevole, fresco e chiude con un piacevole finale agrumato. È senza dubbio l’eleganza tutta nebbioleggiante di Val delle Corti di Roberto Bianchi.

Castello di Volpaia

8 – Il colore aranciato più scuro e pigmentato apre su un profilo olfattivo più cupo. Note di talco, erbe officinali, radici amare, alloro e muschio non senza quel tocco minerale di grafite. Ci sono tutte le note evolutive del Sangiovese nel tempo unite da una signorile compostezza. Stessa compostezza che si ritrova in bocca, con un elegante equilibrio ma anche una vena fresca e salina sul finale. Un Sangiovese del freddo ma di grande classicità per la Gran Selezione del Castello di Volpaia.

Vigna Vecchia

9 – Bella manualità gestionale in questo vino che affronta la 2014 con decisione restando perfettamente varietale. Rosa appassita, spezia dolce, resina e menta, pepe bianco e nota gessosa, tutti figli di un’evoluzione già in corsa. In bocca è ben fatto e perfettamente leggibile. Sangiovese di personalità universale la Gran Selezione di Vigna Vecchia.

Castello di Radda

10 – Sicuramente figlio di un ottima gestione enologica. Qui emergono le note dell’affinamento, vaniglia, talco, note balsamiche e tostate con ritorni di incenso e the nero. In bocca l’annata si racconta nel finale leggermente ammandorlato ma decisamente sapido degno del territorio di Radda. Sicuramente un profilo più teatrale per il Sangiovese Gran Selezione del Castello di Radda.

CONCLUSIONI

Con l’analisi di questi 10 campioni rappresentativi dei componenti dell’Associazione dei Vignaioli di Radda per eterogeneità di filosofia, mercati e dimensione possiamo concludere che indipendentemente dalla differenza di gestione della viticoltura ed enologica anche in un’annata difficile, i vignaioli sono riusciti a mantenere un alto livello qualitativo, valorizzando l’eleganza propria dei vini di questo areale e regalando al Sangiovese personalità varietale e gusto territoriale.

Perciò da questa blind analysis si evince come il terroir umano emerga insieme al territorio stesso, Due facce della stessa medaglia che viaggiano in parallelo. Perché l’annata influenza il profilo espressivo del vitigno ma il territorio resta sé stesso e il demiurgo che lo modella lascia sempre la sua impronta stilistica e culturale, unica e inconfondibile.

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