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Il Cuore di uno Chef – Il Racconto Noir di Giovanni Monticelli – Prima Puntata

Introduzione

Ho voluto raccontare la mia dura vicenda di salute nascondendomi tra le pieghe di un noir tirrenico, il mio mare di gioventù rimasto nel mio animo, pur avendo cambiato sponda nelle Marche adriatiche.
Un trapianto di cuore a Bologna e mille traversie, devo la mia vita alla sanità pubblica, al personale medico, infiermeristico, sarò per sempre grato e cercherò con ogni mezzo di difenderne il valore assoluto di grande civiltà e conquista sociale.
Il cuore è il centro di ogni nostro riferimento umano, amore, emozioni, passioni, sensibilità, metafora di vita e significato del nostro passaggio terreno, metafora del nostro rapporto con il prossimo, con l’altro da noi, il diverso. Non a caso devo prendere farmaci per abbassare le difese immunitarie e fare accettare un estraneo al mio corpo, devo rendere poroso il mio confine personale, accettare il diverso.
Forse nella tragedia e nella sofferenza si presentano occasioni per riflettere e migliorare.
Vi chiedo perdono per la trama noir esile, però di atmosfera.

Ringrazio Sabrina Signoretti per la realizzazione dell’immagine di copertina.

Buona lettura

Prima Puntata (capitoli 1,2,3,4)

Capitolo 1

Area del porto di Livorno una notte di pioggia. Il corpo riverso a terra scomposto era stato ripescato in mare dai sommozzatori dei vigili del fuoco. Il medico legale dopo l’arrivo del magistrato inizia una ispezione visiva. L’acqua del mare ha già fatto ampi danni sul corpo dopo giorni, viene girato e una leggera smorfia di disgusto compare sui volti dei presenti, il costato è aperto tagliato malamente da mano non esperta. La torcia illumina l’interno. Il

medico legale si rivolge al magistrato con voce baritonale: non c’è il cuore!

Il volto è irriconoscibile, un lembo di stoffa è incastrato tra le costole del cadavere, doveva essere di colore chiaro, tessuto consistente liscio semplice, un gilet, forse una giacca da lavoro, una divisa, una giacca da cuoco. Forse.

Ne sapremo di più dopo le analisi in laboratorio. Dottore aspetto le sue considerazioni del caso nel mio ufficio.

La dottoressa magistrato si allontana infreddolita nella umidità fetida del porto, tacchi bassi e vestito elegante sotto il cappotto nero lungo, era a una festa al circolo ufficiali della Accademia Navale quando l’hanno avvertita di correre al porto.

La mattina la relazione del medico legale è in bella evidenza sulla sua scrivania. Il corpo era in acqua da 48 ore, la morte risale a poche ore prima, età apparente 60 anni, il cuore è stato prelevato prima di essere gettato in mare, con un taglio sgraziato da attrezzo in metallo, il lembo di stoffa è di un cotone solitamente usato per giacche da lavoro. Una piccola macchia di caffè sui fogli era la firma solita del medico legale, ne abusava per rimanere

sveglio durante le autopsie. Dottor Domenico Ortolani da Foligno, taciturno e ombroso, soprannominato caffè /accuscì, perché erano le uniche parole pronunciate durante le interminabili autopsie oltre alla descrizione scientifica naturalmente.

Capitolo 2

Il sole picchiava come un martello nelle piazze nude della bassa, a Cerqueto Virgiliese, non si muovevano neanche le strisce di plastica colorate del bar, da pochi mesi diventato Risto-bar con un tocco dirompente di modernità.

I coniugi Giannelli, Eros e Ines, erano assorbiti dai consueti lavori di campagna nella loro casa alla periferia del paese. Ad uno sguardo superficiale. In realtà occupavano il tempo in lavori inutili e senza senso, soprattutto la Ines. L’orto oramai era semi abbandonato, i campi in lontananza erano coperti da lugubri pannelli fotovoltaici, resisteva qualche pianta di pomodoro senza canne e alcuni animali di bassa corte razzolavano liberi, inclusi due conigli.

Abbigliamento trascurato, non scambiavano parola, il trattore parcheggiato sotto la tettoia del capanno con ancora attaccato un attrezzo da lavoro. Era così tra loro dal giorno del funerale del figlio Alfio, esattamente un anno prima a Giugno. Quelli della impresa funebre avevano fatto un buon lavoro, camuffando gli ematomi conseguenti alla caduta in moto e soprattutto niente lasciava intuire al taglio profondo del petto per l’espianto del cuore. I genitori avevano dato il consenso alla donazione, a dire il vero solo il padre Eros. Di questa decisione la moglie non lo aveva perdonato e si era chiusa in un funereo silenzio. Riusciva a mantenere solo il rito dei pasti, in modo automatico, senza entusiasmo.

Un giorno Eros tornò dalla città e disse: ho saputo il nome di chi ha ricevuto il cuore di Alfio, dobbiamo andare a Viareggio.

Capitolo 3

Mi chiami il maresciallo Nespeca per cortesia chiese la Magistrato alla sua collaboratrice. Maresciallo dei carabinieri Emidio Nespeca da San Benedetto del Tronto, investigatore di prim’ordine, 46 anni mal portati, un poco di pancetta e collo corto, pelle rugosa in volto dalla salsedine, in servizio da sempre in mare sulle vedette dei carabinieri del comando di Pescara, allontanato per una inchiesta interna in cui rimase coinvolto, poi assegnato ai

servizi a terra. Vi prego mandatemi in un posto di mare, almeno lo posso vedere, senza il mare muoio. Venne spedito a Livorno cinque anni fa e assegnato alla polizia giudiziaria al servizio della Procura.

Nespeca lei è uomo di mare esperto, non so quanto questo la possa aiutare, mi fido di lei e del suo intuito.

Strinse la mano alla magistrato e non poté fare a meno di notare il colore nero del reggiseno sotto la camicetta di seta. E se ne vergognò.

Dottoressa Eloisa De Dominicis, magistrato alla procura di Livorno, da Parma, brillante e di bella presenza, studi prestigiosi, carriera brillante, 42 anni, sposata con due figli, odia il maree il pesce. Con sguardo preoccupato osserva il maresciallo ingobbito, passo marinaro lento uscire dalla stanza.

Nespeca alla luce brillante del Tirreno, il sigaro toscano ciancicato ripescato dalla tasca della giacca di velluto a coste larghe color verde marcio, fiammiferi di legno, una lunga boccata con il fumo nell’occhio destro, e il pensiero va al reggiseno nero della dottoressa De Dominicis e al leggero appetito vista l’ora del pranzo.

Capitolo 4

Non avevano mai messo piede in un ristorante di lusso e si sentivano a disagio. Il Galeone era il ristorante di Alex Barili due stelle Michelin, candidato alla terza secondo voci dell’ambiente, specializzato in cucina di pesce e cacciagione, panoramica posizione vista mare all’interno di un grande albergo internazionale.

Il maitre alla vista dei due anziani coniugi andò loro incontro con passo svelto, abbiamo prenotato a nome Giannelli.

Un veloce controllo sul librone delle prenotazioni e con fare rassegnato disse “prego mi seguano”.

Dopo l’ordinazione formale, senza capire nulla delle spiegazioni del cameriere, si guardarono intorno alla ricerca del signor Barili come lo chiamava Eros Giannelli, mentre la moglie Ines semplicemente “quello”.

Mangiarono svogliatamente senza capire cosa, con un vino bianco toscano consigliato dal sommelier, a Eros non piaceva e non lo nascondeva. A fine servizio finalmente il signor Barili entrò nella sala a salutare i clienti con larghi sorrisi e baciamano alle signore. Tutto bene signori, da dove venite?

Dalla provincia di Mantova, siamo i genitori di Alfio Giannelli, il donatore del suo cuore, disse il padre mentre porgeva la mano.

Nessuno sapeva cosa dire, il silenzio fu interminabile. Passatemi a trovare, parliamo con calma, voglio conoscervi meglio. Ovviamente stasera siete miei ospiti. Continuò il giro dei tavoli dove era atteso.

Tornarono in albergo a piedi, poco distante, in un silenzio senza speranza. Mi sembra una brava persona disse imbarazzato Eros, con gli occhi umidi. Dobbiamo uccidere quel cazzo di cuoco e riprenderci il cuore di nostro figlio- disse la moglie – per seppellirlo in giardino e così sentire i suoi battiti.

Eros distratto da altri pensieri non capì.

Dopo che Ines grazie alle sue gocce prese sonno, Eros si vestì di nuovo e si diresse verso il ristorante.

Barili era seduto al tavolo da solo con un calice di Col Ila e sigaretta, dalla cucina provenivano rumori degli inservienti impegnati nelle pulizie.

Posso parlarle signor Barili? Prego si sieda, speravo che venisse. Mi scusi per prima, ma avevo degli impegni di lavoro e non potevo…

Posso offrirle da bere? Un whisky?

Grazie se è possibile un Lambrusco, in un bicchiere, ne ho bisogno.

Dopo il brindisi di circostanza, tirò giù d’un fiato il bicchiere di un ottimo lambrusco mantovano. Si sentì meglio.

Tormentandosi le mani callose e la fede, incastrata senza speranza nell’anulare, iniziò a parlare.

Nostro figlio Alfio è morto in un incidente con la sua moto in uno dei passi alpini, non ricordo il nome. per me sono tutti uguali, amava fare un giro di una settimana l’anno con un suo amico motociclista nelle strade alpine , per il piacere delle curve e dei paesaggi diceva, il resto delle ferie le passava a darci una mano in campagna. Quando ci telefonarono dall’ospedale di Brunico capimmo solo le parole il signor Alfio Giannelli e poco altro, e di correre

al più presto in ospedale. Noi non abbiamo la macchina solo il trattore e nostro nipote ci accompagnò. In poche ore arrivammo a Brunico e ci dissero che nostro figlio era tenuto in coma, attaccato alle macchine per eventuale donazione degli organi. Mia moglie Ines era contraria. Anche io, però ricordavo che Alfio a cena in casa parlava con un suo amico della scelta razionale di iscriversi alla associazione dei donatori d’organo, il fegato è danneggiato da vino e salsicce però il cuore è buono diceva ridendo.

Convinsi mia moglie a rispettare le volontà di nostro figlio, ma non so se era in grado di capire ciò che stavamo dicendo, aveva lo sguardo vuoto e sentiva mancare le forze. Dissi al medico che davamo il consenso per l’espianto. Alfio era figlio unico e non aveva una fidanzata, almeno a nostra conoscenza. Eravamo noi a decidere, anzi solo io.

Ci dissero che il cuore era in ottima condizione e avrebbero proceduto.

Da quel momento i rapporti tra me e mia moglie si ridussero a poche parole di circostanza, mi odiava per avere dato il consenso di deturpare il corpo di nostro figlio.

Abbiamo separato le camere con mio grande dolore, lei andò nella camera di Alfio e la riempì di foto crocifissi madonne e rosari.

Cercai di sapere tramite il figlio di un amico impiegato nella sanità, il destinatario della donazione del cuore, pensavo potesse placare le angosce di mia moglie conoscere la persona nel cui corpo batteva il cuore di Alfio. E siamo giunti a lei.

Giunse l’alba, le bottiglie di whisky e Lambrusco erano quasi terminate. Eros parlò sempre del figlio e di quanto la vita sua e di sua moglie fossero state sacrificate al benessere dell’unico amatissimo figlio maschio, perito chimico impiegato in una grande industria a Savio e di quanto dedicasse il suo tempo libero a dare una mano alla piccola azienda agricola di famiglia. Uniche passioni la moto e andare in discoteca con gli amici il fine settimana.

Dopo la sua morte l’orto era stato abbandonato e il terreno era stato ricoperto a lapidi nere

di pannelli fotovoltaici.

Alex Barili raccontò la sua brillante carriera di cuoco stellato, 62 anni dalla provincia di Grosseto, le esperienze in Canada, Francia, Hong Kong e finalmente un ristorante tutto suo in Versilia, Il Galeone, prevalentemente pesce e cacciagione, due stelle Michelin. Le sue disavventure sanitarie, il cuore ballerino forse trascurato che era scoppiato improvvisamente senza avvertenze, il trasporto d’urgenza in ospedale a Milano attaccato alle macchine per un trapianto disperato. In attesa di un cuore entro pochi giorni, pena la deperibilità degli organi e il conseguente distacco. Fortunato almeno in parte, il cuore arrivò ma con un giorno di ritardo, aveva già iniziato ad abbandonare gli organi periferici partendo dai reni.

Uscì dall’ospedale con un cuore non suo, un taglio dallo sterno allo stomaco e i reni fuori uso con conseguente dialisi. La sua presenza al ristorante era di pura formalità per tenere una immagine pubblica, ma la cucina sofisticata famosa per gli abbinamenti spiazzanti era in mano a suoi fidati collaboratori.

Combatteva la depressione con il whisky torbato e sigarette, durante la chiacchierata notturna ne aveva fumate un pacchetto di Camel a cui toglieva il filtro.

C’era di peggio, all’ultima biopsia di controllo gli era stato diagnosticato un rigetto irreversibile che lo avrebbe portato alla morte o ad un eventuale secondo trapianto di cuore dagli esiti poco rassicuranti, quasi scontati.

Ricominciare da capo non me la sento, meglio morire. Si accese l’ennesima sigaretta e si versò l’ultimo whisky rimasto.

Le farebbe piacere, meglio, gioverebbe alla vostra serenità riprendervi il cuore di vostro figlio?

Chiese a Eros mentre beveva la fine della bottiglia di Lambrusco che gli andò di traverso.

Mi scusi signor Barili non ho capito che vuole dire?

Dico che per me è la fine, non voglio farmi operare di nuovo e uscire dall’ospedale con nuove menomazioni, sacchetti attaccati al corpo e schifezze varie, finire accudito a letto come una larva e farmi i bisogni nel pannolone. No piuttosto meglio farla finita. E allora uscire di scena con un gesto nobile. La faccio finita e riprendetevi il cuore di vostro figlio se questo può rendervi pace e serenità, certamente non rendervi la sua vita. Un luogo dove piangere il suo cuore che io inconsapevolmente ho portato nel mio petto.

Vi chiedo un ultimo favore, l’ultimo viaggio della mia vita vorrei finisse in mare, il mio amato Tirreno, di tramonti e dei bagliori acceccanti nei pomeriggi da bambino, si ritorna sempre alla casa del padre alla fine.

I tavoli di fòrmica verde, gli spaghetti con le telline, la sabbia da pulire, un bacio non dato, un bagno al crepuscolo in spiaggia deserta, un amore di fine estate, un tramonto.

Le chiedo di abbandonare il mio corpo in mare dopo aver preso il cuore non mio. Il corpo, questo corpo, non mi appartiene. Ho già procurato una pasticca di cianuro. Dobbiamo metterci d’accordo sui tempi.

Passi a trovarmi domani prima di ripartire, le darò un foglio con le istruzioni necessarie.

To be continued

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