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Lazio

Castelli Romani – un altro vino è possibile: l’esempio dell’Azienda Agricola Le Rose

Assaggiare questi vini mi fa constatare per l’ennesima volta quanto sia imperdonabile il limbo in cui tuttora si dibatte l’areale dei Castelli romani. E interrogare sui perché di un declino che ormai dura da diversi decenni e di una rinascita che ancora stenta ad affermarsi. Basta un viticoltore dalle idee chiare, come in questo caso, per ottenere bottiglie da buone a ottime.

I vini di Aldo Piccarreta, messi a punto da un enologo di grande preparazione ed esperienza come Luca D’Attoma, dimostrano la straordinarietà e l’eccellenza di un terroir come quello dei Castelli, favorito dal suolo vulcanico e dalle temperature collinari miti, anche grazie alle brezze marine che arrivano fin qua. Bianchi puliti e delicati ai profumi, ricchi e complessi al palato, ottenuti da uve tipiche come la Malvasia Puntinata, ma anche da vitigni non frequentatissimi nel circondario (e di prima classe, come Fiano e Verdicchio), che testimoniano la spiccata vocazione bianchista di questo angolo di Lazio a ridosso della Capitale. E ci sarà occasione in futuro di valutare anche i rossi, basati su Cesanese e Cabernet Sauvignon.

Attiva da una quindicina d’anni in un’area appartata come quella tra Genzano e Velletri, l’Azienda Le Rose ha puntato presto al biologico, riducendo al minimo le quantità di zolfo e rame, sperimentando l’uso di propoli e alghe marine e di tecniche di potatura mirate a salvaguardare la salubrità del terreno. Lo stesso è accaduto in cantina, con una riduzione significativa della solforosa. Laicamente è stato scelto di usare lieviti selezionati (certificati bio); fermentazione e affinamento si svolgono in vasche di cemento, inox e botti di rovere.

Ciò che è più importante, anno dopo anno i vini hanno confermato le positive impressioni arrivate fin da subito, con una richiesta che oggi esorbita la piccola produzione annuale (circa 80mila bottiglie).

Vero e proprio campione di autenticità è il primo vino che degustiamo, l’Artemisia Lazio Bianco Igp 2017. Nasce da Malvasia Puntinata in purezza, il vitigno bianco più caratteristico dell’area, trascurato per decenni a vantaggio della “cugina” Malvasia di Candia, più robusta e produttiva ma meno interessante nel bicchiere. Naso pulito e gentile di fiori di campo, erba sfalciata, pera, agrumi, frutta secca; in bocca è fresco e immediato, di buon carattere e dinamica, abbastanza sapido e persistente; chiude ammandorlato con un ricordo di pesca tabacchiera. Solo acciaio.

Il Tre Armi Lazio Bianco Igp 2017 è invece un singolare blend con Malvasia Puntinata in prevalenza (70%) e saldo di Verdicchio (30%), uva ormai poco utilizzata in zona ma che in passato era coltivata anche qui, prima di essere soppiantata dal più remunerativo Trebbiano. Olfatto simile ma più esplicito del campione precedente, con frutta bianca, nocciole fresche, pepe bianco, pera coscia, miele millefiori e lievi ritorni vegetali. Sorso salino e affilato, slanciato, di media struttura, con ottima bevibilità e buon finale giocato sul contrasto tra note amarognole (arancia) e dolci (albicocca, frutto della passione). Una parte della massa fa un breve passaggio in botte grande.

Il Colle dei Marmi Lazio Bianco Igp 2015, da uve Fiano al 100%, è il bianco aziendale di punta. Un altro vitigno non propriamente diffuso da queste parti: anzi, quello delle Rose è l’unico esempio presente nell’areale dei Castelli, zona vulcanica così come l’Irpinia, e ciò rende l’assaggio quasi “didattico”. Il produttore ci ha fornito due bottiglie con qualche anno alle spalle, questa e la 2014 che vedremo tra poco, proprio per dimostrarne le capacità di invecchiamento. La 2015 odora di foglia di limone, erbe aromatiche, melone bianco, pompelmo, con cenni di crema pasticcera e una lieve nota minerale probabilmente dovuta al prolungato affinamento in vetro. Ingresso deciso al palato, rotondo, quasi glicerico, beva piacevole, ampia e progressiva, chiusura coerente, molto saporita, su toni di frutta bianca matura (pesca). Ancora giovane ed elegante, tonico nonostante l’annata più calda della media.

Il Colle dei Marmi Lazio Bianco Igp 2014, invece, sembra scontare un po’ la vendemmia fresca e piovosa. Toni leggermente evolutivi al naso, caramella mou, camomilla, menta, miele d’acacia, frutta gialla acerba. In bocca ha una sua personalità, è molto sapido e abbastanza scorrevole, ha come un’esitazione a metà sorso ma recupera sufficiente tensione e fibra nel finale, dove riemergono le note di frutta non pienamente matura (ananas, pesca) già avvertite all’olfatto. Gli manca comunque un po’ di equilibrio e probabilmente durerà meno a lungo del 2015. Fermentato e affinato sulle fecce fini in botti grandi e inox, il Colle dei Marmi esce sul mercato un anno dopo rispetto agli altri bianchi.

L’Ultimo Lazio Bianco Igp 2012 è un vino dolce ricavato da uve di Malvasia Puntinata, Gros e Petit Manseng fatte appassire in pianta e vendemmiate a inizio novembre. I due vitigni francesi, strettamente imparentati come si evince dal nome, hanno la buccia spessa e per questo sono particolarmente adatti all’appassimento. Ne nasce un liquido piacevole, non molto complesso, che profuma di datteri, finocchietto selvatico, albicocca, susina, miele millefiori, spezie scure. Di struttura non enorme eppure leggermente tannico, dolce ma ben contrastato da un’acidità lievemente amarognola che regala slancio. Persistenza segnata da zucchero a velo, scorza d’arancia e tabacco. La Malvasia e i Manseng vengono fatti fermentare e affinare separatamente per circa un anno in tonneaux da 500/600 litri e poi assemblati.

Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…

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