Utilizzare il termine “fusione” al giorno d’oggi richiede estrema cautela. Parliamo piuttosto di contaminazioni..anzi no anche quello rischia di diventare pericoloso. Perché non parlare di cultura del cibo, di unità tra popoli, di tolleranza nelle reciproche concezioni diverse di come si possa allietare il palato.
Mario Siano ha da sempre il pallino per il Giappone. La laurea in marketing in comunicazione d’impresa non gli bastava: decide di ricominciare daccapo negli studi, dal primo anno dell’Istituto Alberghiero, per imparare le tecniche di preparazione degli alimenti. Utilizza il negozio-boutique di famiglia che porta il nome della nonna Nia e nel 2019, all’alba del più grande cambiamento epocale della storia umana, avvia la ristrutturazione dell’attività muovendo i primi passi del Nia Restaurant.
Lo fa a proprio gusto scegliendo uno stile orientale sia nell’arredamento, suddiviso tra un bancone a vista sulla cucina, sia tra i pochi, esclusivi tavoli ideali per assaporare con calma la ricca offerta gastronomica. Lo aiutano nell’arduo percorso Sara e Francesco che hanno il compito di accogliere gli avventori e guidarli negli abbinamenti utilizzando anche la mixology. La vera rivoluzione ha così inizio il 14 ottobre dello scorso anno, in una delle rare pause della pandemia, ed è stata subito accolta con favore dalla critica del settore e dai clienti per nulla avvezzi alla cucina “giappo-napoletana”. Ma cosa apportano entrambe le culture al modo di concepire il food in Campania? Ce lo chiarisce Mario, parlando a proposito dei tanti locali all you can eat di sushi che hanno preso piede in tutte le città.
«Devi sapere, caro Luca, che il controllo della qualità degli alimenti nasce dalle antiche usanze giapponesi. Il contenitore di legno avvolto da panni di lino era infatti il miglior metodo per prevenire il deterioramento delle materie prime. Gli all you can eat dove puoi mangiare a basso prezzo sono diventati una mania proprio per l’aspetto puramente economico. Bisogna riconoscere che non tutti lavorano male perché utilizzano gli stessi mercati per le forniture. La vera differenza la avverti, spesso, nella lavorazione e conservazione del prodotto. Inoltre la maggior parte delle pietanze proposte non proviene dalla vera cultura nipponica; gli uramaki, ad esempio, sono stati inventati da emigrati orientali in California! Pochissimi fanno il sashimi (una sorta di carpaccio sottilissimo di pesce crudo) in Italia; tieni presente infine che il primo trattato di cucina è stato redatto proprio in Giappone nel 1600, ben 2 secoli prima dei francesi e di Pellegrino Artusi. La nostra tradizione meridionale è fatta di consistenze, sapori e cotture prolungate. Il gioco sta tutto nel renderla quanto più delicata possibile grazie alle tecniche di lavorazione del pesce ed alle salse a base di erbe e radici utilizzate da millenni nel Paese del sol levante».
Le chiacchiere fanno venire appetito. Cominciamo il nostro viaggio degustativo con 2 amuse-bouches: il primo consiste in un mini sandwich di crostino di segale e sesamo bianco con all’interno una mousse di burrata e sopra un battuto di gambero del mediterraneo marinato e maionese alla papacella. Il peperone si esalta tra i miei ricordi di infanzia, quando a Natale non mancava mai nell’insalata di baccalà.
La seconda entrée si presenta come una cialda di pasta fillo ripiena di mousse alla melanzana con marinatura di salsa alla soia, mirin e polvere essiccata di edamame. Davvero semplice e sublime. Segue una piccola interruzione con la portata del pane, costituita da un panino fatto da grani di macina antica, accompagnato da kizami wasabi (la foglia del wasabi) emulsionata in olio Extravergine di Oliva, sale di Maldon e origano montagna palmese. Altra necessaria digressione di Mario sul wasabi: «una radice spontanea nata da un particolare tipo di rafano, che cresce vicino alle paludi salmastre. La foglia esterna è morbida e non ferrosa, mentre la piccantissima radice viene raccolta, pulita e grattugiata con un particolare strumento formato da pelle di squalo ruvida ed essiccata, non traumatico ai fini della preparazione finale. In Italia la radice del wasabi non arriva sempre a causa dei costi elevatissimi (quasi 300 euro al chilo). La radice è importante perché, inumidita, crea un perfetto impasto che si amalgama bene alla salsa di soia. Normalmente invece la troviamo già in polvere da miscelare con acqua, ma la qualità in questi casi è di gran lunga inferiore».
Proseguiamo con i gyoza, classici ravioli di carne dalle antichissime origini, con ripieno di pollo al curry giapponese, distesi su salsa teriyaki alla mela annurca e brunoise di mele e nocciola, con consommé finale sempre di nocciole e brodo di dashi (composto di norma da acqua, alga combu e katsuobushi). Abbinamento insolito con un gin tonic su infusi di mela annurca e fichi disidratati. Semplicemente da togliere il fiato: il piatto migliore della serata e, probabilmente, uno dei migliori mai assaggiati in tanti anni di onorata carriera.
Chiudiamo i sipari con una rivisitazione della genovese, fatta da uno stufato di bufalo cotto sottovuoto e nappato nei suoi succhi ridotti, marinato con agrumi, pepe di sichuan, soia e miele. Accanto una gelatina in sfoglia di cipolla rossa di tropea, con guarnizione di cipolla fritta e brodo di dashi. Il tutto viene disteso su una vellutata di carote e zenzero. Straordinaria l’abilità manuale nella realizzazione di questa piccola opera d’arte, che esprime il meglio di sé dopo aver assaggiato contemporaneamente la cipolla e la carne. La cottura a bassa temperatura consente un’esplosione di gusto al palato dalla lunghissima persistenza.
La petite patisserie finale viene servita con un bicchiere di Umeshu, assoluta novità per il sottoscritto, un liquore dalla bassa gradazione alcolica (tra 10 e 15 gradi Vol.) ricavato dalla macerazione della ume (prugna verde) che ne ricorda al sorso il sentore unito a quello di ciliege mature. Il sogno di Mario e del suo staff è proprio questo: trasmettere storia, cultura e stili apparentemente diversi, magari in un locale ancora più familiare in futuro, con una sorta di tavolo centrale e le maestranze che cucinano a vista al centro.
頑張る – “ganbaru” ovvero buona fortuna!
Nia Restaurant
Via Roma, 109
80036 Palma Campania NA
Tel: 081/18821400
Chiuso il lunedì
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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