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Al Peršéf a Livigno: coccole e cibo al top, per sciare con più gusto

Arrivateci al tramonto, passando da nord, quando il cielo si tinge di rosa e arancio. Lo spettacolo della distesa di alberi innevati, che si incontrano nella discesa che attraversa il Parco Nazionale Svizzero e porta verso l’imbocco della galleria Munt La Schera vi lascerà senza fiato. La meraviglia prosegue subito dopo, quando si sbuca in territorio italiano, e si fiancheggia il Lago di Livigno, che delimita a nord l’abitato. Una mezz’ora d’auto (traffico alla dogana permettendo) che mi aveva rinfrancato delle altre 9 ore impiegate per attraversare mezza Italia. 

Arrivare a Livigno è decisamente scomodo: un posto tanto magnifico, quanto isolato. Sondrio, la provincia di appartenenza, dista circa 100 Km (di strade non proprio “agevoli”…): è anche per questo che qui vige lo status di zona extradoganale, che lo ha reso esente da diverse imposte, tra cui la famigerata IVA. Un fattore che ha senz’altro contribuito negli anni allo sviluppo di un florido turismo, con notevoli investimenti su attività commerciali e strutture ricettive. Oggi a Livigno arriva gente da tutta Europa, più che dall’Italia: ovviamente Svizzera, Austria, Germania, ma anche una massiccia presenza di turismo da Paesi dell’Est. Il centro – con un’ampia zona pedonale che invita allo “struscio” – è un susseguirsi senza sosta di negozi, con marchi di alta moda e tutta l’attrezzatura sportiva che potete immaginare: poi ristoranti, hotel, B&B, enoteche e tante (troppe) profumerie (le uniche cose davvero vantaggiose da acquistare mi sono sembrate gli alcolici e i tabacchi, per il resto i prezzi sono più o meno allineati al mercato…).

Avevo scelto Livigno per due motivi molto semplici: garanzia di neve (tanta neve) a dicembre e skipass gratuito (che per una famiglia di 4 persone ha il suo peso…). Sono andato via pienamente appagato e con la voglia di tornare presto. Merito di un comprensorio sciistico che non è grandissimo, ma che ha piste ampie, assolate, ben battute e divertenti. Ma merito anche di una struttura, l’ Hotel Sporting Family Hospitality, che farebbe felici tanti lettori di Vinodabere, attenti ed esigenti, che cercano sostanza nella forma, e per i quali una buona cucina e una degna carta dei vini sono il prerequisito di una buona esperienza. Qui l’accoglienza e la cura per i dettagli dei Bormolini, storica famiglia di imprenditori locali, porta lo standard di servizio ad un livello davvero alto, mantenendo tuttavia quel calore e quella spontaneità che fanno tanto aria di casa.

Partiamo dalla posizione, perché siamo qui per sciare o no? Dalla ski room fate qualche gradino di scale, 50 metri sci in spalla e siete alla partenza della ovovia Carosello 3000, che vi porta subito in quota. Davanti l’hotel c’è anche il punto d’incontro per lo Sky Link, l’autobus gratuito (come tutti quelli livignaschi) che fa la spola tra i due versanti del comprensorio, per cui potrete sciare senza problemi fino a chiusura impianti. Sia nelle ampie stanze, di sobria eleganza, che negli ambienti comuni, la pulizia è impeccabile, quasi esagerata, con un personale attento e instancabile. L’area benessere è degna di una struttura 5 stelle, divisa tra parte family, dove i più piccoli possono giocare e sguazzare in libertà (in un parco giochi interrato, mentre i genitori li guardano da una vetrata sorseggiando un aperitivo: primo bonus), e un’articolata zona per adulti, dove, tra relax e spuntini detox, vi aspetta uno staff preparatissimo che propone massaggi molto professionali (secondo bonus). C’è anche una palestra piccola ma ben fornita, per i più sportivi, e, come si addice per un family hotel, un servizio di intrattenimento per i piccoli ospiti davvero eccellente.

Passiamo però agli aspetti enogastronomici, che sicuramente interessano ai nostri lettori. All’interno dell’hotel ci sono due ristoranti: quello, diciamo così, “quotidiano”, riservato a tutti gli ospiti che scelgono di abbinare i pasti al soggiorno, nelle formule mezza pensione e pensione completa; quello più “esclusivo”, Al Peršéf, prenotabile separatamente da chi vuole concedersi una serata gourmet di primo livello. In entrambi i casi la cucina è varia e accurata, con porzioni giuste e una bella carta dei vini, soprattutto se ci si orienta su prodotti di territorio. Ma è al Peršéf che l’esperienza raggiunge alte vette, come quelle che si intravedono dalla sua ampia vetrata.

Il peršéf in dialetto livignasco è l’antica mangiatoia presente nelle baite, quando d’inverno le mandrie una volta scese dall’alpeggio, potevano trovare il prezioso fieno per affrontare la rigida stagione. Situato in un piano rialzato del corpo centrale dell’hotel, conta una manciata di tavoli che possono servire poco più di 20 coperti. Per questo motivo lavora principalmente su prenotazione, dal martedì alla domenica, ma è accessibile anche per gli ospiti esterni. La piccola ed elegante sala si affaccia da un lato sulla suggestiva Valle di Livigno e dall’altro sull’altrettanto suggestiva cucina a vista, che permette ai clienti di entrare in contatto con le creazioni del giovane chef Attilio Galli e della sua altrettanto giovane brigata.

Il servizio attento e discreto diretto da Michele Mallao accompagna gli ospiti in una piacevole esperienza alla scoperta dei differenti percorsi che hanno segnato la crescita professionale dello chef: il tradizionale (My Memories – My Way), il vegetariano (VEG – Primo Passo) e quello ispirato ai profumi e sapori d’Oriente, grande passione di Galli (Andata e Ritorno). Ovviamente il fil rouge è l’utilizzo di materie prime selezionatissime e che seguono la stagionalità. La cantina dispone di un’accurata selezione di vini italiani e internazionali, dove non mancano le grandi etichette, ma che offre il meglio di sé quando si va scovare piccoli produttori della Valtellina e dintorni.

Attilio Galli ha avuto un percorso sostanzialmente da autodidatta, che lo ha portato a sviluppare un’idea di cucina originale e autentica, esplorando rotte culinarie non scontate, in un ideale viaggio dalle Alpi all’Oriente, sua grande passione. “Mi piacevano i sapori asiatici e l’unione tra Livigno e il Giappone, per alcuni fantascientifica, si è rivelata interessante”. Nasce così una cucina che non si pone confini, né geografici e tantomeno di gusti. Qui il cervo incontra la salsa wasabi e il fegato d’anatra si sposa con il fungo koji, in una commistione stravagante e coinvolgente.

Come primo approccio alla cucina di Galli ho scelto il menù più identitario, il My Memories – My Way. Per il vino mi sono affidato al sommelier Paolo Rondalli, giovane e preparatissimo, già con un bagaglio di esperienze di alto livello. Si parte con piccole e gustose sfiziosità in abbinamento ad un divertente sidro spumantizzato, il MelaGodo Metodo Classico: uno spumante dell’azienda agricola Del Fatti Laura ottenuto da mele Valtellinesi coltivate in montagna. L’abbinamento mi ha sorpreso: un modo originale e funzionale per “avvinare” il palato e prepararlo al susseguirsi dei piatti.

Si prosegue con una carne: il maialino da latte, sansho, umami, cavolo nero, artemisia e levistico. Un’apertura equilibrata, che viene un po’ sovrastata dall’esuberanza aromatica del Ca’ Brione del noto produttore Nino Negri, un bianco da blend di uve delle Alpi Retiche, in cui il Sauvignon esce un po’ troppo protagonista.

Mi è parso più riuscito l’abbinamento del Primordiale – piatto a base di grano saraceno, cagliata, primosale, pesteda, verza e patate Verrayes (un Presidio Slow Food della Valle d’Aosta) – con il Bianco da Nero di Marcel Zanolari, anticonformista vigneron della Valtellina, dedito alla biodinamica: un vino di grande carattere e pulizia, sorprendentemente elegante e bilanciato per la tipologia.

Poi, un altro accostamento inusuale: i ravioli di capretto, curry alpino, nasturzio e blu di capra (la versione originale prevede anche le animelle, che ho preferito evitare) serviti insieme a un cocktail a base di vermut Del Professore e amaro Maira, dell’azienda La Valchiavenna: qui si gioca (in maniera riuscitissima) sul filo della speziatura, con l’inusuale mix di botaniche miscelate che si intreccia a perfezione con i sapori del piatto.

Segue un altro primo: lo Spaghettone “Mancini”, brodo affumicato, panna acida e garum di funghi, abbinato al primo rosso della serata, un inusuale Syrah delle Alpi Retiche – il Santa Perpetua di Triacca – il cui profilo fruttato-speziato va a rafforzare il sapore di un piatto, già di per sé intenso.

A chiudere, prima dei dolci, capriolo, yukke, castagne e scorzonera, cucinato con maestria e ottimamente accostato a un Valtellina Superiore non più in commercio, Al Regiur di Vini dei Giop, una piccola azienda purtroppo scomparsa, di cui il peršéf  custodisce gelosamente le ultime bottiglie.

I dolci sono all’altezza del menu e contribuiscono a rendere speciale un’esperienza completa sotto ogni punto di vista: dal luogo magnifico, al servizio impeccabile, passando per la cucina sincera di Galli e per l’originale e azzeccatissimo abbinamento dei vini. La strada è lunga, ma l’esperienza al ristorante Al Peršéf dell’Hotel Sporting Family Hospitality vale il viaggio.

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Abruzzese, ingegnere per mestiere, critico enogastronomico per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri, con cui ancora collabora. Vino, distillati e turismo enogastronomico sono la sua specializzazione. Nel tempo libero (poco) prova a fare il piccolo editore, amministrando una società di portali di news e comunicazione molto seguiti in Abruzzo e a Roma. Ha collaborato per molti anni con guide nazionali del vino, seguendo soprattutto la regione Abruzzo (ma va?), e con testate enogastronomiche cartacee ed online. Organizza eventi e corsi sul vino...più spesso in Abruzzo (si vabbè...lo abbiamo capito!).

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