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CHIANTI CLASSICO LA SALA DEL TORRIANO: TRADIZIONE MODERNISTA – VINODABERE – Esperienze nel mondo del vino, della gastronomia e della ristorazione
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CHIANTI CLASSICO LA SALA DEL TORRIANO: TRADIZIONE MODERNISTA

Quando raccolsi l’invito della giornalista Roberta Perna a visitare l’azienda non potevo immaginare quanto bellezza potesse nascondersi tra le colline di San Casciano in Val di Pesa.

Ammetto la mia mancanza nel non aver visitato questa parte di Toscana, dirimpettaia di Bargino roccaforte storica degli Antinori con i gioielli Tignanello e Solaia.

Quando parliamo di Chianti Classico immaginiamo facilmente le colline senesi, i vari Gaiole, Radda, Greve e Castelnuovo Berardenga. Spingendosi verso il limitare della provincia di Firenze esistono però piccole porzioni di territorio sparso tra vari comuni che sanno garantire la stessa qualità, grazie a terreni similari per impasto e forti escursioni termiche.

Tutta colpa del cantar del gallo narra la leggenda, se i confini stabiliti nel Medioevo hanno privilegiato le terre senesi. Molto più praticamente, ci furono anni di battaglie sanguinose concluse con gli accordi di Fonterutoli e da allora poco o nulla è cambiato.

Il bello della storia, che in Toscana è sacra. Ed a proposito di storia,  Il Torriano è l’azienda storica della famiglia Rossi Ferrini, di cui si ricorda il professor Pierluigi, medico e autentico luminare dell’ematologia.

L’avo Piero Cateni la acquistò nel 1937 per allevare la vigna e vendere l’uva, e con essa riuscì a contribuire alla valorizzazione ed all’affermazione del territorio vinicolo di Montefiridolfi, ma già da un atto notarile del 1217 si parlava del “Torniano” come di “un castello venduto al Vescovo di Firenze con la terra, i borghi, tutti coloni, gli affittuari, gli uomini di ogni ceto con i loro genitori, figli, discendenti, servi, ed i beni posseduti nella corte e distretto.”

La Sala invece venne acquisita nel 2014 dalla precedente proprietaria Laura Baronti, che aveva dato lustro a quell’antico possedimento della famiglia dei Medici, fra i principali artefici della ricchezza culturale fiorentina e toscana, e conosciuta con il nome di “Grande Terra Murata”.

Ai 22 ettari del Torriano si aggiunsero quindi i quasi 13 de La Sala, per creare un’unica struttura produttiva, ottenendo il meglio dai due areali, diversi per esposizioni, altitudini ed impasto del terreno: alberese a La Sala, classico “macigno” friabile, composto da arenarie silicee e calcaree, tipico delle migliori zone del Chianti Classico.

Un team giovane e dinamico, a cominciare dall’enologo Ovidio Mugnaini, che ha sposato la filosofia del “less is more”, ovvero del meno è meglio, cercando di ridurre i tempi di sosta del vino nei tini di legno, preferibilmente di grandi dimensioni e modernizzando le pratiche in vigna ed in cantina. Invertendo la celebre frase di Tomasi da Lampedusa autore del Gattopardo, potremmo dire che “nulla cambia affinché tutto possa cambiare”.

La cantina è rimasta pressoché identica ed anche i vigneti, tolto qualche inevitabile reimpianto dovuto a vetustà delle piante.

Quello che è cambiato, invisibile agli occhi, sono le cure maniacali, le microparcelle e conseguenti vinificazioni, per creare prodotti modellati con la maestria e la misura di un sarto perfetto. Non si può lasciare nulla al caso, ma bisogna verificare quotidianamente ed apprendere dai propri errori, sperimentando altresì nuove soluzioni.

A tal proposito è in atto un lavoro interessante su un vitigno storico come il Pugnitello, fermentato ed affinato interamente in anfora, dopo una lunga macerazione sulle bucce di oltre 90 giorni, che darà sicure soddisfazioni ai Rossi Ferrini.

Con il tempo si è deciso anche per due selezioni da single vineyard, ciascuna proveniente da parcelle di circa un ettaro e mezzo: la Gran Selezione e il supertuscan “Campo all’Albero” da Cabernet Sauvignon e Merlot in parti uguali.

Curiosità: l’etichetta della Gran Selezione, della Grappa e del Vin Santo sono state realizzate dall’artista toscano Silvano Campeggi, in arte “Nano” (Firenze 1923 – 2018).

È Nano che ha dipinto tutti i cartelloni del grande cinema Americano in Italia tra cui, per citarne solo alcuni, Colazione da Tiffany, Ben Hur, Casablanca, Via col Vento

Veniamo agli infiniti assaggi dei loro prodotti, in un paragone tra le varie annate per vederne aderenza ed evoluzione.

Volessimo riassumerle in maniera spicciola con degli aggettivi, potremmo qualificare la 2018 floreale, la 2017 potente e la 2016 completa.

CHIANTI CLASSICO 2018 – un piccolo saldo di Merlot (5%), giusto per smussare alcune asprezze del Sangiovese. Molto agrumato e sapido in danza da derviscio tra arancia sanguinella e salgemma, note vegetali ancora presenti che distraggono dalla prontezza di beva eccellente. Per coniare un neologismo possiamo definirlo “agrumoso”.

CHIANTI CLASSICO RISERVA 2017 – niente Gran Selezione durante questa annata torrida iniziata con delle tremende gelate primaverili. Le uve sopravvissute sono state dirottate verso la Riserva, con un 10% di Cabernet Sauvignon. Grande frutto, tendenzialmente scuro, di ribes e more di gelso. Speziato ed equilibrato, con tannini ben integrati che amplificano la lunghezza del sorso. Uno smoking.

GRAN SELEZIONE 2016 – ho trovato spesso questa tipologia non costante, usata sopratutto per avvicinarsi a gusti internazionali. In questo caso, il Sangiovese in purezza è straordinariamente dinamico, teso su pompelmo rosa, scorzette amare e note ematiche finali. Trama tannica nervosa, che darà il meglio di sè dopo un lungo riposo in cantina. Mi ricorda le giovanili ferrate in montagna, quelle arrampicate faticose in cima alle quali si scorge un panorama da lasciare senza fiato.

CAMPO ALL’ALBERO 2016 – qui i richiami di tostatura del legno si avvertono, non stancano ma rendono comunque il vino impegnativo e da abbinamento gastronomico. La tipologia ha salvato il Chianti Classico dalla probabile estinzione negli anni 80, ma forse è il momento per giungere ad una seria revisione degli schemi canonici. La frutta diviene concentrata, quasi marmellatosa di amarene e lamponi. Mentolato nel finale.

Gli extra assaggi di giornata, verso le vecchie annate, sono:

CHIANTI CLASSICO 2014 – bello quando il Sangiovese comincia a tingersi di sensazioni sanguigne, quasi di carne fresca. Unica etichetta immessa in commercio in quell’annata complessa per le piogge incessanti, consentita soltanto da un settembre caldo e asciutto che ha fatto maturare tardivamente i pochi grappoli ancora utilizzabili. Petali di rosa appassita, geranio e pepe nero in grani a chiudere il bellissimo quadro. Un vegliardo.

CHIANTI CLASSICO RISERVA 2016 – spaziale, se la Gran Selezione dimostrava complessità e tensione minerale, qui tutto risulta in estremo equilibrio. Delicata, da essenze di violetta e glicine, amarena croccante e ribes rossi. A fare i pignoli manca solo quell’allungo finale ciclistico da gran scalatore. Composto.

CHIANTI CLASSICO RISERVA 2015 – scuro e denso, di confettura di mirtilli, liquirizia e note salmastre. Molto potente, forse il meno intrigante dei tre proposti.

– GRAN SELEZIONE 2015 – Chiudiamo col botto e che botto! Equilibrio pazzesco, da gelée di lamponi e sorso appagante, su toni caldi e fruttati. Non manca un richiamo di eucalipto tipico del prodotto.

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Scritto da

Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.

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