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Valcerasa, l’Etna nel bicchiere

Con i vini dell’Etna è stato amore a prima vista. Ho imparato a conoscerli a Roma, dove i produttori più attrezzati (Benanti, Tenuta delle Terre Nere, Murgo…) cominciavano a farsi notare presso le enoteche, più o meno a metà del primo decennio del 2000.

Mi attirava, in quei vini, la capacità del Carricante e del Nerello Mascalese, principali protagonisti rispettivamente delle Doc Etna Bianco e Rosso, di coniugare freschezza, succo, finezza e la mineralità così identitaria di quelle terre vulcaniche. In un momento storico dove cominciava a declinare la moda del vino morbido, iper fruttato e iper barricato, avevo l’impressione che con gli Etna si andasse in una direzione totalmente diversa.


E poi è stato amore vero quando ho potuto esplorare il territorio dell’Etna, esattamente dieci anni fa, a caccia delle cantine già famose e di quelle più appartate. È così che, confortato dal clima fresco e dall’aria cristallina di luglio, lontano dall’afa opprimente della grande città, ho scoperto un mondo, dove il vino era tra le attività commerciali più fiorenti fino all’inizio del XX secolo, grazie anche all’assenza della fillossera che stava distruggendo gran parte delle vigne europee, con una superficie vitata di 50 mila ettari; e aveva poi conosciuto un lento ma costante declino legato principalmente alle guerre mondiali, come accaduto in diverse zone d’Italia.
In quella circostanza ho conosciuto Alice Bonaccorsi e Rosario Pappalardo dell’azienda Valcerasa, in contrada Crucimonaci a Randazzo, ho apprezzato la naturalezza espressiva e l’eleganza verace dei loro vini (un tutt’uno con il carattere e la personalità della coppia che li produce), assaggiati già a Roma grazie all’attento lavoro di ricognizione di Roberto Giovannardi e dell’enoteca che gestiva allora a Monteverde.
A distanza di dieci anni, dunque, durante una rapida tappa agostana in zona per motivi familiari, ho deciso di spendere il poco tempo libero ai piedi della “muntagna” ritornando proprio a Valcerasa, dove ho trovato immutato il carattere delle persone e dei loro vini.
Immutato anche il palmento all’interno della proprietà, luogo dove anticamente tutti gli agricoltori dell’Etna pistavano l’uva, e il mosto scorreva lungo corridoi che lo riversavano in grandi vasche di pietra.

Oggi non si può utilizzare per motivi burocratici e sanitari, ma il fascino del luogo resta intatto. Rosario e Alice sono alle prese con il (lento) restauro degli edifici rurali della tenuta, che saranno riutilizzati per l’accoglienza e la logistica.

Anche il parco vigne si sta modificando, con l’acquisizione di qualche ettaro di Carricante per aumentare la produzione del Bianco.
Siamo a circa 800 metri di altezza, dove le uve, suddivise in terrazzamenti separati da muretti in pietra lavica, sono allevate ad alberello su circa 15 ettari di terreno tendenzialmente sabbioso e ciottoloso regalato dal vulcano. Pratiche spartane e artigianali, con zolfo ramato e sovescio sul campo e fermentazioni spontanee in cantina, dove l’uso del legno è riservato in maniera pressoché esclusiva ai cru.
Il vino ogni anno è espressione dell’annata intesa come clima, emozioni ed eventi collaterali”: è la sintesi della filosofia di Alice e Rosario, che hanno cominciato più di vent’anni fa a fare vino con l’aiuto della cantina Benanti e di Salvo Foti, uno dei personaggi chiave della rinascita enologica dell’Etna.

Oggi le trentamila bottiglie annue vengono vendute in gran parte (70 per cento) all’estero, storicamente vanno molto forte negli USA.
Nell’ultima visita purtroppo mancavano all’appello il Rosso Cru Cimonaci e il bianco Noir. Ma l’assaggio dei tre vini che seguono non ne ha fatto sentire la mancanza…
I VINI


Etna Bianco Doc 2018. Profumi esuberanti, fiori bianchi e gialli (ad Alice ricorda il fiore del nespolo, che erompe in autunno), torba, anice, crosta di pane, leggera affumicatura, frutta secca (nocciola e mandorla), pesca tabacchiera. Sorso ricco e pieno, salato, slanciato, ricco di sapore, lunga persistenza sul frutto.


Rosso Relativo Igt Terre Siciliane 2018. Vino dalla storia complessa, nato come Etna Rosato Doc, Igt dal 2011 quando la commissione pensò bene di giudicarlo “rivedibile” (definizione che fu riprodotta in etichetta…) per via di una leggera ossidazione che a mio parere non è un difetto ma un suo carattere peculiare. Profondamente minerale e affumicato (odora proprio di cenere vulcanica!), spiccata ciliegia, cannella, melograno, fico d’India. Bocca che è puro succo di Etna, di discreta struttura, assetto più vicino a un Village borgognone che a un rosato. Frutti rossi e neri (amarena) nella lunga chiusura. Delizioso.


Etna Rosso Doc 2015. Nerello Mascalese con saldo del 15-20% di Nerello Cappuccio. Caldo di frutto e pungente di alcool, sente l’annata. Ciliegie macerate, amarena, vaniglia, liquirizia, sfumature “vulcaniche”. Vino dalle spalle larghe anche sul palato, rotondo, alcolico, tannini irruenti ma anche eleganti, lo scatto finale e l’acidità gli donano un equilibrio insperato. Ha stoffa e vigore. Se il rosato ricorda un Village, qui siamo dalle parti di un premier cru…

Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…

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