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Sardegna – La questione del vitigno nella etichetta IGT Isola dei Nuraghi – Il parere di Luca Gungui, giovane produttore di Mamoiada

Riceviamo e volentieri pubblichiamo uno scritto di Luca Gungui, giovane produttore di Mamoiada:

Ha recentemente fatto discutere, nella Sardegna del vino, la proposta di modifica del disciplinare della IGT Isola dei Nuraghi che l’”Associazione regionale produttori vini IGT Isola dei Nuraghi”, per il tramite della Regione Autonoma Sardegna, ha presentato agli Uffici di competenza del Ministero delle Politiche Agricole.

In sostanza e in sintesi la proposta era quella di inserire in etichetta il nome del vitigno e lo stesso Ministero, con molteplici visti e dovute motivazioni, ha accettato la proposta, modificando, “de facto”, le norme in questione con pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale in data 9 agosto 2019.

I Consorzi delle Doc sarde hanno fatto ricorso al Tribunale Amministrativo competente ritenendo che i vini subissero un abbassamento della qualità e diminuisse, altresì, il valore delle uve, causando un danno economico non trascurabile all’intero comparto, vedi articolo di Vinodabere: (link).

Non voglio entrare nello specifico della disputa ma, ad ogni modo, se butto lo sguardo fuori dalla nostra terra e cerco di valutare come gira altrove, credo che si tratti di questioni di lana caprina che di certo non aiutano il comparto.

Provo a spiegarne le ragioni che partono da una premessa e poggiano su due motivazioni di carattere opposto, la prima endogena, che mette in evidenza il problema sardo e la seconda esogena che sottolinea le esigenze esterne di mercato, specialmente quello di qualità.

Premessa.
Da giovane produttore sardo cui ha tutto l’interesse affinché la condizione del vino isolano migliori e nonostante la trascurabile esperienza nel settore (appena quattro anni), mi piace pensare che il futuro del comparto debba passare necessariamente per la via della qualità e non si tratta, ben si badi, esclusivamente della qualità del vino – quella oramai è imprescindibile – ma anche delle persone e dei luoghi che oggigiorno possono veramente fare la differenza.

Sempre più spesso, in Sardegna, si parla di terroir e anche in questo senso alcuni produttori e autorevoli operatori di settore ritengono che sia opportuno espungere le generiche DOC e inserire in etichetta i nomi dei territori, a tal proposito cito fra virgolette le parole di Fabio Angius della Cantina Pala di Serdiana, riportate su l’Unione Sarda di qualche giorno fa: “la Sardegna continua a far bere uva mentre le altre regioni promuovono vino e territorio. In Francia si parla di Champagne. Il chianti e il Brunello di Montalcino non il Sangiovese, fanno la fortuna della Toscana (…) per tornare all’isola dovremmo parlare di Gallura DOGC e Mamoiada DOC”.

E’ impensabile per i piccoli produttori sardi che hanno bisogno del proprio territorio per districarsi in un mercato altamente competitivo non essere d’accordo. Ma c’è di più e di seguito, andando oltre la premessa, riporto le due motivazioni di cui sopra.

Prima motivazione endogena.
Credo che in Sardegna si stia pian piano diffondendo la convinzione che alcune DOC, per esempio quella del Cannonau,  siano molto generiche o addirittura indeterminate, basterebbe assaggiare diversi Cannonau sparsi per l’Isola per capire la bontà dell’ appena citata convinzione, vini totalmente differenti tra loro cui un’unica DOC regionale non rende giustizia.

Il ragionamento non verte su basi prettamente qualitative quanto, piuttosto, sulle specificità e sulle peculiarità dei diversi territori che caratterizzano i vini.

Questo, senza timore di smentita, crea non pochi problemi di riconoscibilità nel consumatore, al quale non bisognerebbe mai smettere di pensare.

La domanda di rito, per stare in tema, suona pressapoco così: Qual è il vero Cannonau?

E’ evidente che non esiste il vero Cannonau ma è altrettanto evidente che esistono tante varianti di Cannonau contraddistinte e qualificate dal territorio in cui quel vino nasce. L’areale di appartenenza, insomma, diventa simbolo e garante di quel determinato vino e una DOC sarda che vuole essere veramente rappresentativa di una tipologia di vino deve essere circoscritta ad un areale ben specifico e definito da fattori naturali e umani sedimentati e oggettivi.

A beneficio di chi legge, per stare col Cannonau, è utile notare che il disciplinare di produzione, approvato con D.P.R. 21.07.1972, sia pure modificato con diversi Decreti Ministeriali dal 1982 al 2014, è certamente datato, considerando che l’attuale situazione enologica sarda è totalmente differente a quella di cinquanta anni fa, sia in termini quantitativi (numero di cantine) che qualitativi.

Anche i disciplinari del Vermentino di Sardegna (approvato con D.P.R. Del 1988) e di Gallura (approvato con D.P.R. 1996) non sono modernissimi.

Solo alcune, a onor del vero, delle 17 DOC sarde riportano il nome dei territori, penso ad Alghero DOC, Cagliari DOC, ma a mio modesto parere solo il Mandrolisai DOC è veramente rappresentativo di un areale specifico e definito dai fattori sopra citati.

Il mondo del vino sardo sta cambiando velocemente ma ancor più velocemente sta cambiando il vino nel mondo e occorre stare al passo coi tempi se non si vuole essere travolti dai tempi.

Seconda motivazione esogena.
Penso che il consumatore, specialmente colui il quale ricerca le qualità riportate sopra, non abbia a cuore tanto il vitigno quanto piuttosto il territorio nel quale il vino che beve nasce, la storia e la tradizione, gli uomini e la cultura che riempiono quel calice.

Si immagini per un attimo l’importatore che “racconta il vino” dall’altra parte del mondo, impossibile immaginarlo parlando delle peculiarità del vitigno, più probabile pensarlo spiegando i terreni, il clima dei luoghi, le genti e la comunità.
Ancora Angius che cita Daniele Cernilli: “il vitigno quando ha successo te lo rubano. Il territorio invece è tutelato”.
A tutela del territorio, infatti, ci sono i propri abitanti e produttori che hanno tutto l’interesse (socio-economico in primis) affinché quel territorio cresca e, con esso, vengano valorizzati vini e, più in generale, eccellenze di comparto.
Nella mia piccolissima esperienza, per esempio, il cliente estero è molto più interessato al territorio, alla vigna, all’altitudine, al tipo di terreno, all’esposizione, alla storia e alla tradizione del luogo in cui quel determinato vino ha origine.

A ben vedere, insomma, la questione della IGT è un po’ come i disciplinari sardi: non al passo coi tempi.
Se quanto sopra può essere consacrato come un discorso di buon senso che guarda al futuro, è conseguente che in Sardegna le migliori forze in campo debbano concorrere per cambiare il quadro normativo esistente.
E in tal senso mi piacerebbe capire se in passato ci siano stati dei tavoli tecnici su queste tematiche, se del caso approfondirle e svilupparle partendo dall’attuale situazione sarda, dalle Direttive europee e dalle leggi nazionali.
Capire in concreto se ci sia la possibilità (e in che termini) di cambiare qualcosa, magari prendendo spunto da modelli vincenti (leggi Consorzi) fuori dalla Sardegna con la giusta umiltà e con la consapevolezza che non abbiamo tempo per litigare ma soprattutto abbiamo poco da insegnare e tantissimo da imparare.

Luca Gungui

La foto di  Gianni Gori

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