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Piper-Heidsieck 1971- Lo Champagne fa 50

La maison dei Descours inaugura gli “Hors Serie”:

splendidi “anziani” a tiratura limitatissima

 

Lui, la “creatura”, ha cinquant’anni giusti. Il papà originario, che si chiama Claude Demière, ne ha compiuti 92. Il giovanotto che si è preso a cuore il cinquantenne (e con il papà Claude, che è stato ovviamente uno dei suoi predecessori, prima di ogni mossa si è rispettosamente e affettuosamente sentito) si chiama Émilien Boutillat, di anni ne ha poco più di 30 (viaggia attorno ai 33 ed è uno dei non pochi nuovi attori protagonisti messi in campo ultimamente in una Champagne in palese evoluzione) ed è da tre lo chef de cave “chez Piper-Heidsieck”, la label gloriosa della famiglia Descours da qualche tempo maritata in distribuzione a quella, altrettanto scintillante e onusta di storia, di Biondi Santi.

Boutillat ha sboccato (e prudentemente dosato) la creatura a inizio 2021. Cifra argutamente identica a quella delle bottiglie oggi pronte a decollare in giro per il mondo, corredate di un cartellino del prezzo – non modesto in assoluto, ma nemmeno esagerato o arbitrario viste premesse e conclusioni – di 600 euro.

Quanto al contenuto dei “flacon”, l’avrete capito, trattasi di un Piper vendemmia e millesimo 1971, apripista di un nuovo “vecchio” corso di ripescaggi mirati nella crayere di casa battezzato “Hors Série”, la serie ventura, e appena inaugurata con suddetto ‘71, dei fuoriserie. Di nome e di fatto – rivendica Boutillat e con lui la maison di cui cura e dirige la produzione – visto che si tratterebbe del primo esemplare di Champagne ufficialmente distribuito, e non degustato sperimentalmente o con pochi eletti in cantina, dopo aver passato mezzo secolo sui lieviti.

E allora, eccoci al punto. Ovvero, all’assaggio. Due bottiglie sacrificate: a confronto. Perché è ovvio che dopo un tempo così lungo, pur nella uniformità della matrice iniziale e dei processi conclusivi messi in atto da Boutillat, ogni contenitore è destinato a fare, in qualche modo, storia e corsa a sé, con inevitabili differenze tra ciascuno degli esemplari.

E infatti. La prima trasborda nel calice un vino lievemente ambrato e dal lieve, ma ben avvertibile, pérlage: il naso debutta con un fine, appetitoso sentore di pasta di mandorle. Ma poi, camaleontico, svela un ventaglio di altre nuances. La bocca è salina, acida, tesa. Spiazza chi si attendeva un “bonbon anglais” dai toni cremosamente morbidi. Il vino (Chardonnay e Pinot Noir in parti pressoché uguali) non ha fato malolattica a suo tempo. E il dosaggio è stato fatto usando Chardonnay del 2019 (e dieci, insospettabili al gusto, grammi di zucchero). E questo spiega alcune cose. Ma non tutto. Perché in un vino così, oltre all’origine, il territorio, il Dna, il savoir faire indiscutibile di chi ha operato, aleggia pur sempre un pizzico di magia e mistero.

Seconda bottiglia in pista, mentre la prima vira sugli agrumi, arancia prima, mandarino poi man mano che la bolla vola via e qualche grado in più libera altri elementi volatili. E lo scenario sensoriale è avvertibilmente diverso. Un po’ più spinta la carbonica, più compatto l’attacco al naso e poi al sorso. Più equilibrio in fondo, verrebbe da dire. Ma mentre lo si pensa una briciola di nostalgia delle acutezze del primo calice fa capolino.  Perché pur straordinario al pari, e persino più coerente, il secondo vino – opinione personalisima e ribaltabile secondo gusto – è appena un decibel meno sonoro nell’emozionare. Sarà anche – si scherza ovviamente – che a tutto, anche agli “Hors Serie” l’uomo tende a fare l’abitudine…

Segue cena (il ristorante scelto è il rodato Acquolina). E il defilé efficacissimo e sonoro del resto dell’orchestra Piper (che peraltro in inglese significa suonatore di strumenti a fiato vari, dal flauto dolce alla cornamusa). Dagli Essentiel (uno  Blanc de Blancs), sei anni sui lieviti, in bottiglia dal 2015, eloquenti e centrati, a un sorpredente, incantevole rosé che stupisce per colore (tutt’altro che etereo o slavato), energia, sapore, ed è costruito sul capitello di un 15% di rosso dell’Aube. Poi spazio al millesimato (che da Piper è fatto tutt’altro che scontanto: quest’ultimo prodotto è il 2012, il precedente era il 2008, in mezzo solo cuvée), assemblato con bilancio leggermente a favore del Pinot (52%), uve da Verzennay, Ambonnay, Ay, Trepaille. Naso incisivo ed elegante, bocca importante, venata appena di note di panetteria, spezie e frutto ben evidenti.

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