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LUGANA: IL PROGETTO LE FORNACI DELLA FAMIGLIA TOMMASI

Denominazione spesso fuori dai radar degustativi quella del Lugana.
Giusto o sbagliato che sia, non sta a noi giudicare come mai tante realtà italiane “trovino albergo” all’estero piuttosto che all’interno dei confini locali.
Ciò che davvero conta è la qualità, sia dei progetti che dei prodotti da essi derivati. Non siamo degli advisor, ma possiamo comunque stimolare, nel nostro piccolo, la ricerca di espressioni diverse dai soliti canoni commerciali.
Sebbene il Disciplinare sia stato approvato nel lontano 1967, le pur sostanziali modifiche sopravvenute nella produzione di questi vini tra il ramo del Lago di Garda, ricompreso nelle province di Brescia e Verona e quasi richiamante le fisionomie del Giano bifronte, non gode ancora della luce che merita.
Il vitigno di elezione è la Turbiana, un parente lontano della famiglia di alcuni Trebbiano e prossimo a quella del Verdicchio.

I Tommasi, dinastia di viticoltori veneti dal 1902, si sono avvicinati al territorio del Lugana ancora negli anni ’80; tradizione da grandi vini rossi, la quarta generazione sta cercando di creare un bianco che possa ottenere stessi consensi della critica ricevuti per i loro Amarone della Valpolicella.
Non è semplice, prima di tutto per l’enologo Giancarlo Tommasi, che la vive come una vera e propria sfida, aiutato brillantemente da Pierangelo e dagli altri componenti della famiglia.
Sei le tenute vitivinicole in altre regioni: Caseo in Lombardia, Casisano a Montalcino e Poggio al Tufo in Maremma Toscana, Surani in Puglia e Paternoster in Basilicata, nonchè una partnership nel Chianti Classico con La Massa.
A Le Fornaci invece, possiedono un appezzamento di 45 ettari nelle verdi pianure che circondano Sirmione, suddiviso in 3 macro parcelle differenti per microclima e morfologia del suolo.

All’inizio le prime barbatelle furono impiantate distanti dal lago, verso San Martino della Battaglia, nei pressi dei resti di un’antica fornace romana da cui trae origine il nome aziendale.
Ivi i terreni presentano le connotazioni di sabbie limose, ricche di scheletro e con un substrato di ghiaia per drenare le acque, determinante nelle annate torride oramai frequenti.

Sul limitare del Lago di Garda, invece, risiede il nuovo areale, su argille compatte e scure e con minori escursione termiche, per vini strutturati e potenti. La fase vendemmiale, che avviene di notte per preservare al meglio le delicate componenti aromatiche, viene suddivisa in tre distinte epoche: la prima per selezionare i grappoli migliori da destinare al Lugana Riserva, novità in uscita a settembre; la seconda per le uve a precoce maturazione delle zone lacustri e l’ultima per l’entroterra, con presenza di ceppi storici impiantati ancora agli inizi.
Abbiamo potuto analizzare la nuova annata tramite due prodotti, tra i quali un Rosè (ovviamente fuori della denominazione) presentato per la prima volta alla stampa.

Una piccola digressione va fatta sulla difficile 2020, segnata da abbondanti piogge di giugno e luglio e un’estate con poche giornate caldissime e qualche fastidiosa grandinata, decisamente non gradita dalla Turbiana.


Il Lugana Doc 2020 nasce come blend delle diverse microvinificazioni settoriali e richiama immediatamente la mandorla dolce, la felce ed la lavanda. L’erbaceo del verde sfocia quasi nel tarassaco e nella pasta d’oliva. Al gusto prevalgono frutta a polpa bianca di pera Williams e susina, dal finale di caramella d’orzo e miele di millefiori. Bassa la resa per ettaro di appena 80 quintali; dalla annata 2019 si può dire che Le Fornaci abbiano raggiunto il loro plateau produttivo, avendo a regime ben 40 dei 45 ettari di proprietà. Non perfettamente in equilibrio, necessita di ulteriore riposo, essendo peraltro imbottigliato da poche settimane.


Il Rosè 2020, non ricadente nella denominazione d’origine, è un uvaggio di Turbiana con un saldo del 10% di Rondinella, proveniente dall’appezzamento di Peschiera. Mi ha colpito per eleganza e prontezza di beva ed un color rosa salmone semplicemente perfetto nelle sue tonalità provenzali. Da anni cerco di sostenere l’impegno dei vignerons a dare un’anima precisa ai rosati italici.
Nati fondamentalmente per coprire un vuoto commerciale, utilizzando anche eccessi produttivi, riescono adesso in molti casi ad avere una precisa identità. Ovvio che non possano ricalcare lo spessore e la longevità delle altre etichette, eppure i piccoli frutti rossi di bosco a corredo di una buona mineralità al sorso lo rendono un vino agevole e di duttile abbinamento gastronomico. Qualità essenziali per il consumatore finale, vero protagonista delle nostre chiacchiere enologiche.
Un bell’incipit in attesa della presentazione, a stretto giro, del Lugana Riserva 2018 e che sarà pronto entro la fine dell’estate, dopo la fermentazione in acciaio e seguente sosta di 18 mesi per il 25% in botti di legno francese da 500 litri e il 75% in acciaio.

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Scritto da

Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.

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