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Lo Champagne Egly-Ouriet sfida La Piedigrotta Varese in abbinamenti audaci

Siamo nuovamente a Varese alla pizzeria La Piedigrotta Varese di Antonello Ciolfi. Questa volta le proposte di questa estrosa pizzeria vanno ad affiancare uno dei Vigneron più rappresentativi della Champagne:  Egly-Ouriet.

La nostra guida in questo percorso che ci porterà a conoscere l’azienda è Alberto Lupetti.

Iniziamo  con il dire che quest’azienda risulta oggi essere punto di riferimento sia per i piccoli Vigneron di Champagne, sia per le grandi Maison, e che i  prodotti  risultano difficili da reperire.

Partiamo con qualche nozione storica di Egly-Ouriet. Nel 1939 il nonno di Francis Egly, l’attuale proprietario, decise di trasferirsi da Parigi in Champagne per motivi di salute. Qui trova lavoro come operaio nella lavorazione delle vigne e nel 1945 decide di acquistarne alcune.

Alla sua morte, il figlio Michel eredita ben 3 ettari di vigneto decidendo così di  concentrarsi principalmente nella produzione dello Champagne, attività che negli anni lo porta ad acquistare nuovi vigneti.

Nel 1987  il figlio Francis riceve il testimone dell’azienda e gli ettari vitati di proprietà sono diventati 6, ubicati ad Ambonnay e a Bouzy.

Pian piano la proprietà viticola si ingrandisce e gli ettari aumentano; oggi  se ne contano ben 16,  si cambiano i metodi di lavorazione, sia nel vigneto che in cantina. I suoli sono trattati in modo naturale e si presta molta attenzione soprattutto alle potature.

Si decide di non oltrepassare mai il confine verso una conduzione biologica e biodinamica, perché forti di una filosofia dove “Il vino deve essere innanzitutto buono”, si è sempre sperato che per ottenere questo risultato non si faccia uso di agenti chimici, ma se si verifica qualche imprevisto (malattie in vigna) che non permetta di portare in cantina uve sane è necessario agire prontamente con trattamenti che potrebbero non essere poco invasivi. Da qui la scelta di restare in un regime di conduzione convenzionale.

Si introduce in cantina la catena del freddo, dall’uscita dell’uva dalle presse fino al riposo post dégorgement. Questo sistema ha permesso l’eliminazione della fermentazione malolattica dando vita a Champagne affilati, improntati più sulla freschezza che sulla rotondità, capaci di durare nel tempo. Naturalmente, affinché tutto ciò abbia luogo, si presuppone che le uve giungano in cantina perfettamente sane ed in totale maturità.

I Gran Cru fermentano principalmente in legno a partire dal 1995 e il bàtonnage viene fatto soltanto a fine fermentazione, per poi terminare con un tiraggio tardivo senza alcun filtraggio.

Ma torniamo agli Champagne assaggiati e agli abbinamenti propostoci da Antonello.

Iniziamo con quello che Francis considera lo Champagne più semplice della sua gamma, l’unico che non fa legno.

Il Les Prémices Brut (le uve provengono dai vigneti di proprietà dei parenti della moglie), ben 100.000 bottiglie annue e fermentazione  in acciaio, viene da un assemblaggio dei vini da tre vitigni principali della Champagne in parti uguali e rispetta appieno la filosofia aziendale, incentrata su una freschezza molto marcata, e mantenendo un ottima beva. La bottiglia assaggiata utilizza esclusivamente uve dell’annata 2016 e affina sui lieviti per 36 mesi.

 

Passiamo ad un classico dell’azienda, il Brut Tradition Grand Cru (70% Pinot Nero e 30% Chardonnay), assemblaggio di 3 annate diverse, come da stile aziendale,  50% dell’annata 2011, 30 % della 2010 e 20 % della 2009. Champagne molto interessante per la complessità che mostra non appena si avvicina il bicchiere al naso (note tostate in evidenza), la freschezza sostiene stupendamente la sua evoluzione, con un finale che riprende a specchio le note che ce lo hanno presentato.

Antonello ha voluto abbinare un classico della tradizione napoletana, influenzato da alcuni tratti della cucina del nord-est, la pizza fritta sulla quale si adagia il baccalà mantecato. Nulla da dire e abbinamento perfetto, con lo Champagne che pulisce alla perfezione il palato e ne esalta i sapori.

Si continua con uno Champagne costituito esclusivamente da Pinot Menieur, Le Vignes di Vrigny 2020, fermenta in acciaio e scaturisce dall’assemblaggio delle annate 2016 (50%), 2015 (30%) e 2014 (20%) per poi rimanere 36 mesi sui lieviti. Uno Champagne caratterizzato anch’esso da un’acidità molto evidente, a cui si associano evoluzione e complessità mai eccessiva.

Ci pensa La Piedigrotta a rialzare il livello del percorso gustativo con una tagliatella di pizza alla genovese con crema di pesto e fagiolini, della quale possiamo soltanto consigliare l’assaggio, geniale.

Andiamo avanti con il Brut Grand Cru 2020  (70% Pinot Nero, 30% Chardonnay) assemblaggio di 4 annate (un’eccezione per Egly-Ouriet), 2015 (50%), 2014 (20%), 2013 (20%), 2012 (10%) e un affinamento sui lieviti per 54 mesi. Grazie alle grandi annate utilizzate risulta da subito più immediato e croccante, con un’aspettativa di vita veramente lunghissima.

Passiamo ad uno dei migliori assaggi della serata il Brut Rosé Grand Cru nato dall’assemblaggio del Brut Tradition e  una percentuale di vino rosso di Ambonnay, seguito da un affinamento di 60 mesi sui lieviti. Uno Champagne che riesce ad integrare le note succose del vino con la freschezza delle bollicine. Un fuoriclasse.

Il piatto propostoci è una matriciana di pizza 2.0, l’idea è buona e il piatto anche, ma non appare integrarsi alla perfezione con uno Champagne che ha stupito per complessità ed eleganza.

E’ il turno di un altro fuoriclasse, che gioca un altro campionato se paragonato agli altri assaggi fatti, il Grand Cru V.P. 2019 (70% Pinot Nero, 30% Chardonnay), assemblaggio delle annate 2011 (50%), 2010 (30%), 2009 (20%), 87 mesi di affinamento sui lieviti.

Grande intensità associata ad una freschezza incredibile, che ci fa subito pensare che è fatto per invecchiare; complesso ed elegante allo stesso tempo, unico difetto una freschezza sopra le righe, ma sarà un difetto alla fine?

Si continua con quello che per molti è la punta di diamante di Egly-Ouriet, il Blanc de Noirs V.V. Grand Cru 2020 Les Crayères, (100% Pinot Nero)  assemblaggio di due sole annate, la 2013 (60%) e 2012 (40%), 60 mesi di affinamento sui lieviti, per molti paragonabile a Blanc de Noir molto famosi, strepitoso, gustoso, ricco, fresco e interminabile, frutto di due annate strepitose in Champagne e pertanto non ci ha minimamente delusi. Riesce a coniugare l’eleganza ad un estrema freschezza, in poche parole un privilegio averlo assaggiato.

Ci viene proposta un’altra interessante creazione di Antonello, un fungo il cui cappello è un pomodoro confìt su un tronchetto di pizza ripieno di mozzarella, buonissimo, ma anche questa volta si trova davanti an un “mostro” di Champagne: non c’è storia.

Passiamo ai grandi millesimati, l’annata 2007 e la 2004, purtroppo le bottiglie assaggiate non erano perfette, abbiamo trovato troppa poca corrispondenza tra la loro evoluzione e una freschezza che ha ancora dello straordinario. La 2004 meglio della 2007 ma comunque sempre di altissimo livello, ma sentendo i commenti di chi aveva avuto la possibilità di averle già assaggiate, non rispecchiavano appieno la loro identità, ci chiediamo cosa ci siamo persi!

Ma ci rifacciamo con un classico della Piedigrotta Varese, l’Hot dog di pizza, con un wurstel preparato apposta  con materie prime di altissima qualità.

Chiudiamo la nostra avventura nel pianeta Egly-Ouriet con il vino rosso prodotto nella vigna situata ad Ambonnay , l’Ambonnay Rouge 2012. Cuvée des Grands Côtes, una chicca essendo una rarità: appena 3.000 bottiglie prodotte provenienti da una vigna dove sono piantate vecchie vigne di Pinot Nero. I profumi  sprigionati nel bicchiere ci hanno ricordato i vini di borgogna anche se all’assaggio è risultato un pochino esile, forse non siamo stati fortunati con la bottiglia a disposizione.

Terminiamo il tutto con l’ultima creazione di Antonello che in parte mitiga la nostra delusione.

Tirando le somme pur con qualche inconveniente, che ci può stare quando ci si avventura a ritroso nel tempo, è stata una bellissima esperienza che speriamo di rifare, sempre alla Piedigrotta Varese.

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Ha fondato Vinodabere nel 2014. Laureato in Economia e Commercio specializzazione mercati finanziari, si è dedicato negli ultimi dieci anni anima e corpo al mondo del vino. Vanta diverse esperienze nell'ambito enologico quali la collaborazione con la guida "I vini d'Italia" de l'Espresso (edizioni 2017 e 2018), e la collaborazione con la guida Slow Wine (edizioni 2015 e 2016). Assaggiatore internazionale di caffè ha partecipato a diversi corsi di analisi sensoriale del miele. Aver collaborato nella pasticceria di famiglia per un lunghissimo periodo gli garantisce una notevole professionalità in questo ambito.

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