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L’Alto Adige in due misure – Stefan Rohregger, Enologo fiduciario del big Tiefenbrunner e produttore in proprio svariando da luminosi Sauvignon a una super Schiava Alte Reben

Da Tiefenbrunner governa e presiede a un piccolo esercito di vini ed etichette, capeggiate, nell’immaginario del consumatore di qualche esperienza e memoria, dall’immagine iconica del Feldmareschall von Fenner, forse l’unico Muller Thurgau italiano uscito di slancio dal branco e divenuto un piccolo totem (ma oggi forse bisognoso, per continuare a scintillare come un tempo, visto anche l’affollamento di bottiglie préstige sfornate in regione, di un piccolo remaquillage).

Ma poi a casa – e con la complice lungimiranza del suo principale datore di lavoro – Stefan Rohregger insieme a Tania, compagna di vita e di lavoro, fa per sé. Con la sua etichetta.

E con orgoglio inversamente proporzionale alla quantità dei pezzi prodotti, ma perfettamente in linea con la loro qualità.
A riunificare – per così dire – le due facce dell’impegno maieutico ed enoico di Stefan ha poi pensato recentissimamente Cuzziol, che ha inserito nel suo articolato sistema di distribuzione entrambe le label: quella grande e storica (ma da rinfrescare un filo a livello di immagine e comunicazione, e alla quale dunque una iniezione di nuova energia propositiva non potrà che giovare) di Castel Turmhof e quella, ancora piccola ma già rampante, del tandem Rohregger. Minima, doverosa parentesi: Cuzziol, come tutti gli attori di settore ha subito nel 2020 il pesante rallentamento imposto al comparto dalla pandemia.

Ma lo ha gestito in modo – verrebbe da dire – esemplare. Continuando anzitutto il lavoro di ricerca di label interessanti e di arricchimento del pacchetto offerto (oltre ai due atesini ha reclutato anche un Chianti d’altura a Lamole, il Fabbri, la Toblino in Trentino e Ridolfi, produttore di nicchia, di impostazione tradizionale e di versante nordest, dunque fresco, a Montalcino di cui chi scrive ha già anni or sono apprezzato e raccontato i vini); e investendo poi, senza neanche un taglio e sfruttando i tempi e i vuoti, con decisione sulla formazione – a distanza – della squadra operante sul territorio, confermata in toto e anzi arricchita di forze fresche. E ha infine, pur flettendo ovviamente nel fatturato, mantenuto indici di redditività decisamente sani.
Nel listino delle due new entry (amplissimo, come detto, e articolato su linee differenti e differente peso quello di Tiefenbrunner, misurato e però in progress quello di casa Rohregger) ecco un vino per parte, esempi diversissimi ma coerenti di un lavoro davvero di cesello.

Un Sauvignon “importante” per il brand maggiore, e una spiazzante, deliziosa Schiava da vecchie vigne (Alte Reben) figlia del lavoro autorale “pro domo sua” di Stefano.

Tiefenbrunner Sauvignon Riserva Rachtl 2017
Da uve vendemmiate a piena maturazione in quanto capaci (per posizione e microclima) di conservare in modo esauriente la loro acidità, mette subito in campo, già al naso, teso e pieno insieme, le sue doti di freschezza, decisamente dialettiche con l’età (quattro anni per un bianco italiano, nella mentalità non solo di svariati consumatori, ma anche di molti operatori di settore, è ancora considerato un limite prossimo alla senescenza). Complessità, ribadita e vibrante silhouette longilinea, ma corredata poi – appena la temperatura viene su di due gradi o tre – da una varietà (anche esotica) di note fruttate ben centrate e di note speziate ancora in accenno. Su tutto si riprende, infine, la scena la benedizione sapida e rocciosa del contatto materico al palato. Nato per metà in tonneau e metà in botti grandi (dove avviene la fermentazione alcolica e dove il vino resta quasi un anno, ma senza fare malolattica!) non ha nessuno dei complessi da “gabbia di legno” che altri cugini invece mostrano. Merito del tempo – giustamente speso –e della mano delicata e rispettosa che ha guidato le operazioni, incluso l’assemblaggio in acciaio (con lenta decantazione spontanea) e la sosta ulteriore di un anno in vetro. In altri tempi si sarebbe detto che il vino “francesizza”. Oggi è il caso – con orgoglio – di riaffermare che è un’eccellenza atesina e italiana. Nelle corde di chi può e sa farne. È un bianco costoso (50 euro circa in scaffale) ma di assoluto valore.

ROHREGGER Alte Reben Kalterer 2019
La “Alte Reben” di Stefan e Tania guarda il panorama atesino dalla punta di un colle a Pianizza di Sotto (un salto da Caldaro) ben sopra i 400 di quota. Marna e ghiaia a terra, con tanto calcare: il terreno che ogni vignaiolo che cerca eleganza e – parola non abusata quando ha basi concrete – mineralità vorrebbe. L’anzianità del vigneto rivendicata in etichetta non è millanteria. Le piante di Schiava qui stanno per varcare la soglia del secolo di età. Tutte a pergola, secondo antica tradizione, hanno mediamente superato comunque i novanta. La resa è – lo si comprenderà – fisiologicamente bassa, il microclima ideale, l’attenzione con cui la vigna è curata totale, e direttamente proporzionata alla vetustà nobile della materia vegetale. Il vino, poi, è la Schiava che ti quadra il cerchio. Ha della varietà le gustose note di frutta, l’approccio senza pompe roboanti, la scorrevolezza del sorso. E però… il ventaglio che via via si allarga, la lunghezza della presenza al palato, la crescente complessità del naso (frutto rosso piccolo e… medio, con virate dal sottobosco all’albero di ciliegie e suadenti ritorni alla violetta) spiega che qui la ex “vernatsch” si è liberata dai vecchi complessi ed è diventata, senza sfoggio, una signora. Il gioco dialettico di legno (medio) e cemento (appropriatissimo e decisivo) le ha recato in dote fermezza (ma senza inciampi tannici) di struttura e promessa di bella e durevole vita. Costa poco più di 23 euro. E li stravale.

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