Chissà se Fabio Cenni negli anni ’80 aveva ben chiaro il percorso da medico endocrinologo a saggio viticoltore del Sangiovese. In realtà l’arte del vino è sempre stata insita in lui, dacché il nonno possedeva un fiorente commercio agricolo nel Nord Italia. La Seconda Guerra Mondiale distrusse l’economia di scala di molte nazioni e quella in piccolo della famiglia Cenni, che dovette abbandonare l’idea di continuare a coltivare con profitto i poderi. La tenacia del padre di Fabio prima e di suo figlio poi hanno salvato l’attività dalla svendita in mani altrui perdendo, forse per sempre, la bellezza di assaggiare prodotti unici ed inimitabili. Siamo a Chiusi (SI), al confine sud orientale tra Toscana ed Umbria. Parte da qui la storia dell’Azienda Agricola Colle Santa Mustiola.
Le vecchie vigne di Sangiovese
Ventotto cloni ritrovati da una ricerca coordinata con l’università degli studi di Firenze assieme all’agronomo Federico Curtaz. Molti di essi sono “pre-fillossera”, superstiti di un mondo scomparso quando ancora il parassita non imperversava in Europa. La fortuna di questi terreni è la presenza, a macchia di leopardo, di sabbie in superficie e fondali marini marnosi in profondità che impediscono la diffusione del terribile insetto. Una probabile propaggine del lago salato preistorico rinvenuto più ad Est. Le maturazioni delle uve rallentano, aiutate dalla presenza dei laghi limitrofi (Trasimeno, di Chiusi e di Montepulciano). Non è un caso se lo stesso Giulio Gambelli, padre del Sangiovese in purezza dell’epoca moderna, conoscesse il territorio come le sue tasche avendovi impiantato dei vigneti sperimentali.
Locali di affinamento in un’antica tomba etrusca, di quelle che lasciano senza parole per architetture stilistiche perfette. Cunicoli di materiale tufaceo, adatti al riposo dei mosti senza sbalzi di temperatura ed umidità. Prima di arrivare però a questo punto, gran parte del lavoro è già stato svolto con dovizia nei quasi cinque ettari, tra rese di uva ridotte ad appena 35 quintali. Nessun uso di pesticidi e sostituzione delle fallanze con materiale genetico aziendale. Per Fabio il vino o si fa così o è meglio non farlo. E poi lunghissimi affinamenti, quasi eterni, scelti al fine di rendere godibili i tannini al meglio delle possibilità. Una mano elegante con eccellente materia prima e la visione dell’enologo Emiliano Falsini, il cui approccio resta, a mio avviso, ovunque inconfondibile. Non è una coincidenza se ancora adesso si possono aprire bottiglie di oltre 20 anni in splendida forma e senza deviazioni ossidative.
L’esiguo numero di bottiglie totali, inferiori alle ventimila annue, rendono questi prodotti non facili da trovare in commercio, ma non per questo impossibili per chi sogna a casa un pezzo unico, per comprendere appieno la bellezza di un Sangiovese da manierista. Rosso, rosato o spumantizzato con un’insolita tecnica precedente al Metodo Champenoise d’oltralpe, ciascuno decida secondo i propri gusti. Aldonem Vino Spumante Rosato nasconde un segreto dietro la catalogazione per legge tra gli ancestrali: il Metodo Scacchi. Mosto fiore di Sangiovese dell’annata precedente inserito in quello già fermentato dell’annata in corso. Attivata la conseguente rifermentazione grazie solo agli zuccheri d’uva, che prosegue direttamente in bottiglia senza sboccatura. Un buon compromesso gastronomico tra note di piccoli frutti di bosco e fragranze mediterranee. Nel 1622, circa 66 anni prima dell’Abate Pierre Pérignon, un medico di Fabriano di nome Francesco Scacchi pubblicava l’importante opera De salubri potu dissertatio che svelava come rendere frizzante un vino in maniera naturale. Attualmente se ne conoscono soltanto otto copie assegnate in primis alle biblioteche più prestigiose al mondo, tra cui la British Library di Londra, la Biblioteca di Venezia, la Bibliothèque Nationale di Parigi, la Library of Congress di Washington, oltre una acquisita alle aste da Franco Lunelli (cantine Ferrari) ed una dall’enologo accademico e bibliofilo Angelo Valentini.
Il ricordo dei vecchi cloni impiantati in origine dal nonno rivive nel Vignaflavia 2014, affinato tra botti grandi di Slavonia e vetro fino all’immissione in commercio pochi mesi fa. L’annata particolarmente impegnativa ha ridotto le rese a quantitativi quasi irrisori, eppure il vino sembra non risentire di alcuna stanchezza saporifera, anzi. La ciliegia succosa e nitida regna sovrana, unita ad un finale minerale delicato seppure dal breve abbrivio. Una carezza di forte impronta identitaria.
Nel Poggio ai Chiari 2012 abbiamo la conferma che fare Sangiovese richiede una cura maniacale di ogni fase produttiva. I “chiari” sono i laghi che circondano l’areale, illuminati dal riflesso della Luna piena nelle notti limpide. Il carattere del varietale si presenta con tutti i crismi del caso, tra amarene mature, erbe officinali, spezie scure ed eucalipto. La sapidità finale rasenta il salmastro, timbro tipico di queste terre di confine. E stiamo parlando della 2012, versione attualmente proposta in vendita!
La 2004 fa invece principiare il mio anno giornalistico con un rarissimo 100 centesimi di altrettanto rara bellezza. La tela liquida del dipinto di un artista pop, come la celebre zuppa Campbell’s di Andy Wharol simbolo dell’America e degli americani. Purezza di marasche ancora croccanti, palpitanti e persino tanniche. Sbuffi ematici come si addicono ad un ragazzo che ha raggiunto da poco la maturità, promettendo altrettanti anni di energia. Entra nelle vene, al pari degli aneddoti e degli incontri vissuti negli anni da Fabio Cenni e Monica Del Re.
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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