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Angela e Marianna Velenosi dalle Marche all’Abruzzo, dai vini fermi alle bollicine

Non è certo la prima scommessa importante, il primo azzardo che decide di fare.  A pensarci bene (e a replicare una battuta che lei per prima,e chissà quanti altri con lei, hanno già fatto) quello iniziale e in fondo il più grosso, è stato decidere di far vini col suo cognome (non proprio comodo: Angela, si sa, si chiama Velenosi…) in etichetta. Salvo buttar lì con nonchalance a chi di volta in volta sollevava l’argomento: “Lei pensi, allora, che mio nonno vendeva anche funghi…”.

Le vigne

Ora, poi, a sorvegliare le puntate che con coraggio – ma anche con la rodata solidità di chi ha già messo alla prova più volte capacità e tenacia misurandosi con sorte e mercato – Angela decide di fare, c’è una… croupier ultraddestrata, la bocconiana Marianna, sua figlia (laurea in market managing, assunta in Svizzera e in un batter d’occhi promossa responsabile risorse umane dell’azienda, salvo poi soccombere al richiamo… del tralcio, della famiglia e della vendemmia) che in una curiosa e gustosissima inversione generazionale delle parti è incaricata di riportare in cassaforte, quando occorra, il cuore che la mamma tende a gettare sovente oltre l’ostacolo. Come del resto ha fatto fin dal 1984, quando la storia della maison è iniziata, e poi nelle varie tappe di crescita e sviluppo: ultima, quella del ritorno nella regione di origine (Angela è enoicamente marchigiana per storia e collocazione primaria, ma teramana per radici): l’Abruzzo dunque, ove ha innestato uno spin off produttivo decisamente ambizioso nell’area oggi Docg dei suoi colli d’origine.

Più recente – 1991 – è la puntata sul fronte bolle. Un inizio (una start up, si direbbe oggi) voluto quando ancora non si spumantizzava tutto e dappertutto, come è accaduto in Italia negli ultimi anni appendendo varietà e zone letteralmente a grappolo al gancio trainante del Prosecco. E anche là giocando forte. Intanto sul doppio colore, aggiungendo il The Rose al color chiaro di partenza. E poi provando a scalare i piani del grattacielo dalle gerarchie sfornando un “10 anni” sui lieviti come – prima davvero pochissime, oggi di più, specie al Nord di Enotria – solo le aziende più ambiziose facevano e fanno.

Ed eccolo allora – Metodo Classico  in fabula – il Gold targato Velenosi e millesimato 2008. Figlio dorato (già dal nome) di una casa che conta ormai su circa 200 ettari vitati (poco meno) e sparge in Italia e nel mondo oltre 2,5 milioni di messaggi in  bottiglia all’anno. E anche questa edizione – per chi scrive la migliore assaggiata, incrocio tra esperienza, annata e scelte enologiche guidate da Paolo Garbini – conferma che in fondo, dietro l’audacia di lady Velenosi c’è sempre un istinto ormai consolidato e cesellato da “seller” di razza; di incantatrice di mercati-serpente, come sono quelli “globali” d’oggi. Certo, non è con il super decenne spumeggiante che si fanno i numeri o si nutrono i grandi fatturati. Ma intanto l’approccio è comunque quello di corteggiare il senso di piacere di chi assaggia. E poi il rigo d’oro tirato in questo modo sul blasone aiuta a spingere, a motivare.

E a far capire cose come il Rêve , l’Offida Pecorino  “importante” per dimensione aromatica, veste e ambizione (e che coniuga la doppia anima acciaio-legno piccolo di fermentazione con equilibrio anche più fresco e sobrio  che in passato in questa edizione 2018), erede ben più rampante del “melange” Falerio, un tempo bandiera bianca del Piceno e a un certo punto abiurato da Angela per far spazio ai monovitigno.

Oppure il nuovissimo entrato, il Montepulciano Docg Colline Teramane Verso Sera – al debutto c’è l’annata 2017 – presentato con guaina esterna in raso nero, veste color ardesia ed evocativo décor a rilievo sulla bottiglia, tanto per trasmettere che è un vino con cui si esce per andare a far festa – ma che al di là dei tocchi fashion ha poi ampiezza, larghezza e, ancora una volta, una ricerca premeditata di bocca voluttuosa, ancorché decisamente giovinotta e meritevole di riassaggi intervallati (prossimo importante post estate), che guarda con consapevole lucidità al gusto del mondo, rivendicando però insieme con orgoglio “nativo” il territorio cui appartiene.

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