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Alto Adige – La Cantina San Michele Appiano presenta le nuove annate

Parola d’ordine: snellezza. Che, in prospettiva, promette bellezza. È il carattere che lega i bianchi di annata 2020 targati San Michele Appiano, presentati in fase di debutto dal loro maieuta, il direttore generale e super master della kellerei, Hans Terzer.

 

Figli di un’annata non facile – come lo stesso Hans ha raccontato – con primavera ed estate quasi asciutte e con una prospettiva di vendemmia anticipata (la fioritura era stata ben precoce) sconfessata poi dall’arrivo di abbondanti precipitazioni proprio nell’imminenza delle date presunte di raccolta. Dunque, corposo rinvio; e inizio poi da quelle zone più basse dove i ristagni e l’alta umidità minacciavano muffa e marciumi.

Una settimana ha impiegato il meteo per tornare a sorridere. E poco c’è voluto,alla fine, per constatare che le uve dei vigneti collinari (medi e medioalti) non avevano avuto problemi esiziali.

La scelta di grappoli e partite in cantina è stata comunque – parola di Terzer – particolarmente occhiuta e severa, malgrado il problema di affollamento che la necessità di tirar giù parcelle e varietà praticamente tutte insieme, anziché ben scaglionate come di solito, aveva inevitabilmente creato.

Sforzi e superlavoro sono stati alla fine premiati però da una qualità che ha sorpreso gli stessi protagonisti, a cominciare dal grande capo. Con buone acidità, alcol un po’ più basso e zero tracce di surmaturazione (al contrario di quanto accaduto invece l’anno prima).
I risultati? Eccoli.

Uno Schultauser (il Pinot Bianco da vigne quarantenni che è tra le etichette più popolari della casa) tirato e longilineo, decisamente più del solito, malgrado un quinto della massa faccia malolattica in legno grande (il resto fa solo acciaio). Fiori e frutta “total white”, punte di limetta, bella tensione, seria prospettiva di evoluzione.

Ancor più teso il Montiggl, il Riesling di Monticol, da parcelle contornate dal grande bosco (2000 ettari) e a un passo da due laghetti balneabili. Tiratura non puntiforme (80mila pezzi), giusta densità tattile assicurata dal balance tra 5-6 ore di macerazione pre-pressatura e permanenza di sei mesi sulle fecce fini, questo 2020 è espressivo, incisivo, più “nordico” del solito, marcato da pesca bianca e frutta esotica, ma anche erbe officinali e ancora lime. Il minimo residuo zuccherino non inficia la spinta data dai 7 grammi di acidità totale e da un Ph a 3,20. Anche lui ha appena iniziato il cammino…

Accento un filo diverso per il Gewurtztraminer Sanct Valentin 2020. Anche qui sei mesi sui lieviti (in acciaio) aggraziano la trama della stoffa in bocca. Ma nel contesto del vino (dove ovviamente vanno a bilanciare le piccole punte amare dei suoi tipici e abbondanti composti aromatici) i 6 grammi di zucchero residuo si fanno sentire un filo di più. Rosa e spezie comunque sorridono nel calice. E chi ama la varietà ne troverà qui una espressione tutt’altro che slargata o esagerata.

Non tradisce lo stile della casa il Sauvignon Sanct Valentin di pari annata. Note verdi presenti – della vendemmia s’è stradetto – ma tutt’altro che smodate. Anzi… Il mix “terzeriano” di modalità di fermentazione ed elevazione (il 7% in legno grande e il 18% in vecchi tonneau esausti, già usati tre anni per lo Chardonnay) ossigenando il giusto il vino ed evitando riduzioni perniciose consente la permanenza molto lunga sulle fecce, con arricchimento da autolisi dei lieviti decisamente importante.  Il Sauvignon diventa così meno rustico, drastico (e per nulla “felino”…) e gioca tra erbe, sambuco e note fruttate – esotiche e non – con risultato già assai gradevole.

Cambia l’annata con lo Chardonnay Sanct Valentin, targato invece 2019, che prodotto per due terzi in tonneau e uno in barrique ha bisogno ovviamente di tempo per completare e sgabbiare la sua identità olfattiva e gustativa. Grosso, ricco (con morbidezza limitata dalla scelta di evitare la malolattica a un quinto della massa) è il deuteragonista ideale per marcare e capire le differenze tra il suo millesimo e quello successivo.

Ultimo, ma non per cure e affetto riservatogli, anzi, il Pinot Noir Riserva 2018 sempre della linea Sanct Valentin. Varietà del cuore, forse, di Terzer, che nel presentarne l’ultima covata mette però con fermezza le mani avanti, ribadendo che non c’è in casa San Michele alcuna idea di scimmiottamento o travestimento in panni borgognotti. Il Sanct Valentin è un Noir assolutamente atesino, dunque diverso già dal primo accento fruttato, che vira sulla ciliegia scura (e non sulla fragoletta o il lampone), si tinge poi in nuance del nero del pepe e pennella alternandole note di tabacco, erbe e sottobosco. L’equilibrio c’è, l’identità territoriale anche. Tanto che dalla platea, e da voce autorevole (il “Doctor Wine” Daniele Cernilli) arriva l’auspicio che alla dicitura francese subentri finalmente anche in etichetta quella più atesina di Blauburgunder. Sia come sia, la lingua parlata nel calice dalla Riserva ’18 è quella di un gran bel vino, cui le notti fresche della zona alta di Appiano e le lunghe macerazioni a freddo volute da Terzer danno insieme balance e carattere.

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