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Abruzzo – Il Panettone “neutro” di Mammaròssa che racconta la Marsica di oggi

Un panettone senza niente, neutro, con appena un po’ di pasta d’arancia a pennellare lo spettro aromatico, tutto giocato su toni panosi e di burrosa freschezza. Un panettone che metti a tavola e che di cui comprendi davvero la qualità solo quando, all’improvviso, ti accorgi di averlo finito. Assomiglia, in questo, a quei vini “finto semplici”, senza sovrastrutture, senza eccessi, di cui scoli una boccia senza farti troppe domande. Ecco, questa è la sensazione che si ha di fronte al Panettone Neutro di Mammaròssa.

Mammaròssa è il ristorante degli abruzzesi Franco e Daniela Franciosi, che, insieme al talentuoso giovane Francesco D’Alessandro, hanno avuto il coraggio e la bravura di creare un’oasi di solida cucina di tradizione e allo stesso tempo un laboratorio di ricerca e sperimentazione ad Avezzano, nella piana del Fucino, in un territorio che non brilla certo per dinamismo imprenditoriale e culturale.

Franciosi con la lievitazione ha un rapporto di lungo corso. Una delle direttrici più solide di tutto il progetto Mammaròssa si è sviluppata proprio a partire dagli studi e dagli esperimenti su pani e pizze, e sugli effetti che vari tipi di lieviti e farine hanno sul prodotto finale. Per cui, il passaggio al panettone è stato naturale e, in qualche modo, dovuto. Un appassionato della lievitazione come lui doveva mettersi alla prova col principe dei lievitati.

All’inizio è partito, come è normale che sia, dalle versioni più classiche: e quindi un panettone tradizionale canditi e uvetta (ma che uvetta! quella del produttore di Pantelleria Salvatore Ferrandes, di calibro grosso e con tutti i semi) e uno più goloso arancia e cioccolato. In una recente chiacchierata ci ha poi spiegato: “[…] Come per tutto quello che facciamo, ci siamo fatti delle domande…La cucina è un linguaggio, un elemento di narrazione, un momento di interpretazione di un qualcosa che viviamo tutti i giorni. Un linguaggio di territorio quindi, che rappresenta l’animo e traduce le sensazioni e i punti di vista del suo artefice in un risultato, che sono i piatti. Piatti che quindi diventano anche uno strumento per raccontare la contemporaneità. La cucina, per essere autentica, deve avere questo tipo di contenuto“.

Mi sono allora chiesto: un panettone, dolce tipico milanese, che rappresenta la città di Milano, una città opulenta, ricca, che testimonia e trionfa se stessa in ogni sua interpretazione – San Siro, La Scala, Il Duomo, la moda, il design – cosa ha a che fare con ciò che io vedo la mattina quando mi sveglio? I drammatici opposti della mia regione, la sua bellezza contrastante…abbiamo il fiume più pulito e limpido d’Europa (il Tirino – n.d.r.) e a dieci chilometri di distanza una delle discariche più grandi d’Europa (a Bussi sul Tirino – n.d.r.). Ecco, allora io devo raccontare questa cosa! Devo raccontare il mio territorio attraverso un simbolo“.

“Quindi il mio panettone non può essere un panettone milanese, ma deve necessariamente essere un panettone di montagna, che mi assomiglia e che parla del mio territorio non solo attraverso le sue materie prime, ma anche testimoniando quello che succede in questo territorio”.

E allora lo abbiamo svuotato di tutto, a partire dallo zucchero! Qui nel Fucino ci hanno innanzitutto tolto l’acqua, prosciugando il lago circa 150 anni fa. La temperatura è cambiata, avendo perso l’effetto termoregolatore del bacino, e quelle che un tempo erano colline piene di uliveti e vigneti sono morte. Una società profondamente agropastorale e di pescatori, è diventata una società di braccianti agricoli. La comunità ha incominciato a riorganizzarsi intorno a nuove dinamiche, anche di tipo industriale. Qui ad Avezzano c’erano importanti industrie di trasformazione: la più nota era lo zuccherificio, ma c’era anche una gigantesca malteria! Poi il terremoto di inizio Novecento e i bombardamenti delle Guerre hanno tolto alla città ogni forma di identità. A livello culturale qui è come un enorme “ground zero”. C’è molta più identità in altri paesi della Marsica che qui ad Avezzano. Il nostro ruolo è anche quello di scavare a fondo e ritirare fuori quella identità nascosta che ancora da qualche parte si può trovare”.

Quello di Mammaròssa è quindi un panettone di montagna, nato sull’Appennino tra vette maestose ed iconiche, che racconta storie di territorio, di radici e di resistenza. Per provarlo dovrete contattare direttamente loro (qui il sito web). Non ve ne pentirete!

 

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Abruzzese, ingegnere per mestiere, critico enogastronomico per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri, con cui ancora collabora. Vino, distillati e turismo enogastronomico sono la sua specializzazione. Nel tempo libero (poco) prova a fare il piccolo editore, amministrando una società di portali di news e comunicazione molto seguiti in Abruzzo e a Roma. Ha collaborato per molti anni con guide nazionali del vino, seguendo soprattutto la regione Abruzzo (ma va?), e con testate enogastronomiche cartacee ed online. Organizza eventi e corsi sul vino...più spesso in Abruzzo (si vabbè...lo abbiamo capito!).

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