Gli italiani hanno spesso dimostrato, nella loro storia millenaria, di essere bravissimi, a volte, a farsi del male da soli. Questa caratteristica non esaltante riguarda anche il mondo del vino. Impossibile, altrove, rintracciare gli atteggiamenti autolesionistici che non hanno giovato al valore economico di territori vocati e vini di grande tradizione come l’Orvieto, il Soave, il Marsala… e il Frascati.
Per fortuna la rivoluzione enologica italiana, ormai scoppiata da trent’anni, sta permettendo anche a queste zone, colpite a morte da scorciatoie illusorie e facili guadagni, di intraprendere piano piano la strada per la rinascita commerciale. Soprattutto grazie ad aziende “sopravvissute” o a nuovi produttori che cercano faticosamente di crescere sui binari della qualità, abbandonando strategie di corto respiro che hanno portato ai bottiglioni da 1,5 litri venduti al supermercato per un euro e pochi centesimi.
Una di queste aziende cerca da sempre di tenere alto il nome dei Castelli Romani con etichette di pregio, anche sul versante dei rossi: stiamo parlando della famiglia Costantini e di Villa Simone.
Per molti romani Costantini è quasi sinonimo di enoteca, in particolare quella “storica” di piazza Cavour, attiva dal 1972 dopo altre esperienze nella Capitale. Ma non molti sanno che la famiglia, originaria delle Marche, aveva una storia di produttori di vino precedente all’approdo a Roma. Come vedremo, la classica etichetta La Torraccia, ancora presente in listino, nasce come Rosso Piceno da vigne in quel di Passo Sant’Angelo, dove ancor oggi i Costantini possiedono quattro ettari.
Ma è chiaro che il focus della produzione è incentrato sui vini bianchi, a Doc e Docg Frascati ma non solo. L’intuizione di Piero Costantini, titolare dell’enoteca e zio dell’attuale proprietario ed enologo Lorenzo Costantini, nasce nel 1982, quando acquista tre ettari di vigna tra Frascati e Monteporzio Catone, puntando tutto sulla qualità: il primo vino imbottigliato venne messo in vendita a 4.200 lire, tappato col sughero, scelte molto coraggiose all’epoca.
Oggi l’azienda possiede 25 ettari vitati, di cui cinque, recentemente acquisiti, che costituiscono il vigneto urbano più grande d’Europa, ad appena 400 metri dal centro di Frascati e proprio dietro la Cattedrale. I terreni sono in larga parte collinari e di origine vulcanica. Oltre ai tre Frascati e al Cannellino, la cantina produce anche un Bianco Igt, un passito e ben sei rossi, tra cui la “riedizione” dello storico Torraccia e il celebre blend Ferro e Seta, per un totale che supera le 300 mila bottiglie. In vigna e in cantina molto pragmatismo: trattamenti quando serve, lieviti selezionati e tecnologia del freddo.
Ai primi di agosto ho accolto volentieri l’invito della moglie di Lorenzo, Fulvia Stebellini, per una visita, e questi sono i miei riscontri sull’ultima annata delle etichette assaggiate.
Frascati 2017 (Malvasia del Lazio o Puntinata, Malvasia di Candia, Trebbiano). Naso tenero, mela renetta, con lievi note floreali e vegetali, frutto un po’ dolce ma ben contrastato da una coda leggermente salina. Piacevole. Tre mesi sui lieviti.
Frascati Superiore Villa dei Preti 2017 (Malvasia del Lazio o Puntinata, Malvasia di Candia, Grechetto). Odora di pera, macchia mediterranea, cenni minerali e di erbe aromatiche; sorso di buona struttura, lungo e sapido con ricordi di pompelmo in persistenza. Ottimo. Quattro mesi sui lieviti.
Malvasia del Lazio Igp 2017 (Malvasia del Lazio o Puntinata in purezza). Prima annata per l’etichetta, che nasce per valorizzare quello che è sicuramente il vitigno più interessante della zona dei Castelli. Olfatto ricco, molto balsamico e floreale con una traccia evidente di frutta gialla (susina). Bocca dal carattere delicato, bella acidità in primo piano, lungo finale di agrumi e frutta secca. Da seguire. Tre mesi sui lieviti.
Frascati Superiore Riserva Vigneto Filonardi 2016 (Malvasia del Lazio o Puntinata, Malvasia di Candia, Trebbiano, Grechetto). È il vino-bandiera di Villa Simone, frutto di una vigna già famosa all’inizio dell’Ottocento, quando produceva “le migliori trenta botti di vino della zona”. È un’etichetta ormai storica, visto che viene prodotto e commercializzato da oltre trent’anni. È uno dei tre cru di Frascati riconosciuti e certificati dagli organi di controllo (unici di tutta la Regione). E ultimamente ha ricevuto anche un prestigioso riconoscimento internazionale: la medaglia d’oro del Concours Mondial de Bruxelles. Questa edizione, che è poi quella premiata, ha un naso per ora poco concessivo ma che fa intuire una certa complessità: frutta tropicale, erbe aromatiche (salvia), spezie, pietra focaia. Anche al palato sembra attraversare una fase leggermente introversa, ma mantiene slancio e dinamica. La chiusura balsamica, salina e quasi “metallica” promette molto bene per un vino che spesso in passato (per esempio con la 2001 e ancor di più con la 2006) ha dimostrato di possedere notevoli capacità di evoluzione. Sei mesi sui lieviti.
Syrah Igp 2016. Profumi e sapori varietali, con le spezie in primo piano (soprattutto il canonico pepe), molto tannico ma anche succoso in bocca. Ben fatto ma di poca personalità. Affinato in acciaio e in legni di varie dimensioni e provenienze.
Cesanese Igp 2016. È il gemello di un’altra etichetta che non ho assaggiato in questa occasione, il Cesanese del Piglio, che però è frutto di un impianto ad Anagni. Olfatto molto ricco di piccoli frutti rossi e olive, tabacco e terra bagnata; tannini molto ben integrati, beva fragrante e divertente. Gastronomico. Sei mesi in acciaio e botti di varia natura.
La Torraccia Igp 2015 (Cesanese, Sangiovese e altre varietà autoctone minori). È l’erede del “vino di famiglia”, quel Rosso Piceno che negli Anni Settanta piaceva anche a Veronelli. Oggi è chiaramente un’altra storia: mi lascia l’impressione di essere il bicchiere meno interessante della batteria. Ciliegie sotto spirito, cannella ma anche molto legno al naso. Bel tannino raffinato, struttura di tutto rispetto , ma il sorso è un po’ asciugante e le note dolci del legno tornano anche in persistenza. Forse è una fase difficile, oppure una bottiglia imperfetta. Sei-dodici mesi in barriques.
Ferro e Seta Igp 2014 (Cesanese, Sangiovese e altre varietà autoctone minori). L’etichetta aziendale più conosciuta assieme al Filonardi, in una versione secondo me in grande spolvero. Profumi finissimi, balsamici e speziati, bacche scure, liquirizia, sottobosco. Sottile ed elegante anche al palato, l’annata fresca regala slancio e tensione pur in un contesto di leggerezza, non è potente ma complesso, dolce di frutti rossi, ben contrastato nel lungo finale. Uno dei migliori rossi del Lazio assaggiati nell’ultimo anno. Dodici-diciotto mesi in barriques di primo e secondo passaggio.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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