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STORICAMENTE IL WHISKEY IRLANDESE NON ERA TORBATO: FALSO CE LO DIMOSTRA (ANCHE) LA LETTERATURA

Viviamo quotidianamente fra i luoghi comuni. Ci siamo talmente abituati da non farci più caso. Ma talvolta qualcuno di essi andrebbe sfatato, se non tutti.

Uno è che storicamente, la principale differenza fra il whisky scozzese e quello irlandese è che il primo ha degli aromi torbati e il secondo no (un’altro riguarda la doppia e la tripla distillazione, anche questo confutabile, ma ne parleremo in un’altra occasione). Se è vero che al giorno d’oggi sono pochissime le eccezioni di peated irish whiskey, c’è da dire che in passato la situazione era del tutto differente. C’è poi da aggiungere che, perlomeno da un bel po’ di tempo, in Scozia la torba costituisce una opportunità di impiego e non la regola, anzi, i whisky affumicati prodotti nelle Highlands sono decisamente una minoranza.

Era nell’ordine delle cose che una nazione come l’Irlanda, così pregna di questo materiale fossile che si sviluppa in ambienti saturi d’acqua e privi d’ossigeno e composto da materiali vegetali (muschi, sfagni, piante acquatiche, alghe, falaschi, legni, foglie, erica etc.) oltre a microrganismi morti (insetti, microfauna, batteri, funghi), in sintesi la torba, la utilizzasse in passato per asciugare il malto. Ma l’intuizione non è mai sufficiente a dimostrare un assunto, necessitano sempre le prove. Le abbiamo cercate e infine trovate, nella letteratura e non solo. E ora… occorre fare un passo indietro.

Siamo debitori della conoscenza tardiva dello scrittore francese Joris-Karl Huysmans, grazie a un suo connazionale e collega, molto più attuale, e che ogni anno è fra i canditati al premio Nobel per la letteratura (chissà se prima o poi non lo vinca): Michel Houellebecq. Adoriamo la sua scrittura cinica, critica, oltraggiosa, dissacrante, anticonformista, eccessiva, disinibita.

Un’altra ragione che ce lo fa apprezzare è che nei suoi libri non mancano le menzioni di single malt scozzesi, come in La carte et le Territoire (La carta e il territorio, in italiano) del 2010, vincitore del massimo premio letterario francese, il Goncourt, dove si menziona il Lagavulin (giustappunto di torba si parlava). Di Michel Thomas, il suo vero cognome, abbiamo letto tutti i libri pubblicati, e in Soumission (Sottomissione, in italiano), lettura di qualche anno fa, siamo incappati inevitabilmente appunto in Huysmans.

Michel Houellebecq- Sottomissione

Francois, è un quarantenne nichilista, professore universitario della Sorbonne e grande esperto di Joris-Karl Huysmans. La sua competenza gli vale la commissione a curare il volume dell’opera omnia per la Bibliothèque de la Pléiade edita dalla Gallimard (che al momento della scrittura del libro di Houellebecq era ancora una grave assenza nell’importante progetto editoriale francese. Si porrà rimedio con Romans et Nouvelles, pubblicato al numero 642 della collana, il 24 ottobre 2019, a cinque anni di distanza dall’uscita di Soumission). La passione e devozione per Huysmans è espressa in maniera tale da risultare evidente sia la stessa di Houellebecq. È chiaro e incisivo fin dall’inizio dell’opera:

Per tutti gli anni della mia triste giovinezza, Huysmans è stato per me un compagno, un amico fedele; non ho mai dubitato di lui, non sono mai stato tentato di abbandonarlo o di orientarmi verso un altro soggetto.

 

Terminata la lettura, ci siamo sentiti imperfetti quanto la Pléaide, poiché sebbene conoscessimo lo scrittore  non avevamo letto nulla scritto da lui. Se è un autore amato da Houellebecq, ci siamo detti, la cosa non è da trascurare. Abbiamo subito rimediato acquistando e leggendo il suo romanzo più celebre, A rebours, tradotto in italiano in “Controcorrente” o “A ritroso“, pubblicato per la prima volta in Francia nel maggio del 1884. Ripeto questa data per fissarla meglio nella memoria e perché tornerà utile : maggio 1884. E dopo la lettura, quanto meglio è stata comprensibile la narrativa di Houellebecq!

Joris-Karl Huysmans – A rebours

È la storia di un giovane aristocratico, Jean Des Esseintes, che deluso dalla vita frivola e mondana dei suoi coetanei, un giorno decide di abbandonare Parigi e ogni contatto con la società e rifugiarsi in campagna presso Fontenay, ed evitare il contatto con gli esseri umani, riducendo al minimo anche quello con i suoi domestici. Trascorrere una agognata solitudine, alla pari di un eremita o di un certosino, dedicarsi alle sue passioni e le crescenti nevrosi, appare il suo intento. Fra le tante stranezze di questo eccentrico personaggio, una è quella che ci interessa. All’interno di un armadietto, aveva riposto molte botticelle contenenti differenti alcolici. Un dispositivo consentiva di aprire in contemporanea tutti i rubinetti e riempire i bicchierini sottostanti. Con questo sistema, Des Esseintes aveva costruito il suo organo a bocca, e quando aveva desiderio di alcol, costruiva delle sinfonie nel palato assaggiando un po’ di qua e un po’ di là. Infatti, ai tiranti musicali corrispondeva un liquore: all’oboe il kummel, al flauto all’anisetta, ai tromboni il gin e il whisky, alla tuba la grappa, al violino l’acquavite, alla viola il rum, alla tromba il kirsch, e via dicendo.

 

 “Ma quella sera Des Esseintes non aveva alcuna voglia d’ascoltare la musica del palato. Si contentò di cavare dalla tastiera del suo organo una sola nota, portandosi di là un bicchierino colmo d’autentico whisky d’Irlanda. Si riaffondò nella poltrona e religiosamente si sorseggiò quel succo fermentato di orzo e di avena: un acuto aroma di creosoto gli appestò la bocca. Sulla traccia di quel sapore che irresistibilmente ne evocava un altro, il pensiero, facendo da battistrada, resuscitò ricordi cancellati da anni. Quel gusto acre, fenicato, gli richiamò imperioso alla memoria l’identico sapore che gli riempiva la bocca quando il dentista gli lavorava le gengive.”

 

L’aroma di creosoto gli evoca il ricordo di una visita dal dentista avvenuta tre anni prima. Altro che Marcel Proust con il profumo delle madeleine che danno il via al primo capitolo de À la recherche du temps perdu, sempre citato nelle associazioni aromi/ricordi. Huysmans, con il suo libro, è arrivato 38 anni prima!

Ma lasciamo stare la diatriba sui meriti e concentriamoci sull’aspetto importante che ci riguarda: la menzione del whiskey d’Irlanda associato al creosoto.

Molti di noi hanno memoria del suo sentore! Basta aver atteso un treno in una banchina di una stazione. Il creosoto è stato adoperato a lungo per impregnare le traverse che dividono i binari dei treni, principalmente ottenute dal legno di faggio, e farle resistere alle intemperie. Oggi, a causa della sua tossicità, non è più usato, e si sostituisce il cemento al legno per la costruzione delle travi. Il prodotto è derivante dalla distillazione del legno (sempre il faggio), a temperature fra i 200 e i 225 °C. Questo liquido incolore e poco solubile in acqua è composto per più della sua metà da fenoli, il guaiacolo e il creosolo. È impiegato nella medicina dentistica come disinfettante nelle otturazioni provvisorie. Un sentore che chi ama i whisky torbati dovrebbe conoscere, poiché quando se ne degusta uno, descrivendo gli aromi percepiti spesso compaiono i termini di medicinale, farmaceutico, disinfettante, o sinteticamente proprio di dentista (esattamente il ricordo che ha Des Esseintes).

Pertanto abbiamo un primo indizio: lo scrittore ci testimonia come un tempo il whiskey irlandese era, perlomeno anche, torbato.

A questo punto era necessario cercare conforto in un testo monumentale scritto proprio nello stesso periodo da un inglese. Si tratta di The Whisky Distilleries of the United Kingdom di Alfred Barnard, pubblicato nel gennaio 1887 dalla Harper’s Weekly Gazette e mai tradotto in italiano.

La prima edizione del The Whisky Distilleries of the United Kingdom

Questo giornalista, esperto di birra e whisky, il primo turista di questi nella storia, dedicò gli anni 1885/1886 a visitare le distillerie presenti nel Regno Unito. Delle 161 in cui si recò, la maggioranza si trovava ovviamente in Scozia, esattamente 129, segue l’Irlanda (al tempo era ancora unita, sigh!) con 28, ultima l’Inghilterra con 4. Grande assente è il Galles in quanto la prima distilleria di whisky sorgerà nel 1893. Tranne una (proprio in Irlanda), la Avionel di Belfast, che non accettò la visita poiché inabilitati ad accogliere alcuno senza fornire ulteriori dettagli, tutte le altre si rivelarono gentili nel mostrare a Barnard e compagni di viaggio come si svolgeva il loro lavoro. Il tutto fruttò questo cospicuo libro, fondamentale per chi abbia a cuore la storia del whisky. Controllando le 28 schede che ci interessavano, non abbiamo trovato, purtroppo, nessuna menzione all’utilizzo di torba in Irlanda.

Un’ulteriore testimonianza letteraria la si trova quarant’anni dopo Huysmans, in quel forte bevitore (di ogni cosa) che era Ernest Hemingway. È presente nel racconto Three-Day Blow (Tre giorni di vento, in italiano) del 1925 contenuto nella raccolta The First 49 Stories (I 49 racconti, in italiano).

The First 49 Stories – Ernest Hemingway -prima edizione americana

Nick entrò nel cottage. Nel caminetto c’era un gran fuoco. Il vento lo faceva rumoreggiare. Bill chiuse la porta.

“Vuoi bere qualcosa?” disse.

Andò in cucina e ne tornò con due bicchieri e una brocca d’acqua. Nick tese la mano verso la bottiglia di whisky che si trovava sulla mensola del caminetto.

“Posso?” disse.

“Certo” disse Bill.

Si sedettero davanti al fuoco a bere whisky irlandese annacquato.

“Ha un buon sapore di fumo” disse Nick, e guardò il fuoco attraverso il bicchiere.

“È la torba” disse Bill.

“Mica puoi mettere la torba in un liquore” disse Nick.

“Questo non cambia nulla” disse Bill.

“Hai mai visto della torba?” chiese Nick.

“No” disse Bill.

“Neanche io” disse Nick.

 

Se anziché negli Stati Uniti il racconto fosse ambientato in Irlanda o Scozia, dove in entrambi i casi le torbiere costituiscono il 20% del territorio, i due protagonisti non avrebbero potuto dire di non aver mai visto della torba (che comunque anche in Nord America non manca)!

È noto che prima dell’avvento del proibizionismo, il whisky più venduto negli U.S.A. era irlandese, e nel caso in questione era una importazione di un whiskey irlandese torbato.

Affinando la ricerca abbiamo scoperto di non essere stati i primi a nutrire questo tipo d’interesse (non avevamo del resto tali pretese). C’è chi è andato ancor più a fondo e indietro nel tempo, cercando tuttavia non nella letteratura ma tra gli annunci pubblicitari.

È emerso così che in avviso pubblicato nel Belfast Commercial Chronicle, datato 26 maggio 1828, un tale William Carson dichiarava di poter regolarmente fornire ai propri clienti del Peat-Flavoured Pure Malt Whiskey proveniente dalla Bushmills Distillery.

Annuncio del 1828

Dieci anni dopo, un’altro trafiletto uscito sul Liverpool Standard and General Commercial Advertiser, ci informa che recandosi al 175, Dale street, presso la Town-hall di Liverpool, fra le altre cose si poteva acquistare un very superior PEAT-FLAVOURED MALT WHISKY, sempre proveniente dalla Bush Mills Distillery (in questo caso è scritto staccato).

Risulta chiaro che a Bushmills qualcuno torbasse il proprio malto. La distilleria visitata da Alfred Barnard nel 1886 aveva evidentemente già smesso, perché non ne parla. Ci siamo ricordati a questo punto di possedere un libro interamente dedicato a Bushmills, opera dell’illustre Peter Mulryan. L’abbiamo letto a suo tempo per preparare una degustazione proprio sulla distilleria ma non ricordavamo informazioni sull’impiego della torba nel passato. Probabilmente ci è sfuggito perché ad averlo saputo lo avremmo certamente detto durante l’evento. Ricontrolliamo questo testo pieno di belle illustrazioni senza trovare nulla, a parte la menzione di un esperimento fatto con il malto torbato a metà degli anni ’70 del novecento e subito abbandonato. Né tanto meno il libro include le riproduzioni dei suddetti annunci pubblicitari. Abbiamo anche pensato che questi si potessero riferire al prodotto di un’altra distilleria della città, poi però abbiamo scoperto un testo che conferma trattasi della stessa, la Old Bushmills.

Il chimico irlandese James Sheridan Muspratt, nato a Dublino e figlio di James Muspratt, uno dei più grandi produttori di prodotti chimici industriali nel Regno Unito tra il 1825 e il 1850, nel suo libro Chemistry, Theoretical, Practical, and Analytical as applied and relating to the Arts and Manufactures pubblicato nel 1853 scrive proprio a proposito della cittadina di Bushmills:

 

“the town has long been celebrated for its superior malt whiskey…in the oldest of these distilleries the spirit is made exclusively from malt, which is prepared in the ordinary way, excepting that peat is used in drying it”

 

Ma andiamo oltre. Un ulteriore inserto datato 1871 riporta un whiskey proveniente da un’altra distilleria irlandese, la Coleraine presso Derry, pubblicizzando il malto with its beautiful Peat Flavour.

annuncio del 1871

Sembra che la fascinazione verso il malto affumicato termini in Irlanda attorno al 1890, quando il carbone sostituisce la torba quale combustibile per l’essicazione del malto. Dopodiché il whiskey irlandese prende la strada del leggero e morbido (da leggersi talvolta come scialbo e inoffensivo) in contrapposizione e per differenziarsi dal più saporito scotch whisky. Questione di gusti, vien da sé. Fino a pochi anni fa, l’unico baluardo di una versione torbata di whiskey irlandese era il Connemara che tuttavia non è prodotto nel Connemara.

Gli abitanti di questa regione, un tempo dimora della tribù dei Conmhaicne del mare dalla quale deriva il suo nome, sono abituati alla vista del rude paesaggio, distinto da valli con bassa vegetazione, dai drums, colline dalle forme morbide, e soprattutto dalle onnipresenti torbiere, le vere protagoniste del territorio, situate ai bordi dei numerosi laghi, o presso stagni e corsi d’acqua. Ci troviamo all’estremo ovest dell’Irlanda, in una contea che si affaccia nell’oceano che guarda direttamente la distante Terranova canadese. Ma se ci dovessimo spostare nell’entroterra, proprio nel cuore dell’Irlanda, a metà strada fra Galway e Dublino, incontreremo nel nostro cammino la distilleria di Kilbeggan, fondata nel lontano 1757. Visitandola noterete che la copia della licenza è ben riconoscibile all’interno dello stabile, appesa a un muro. Come quasi la totalità delle distillerie irlandesi, subì con la chiusura le conseguenze della grave crisi economica avutasi a cavallo fra il 1920 e il 1930. Cessò definitivamente l’attività nel 1957. Ora, grazie alla restaurazione da parte della comunità cittadina, è divenuta un museo. Nel 2007 accadde qualcosa di nuovo. La distilleria di Cooley, che aveva utilizzato i vecchi magazzini della Kilbeggan per maturare i propri whiskey, ne acquista la licenza. Costruisce un nuovo edificio a fianco e riprende l’attività di distillazione utilizzando uno dei due alambicchi in essere, costruito all’inizio del 1800 e proveniente dalla collega Tullamore. Si tratta dell’alambicco più antico in Irlanda di quelli in funzione!

Il più antico alambicco in funzione presso Kilbeggan

L’inserimento di una vasca di macerazione e una di fermentazione avvenuta tre anni più tardi gli consente finalmente di produrre in totale autonomia. Qui ha sede la Kilbeggan Distilling Company, società che ingloba anche la distilleria di Cooley e ora facente parte del colosso mondiale di Beam-Suntory. E continuando il viaggio attraversando l’isola, sotto il confine dell’Irlanda del Nord, troviamo la citata distilleria di Cooley dove si produce e si invecchia il whiskey Connemara.

Dicevamo che fino a pochi anni fa era l’unica a esprimere un whiskey torbato, ma negli ultimi tempi grazie al cielo le cose stanno cambiando nell’isola che si sta aprendo al nemico fenolico.         In una intervista ad Alex Chasko master distiller della Teeling, lui dichiara :

“Se vai abbastanza indietro nella storia irlandese, tutto è stato torbato: tu e io saremmo stati torbati, poiché ci sarebbe stato un fuoco aperto nel mezzo della stanza e nessun camino”.

 

E così nel 2020 la distilleria di Dublino ha creato il Teeling Blackpitts, a tripla distillazione e prodotto con malto torbato a 55 ppm, per capirci la stessa misura della torba utilizzata da Ardbeg in Scozia per il proprio 10 anni.

Teeling Blackpitts

“Poiché la tripla distillazione riduce i fenoli, partiamo da 55 ppm per ottenere la leggera torba in sordina in BlackpittsSe i whisky irlandesi fossero prodotti con malto leggermente torbato a 20-30 ppm, rimarrebbe poco distinguibile il carattere della torba dopo la tripla distillazione”.

Hinch peated

Successivamente anche la Hinch di Ballynahinch nell’Irlanda del Nord ha prodotto una versione torbata e la Great Northern Distillery situata a Dún Dealgan (Dundalk in lingua inglese) il suo An Fear Grinn.

An Fear Grinn

Ma il più atteso forse è stato il recentissimo rilascio da parte di uno dei guru del mondo del whisky scozzese (e a questo punto non solo), Mark Reyner (il re-inventore della Bruichladdich). Con la sua Waterford, distilleria fondata nel 2014 presso l’omonima città situata nel sud dell’isola, ha imbottigliato ben due versioni torbate.

L’orzo è coltivato in due single farm di Fenniscourt e Ballybannon, nella contea di Carlow, e la torba utilizzata è stata tagliata da Ballyteige nella contea di Kildare. Due livelli differenti di torbatura: rispettivamente a 38 e a 47 ppm.

Waterford Ballybannon e Fenniscourt

E sebbene l’Irlanda abbia dichiarato guerra alla torba, mettendola al bando per usi domestici, sostenendo che emetta un particolato superiore a quello del carbone e quindi inquini maggiormente, siamo certi che ulteriori imbottigliamenti verranno in seguito, ne abbiamo avuto testimonianza diretta in una nostra recente visita nell’isola, come propositi messi in cantiere.

E questo ritorno alla scura torba da parte della verde Irlanda, ci riporta alla mente le parole di un altro scrittore ben più recente.

 

“No, l’Irlanda non è verde, ma il colore bruno è quello prediletto dagli irlandesi, bruno dorato come il whisky e la Guinness nelle bettole di Dublino e di Cork, o marrone castagna come il manto del giovane cavallo da corsa sui pascoli di Kildare.” (dalla raccolta Kille KilleQuando le pietre parlano racconto di Ernst Wilhelm Heine)

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Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.

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