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STORIEDABERE

SPIRITS EVOCATION, IL RACCONTO PER IL NATALE DEI LETTORI DI VINODABERE

Nota di Redazione

Con la nuova rubrica “Storiedabere” diamo spazio alla fantasia ed ai sogni, sempre in qualche modo legati all’enogastronomia. E quale miglior periodo per iniziare se non quello legato al Natale? Mettetevi dunque comodi ed entrate nel magico mondo del racconto di Pino Perrone.

SPIRITS EVOCATION 

Racconto  Inedito di Pino Perrone

Era stato inviato dall’azienda per la quale prestava servizio in una località di un’altra regione. Ogni tanto era necessario svolgere delle mansioni in esterna. Doveva seguire una società di nuova costituzione nella sua fase di start-up. Era un ingegnere informatico e aveva calcolato che la faccenda si poteva risolvere in quattro giorni, salvo complicazioni. Non molti né pochi da trascorrere in un paesino che, terminata la giornata di lavoro, offriva poco o nulla a chi, come lui, era abituato alle opportunità della metropoli. Trascorso il primo giorno, infatti, non vedeva l’ora di tornarsene a casa. Passò in albergo per darsi una rinfrescata e cambiarsi d’abito. Proseguì la lettura del libro di fantascienza che aveva iniziato la sera prima, sul treno, e poi uscì per cercare un posto dove cenare. Decise in breve tempo: erano solamente tre i luoghi di ristoro che il paesino ospitava, tutti nella piazza principale. Entrò in quella che si definiva trattoria. Non scelse il menu fisso, evidenziato anche all’esterno, ma dei piatti che sapeva essere tipici, accompagnati da una bottiglia di vino rosso anch’esso proveniente dalla zona. Aveva letto in un articolo che questa combinazione era chiamata dai sommelier abbinamento regionale, e la cosa non gli dispiaceva. Mangiò con gusto malgrado le preparazioni fossero un pochino rustiche per il suo palato. Al termine della cena notò che all’interno di una vetrinetta c’erano alcune bottiglie di whisky. Chiese di poterle osservare da vicino e dopo averle esaminate tutte domandò un bicchiere di un single malt scozzese proveniente da Islay, come l’etichetta menzionava. Cercò su Google, e scoprì che era un’isoletta delle Ebridi interne, la più meridionale, dove le distillerie producevano solo whisky cosi detti torbati, e quell’isola era la patria di questa tipologia di whisky. Non era a digiuno del significato della parola torbato, era l’affumicatura dovuta all’utilizzo della torba e, sebbene non ne avesse mai provato uno, era consapevole di ciò che l’attendeva procedendo all’assaggio. Fin dall’inizio, non appena il liquido fu versato nel bicchiere, sentì degli aromi legati al mare, allo iodio e all’affumicato, inusuali da percepire in una normale bevanda. Ne fu particolarmente colpito e il distillato gli piacque molto. Dopo aver pagato il conto, che con sorpresa risultò di modesta entità, uscì dal locale più contento di quando vi era entrato. Non era stanco e il tempo consentiva di proseguire la serata, e l’aver passato l’intera giornata da seduto, prima davanti a un personal computer e poi a cena, lo convinse a fare una passeggiata. Camminò per le stradine del piccolo paese finché in breve giunse alla sua periferia. Si trovò all’ingresso di un parco dal cui interno proveniva una musica dai ritmi allegri. Era indeciso se tornare indietro verso l’albergo o entrarci, la curiosità prevalse.

Percorse un lungo viale sterrato con alti pioppi che si erigevano su entrambi i lati. Ogni trenta metri circa, dei lampioni accesi impedivano che la strada fosse al buio completo. Vide qualche panchina posta ai margini del percorso e su un paio di esse delle coppie scambiarsi effusioni, così almeno gli sembrò, la luce non arrivava del tutto a fare chiarezza e neppure si soffermò troppo a verificare, non volendo passare per un vizioso. Il viale terminava in un ampio slargo privo di vegetazione e finalmente comprese da dove provenissero i suoni che, durante la camminata, si erano fatti sempre più forti e vicini. Era un parco di divertimenti, piuttosto modesto ma inversamente chiassoso. Colmo di persone, principalmente bambini accompagnati dai loro genitori. Sebbene di piccole dimensioni non mancava di nulla, a eccezione della ruota panoramica e delle montagne russe che, nello spiazzo, neppure sarebbero entrate. Venditori di zucchero filato, e di palloncini colorati. Bancarelle con la frutta secca, croccanti, lecca lecca e altri dolci. Tiro a segno con peluche in premio. Né mancavano gli attrezzi testanti la forza muscolare, come lo “sferra il pugno”, il “pesta con il martello”, il “lancia il razzo”, o il più tradizionale “braccio di ferro”. C’erano anche le giostre con i cavalli, i seggiolini volanti, l’autoscontro, e il tagadà. E poi una pista per minicar, gli animali da cavalcare per i più piccini che si attivavano con un gettone, la pesca di pesci rossi vivi e vegeti, sguazzanti in una acqua torbida. E ancora la casa degli specchi, quella degli orrori, un cartomante seduto all’interno di un cubicolo di legno, un piccolo museo delle stranezze. Preso dall’entusiasmo e con un lieve appetito dovuto all’alcol ingerito, acquistò una confezione di arachidi nel loro guscio che prese a sbucciare mentre camminava. Una piccola casa di legno attirò il suo interesse. Era in fondo al piazzale, appena dopo la casa degli orrori e prima che iniziasse una via buia che proseguiva verso l’interno del parco. L’insegna che la sovrastava recava la scritta a caratteri gotici: “SPIRITS EVOCATION” e sotto, più in piccolo, “niente è come appare”. Si fermò a osservare meglio, incuriosito da quell’attrazione. Davanti c’era un box di legno, certamente era la cassa, e al suo interno una persona stava seduta su uno sgabello. Dopo di che si accedeva in quel luogo che prometteva stranezze e che, era evidente, non fosse di grandi dimensioni. Nessuno in fila per entrare: sembrava quasi che le persone presenti nel parco divertimenti fossero tutte impegnate in altro o che snobbassero quel luogo. Eppure era così strambo, con un nome che richiamava l’occulto. Quel posto lo calamitava, non era un appassionato del genere, ma qualcosa di strano e indefinito meritava una verifica. O semplicemente aveva bevuto in maniera eccessiva. Si avvicinò fino a giungere davanti al signore che poté finalmente distinguere. Aveva una età incerta, potevano essere 50 anni ma anche molti di più e ben portati. Indossava un completo nero con camicia bianca, cravatta nera e panciotto ugualmente nero con numerosi bottoni a goccia dorati. Gli occhi erano brillanti, di un azzurro intenso ed era truccato di nero in maniera sottile, donando allo sguardo un’aria quasi magica. Questi gli sorrise osservandolo intensamente. Aveva una barba nera che cominciava appena a imbiancare, corta e ben curata. Senza smettere di essere radiante e mantenendo lo sguardo fisso su di lui gli domandò:

“Buonasera signore, vuole fare questa experiensa?

Fu travolto da quella voce profonda. Non l’attendeva così magnetica e allo stesso tempo calda e rassicurante. Ne fu turbato per qualche istante.

“Di che si tratta, tavolini che si muovono, voci dall’oltretomba, fantasmi che appaiono?”

“No, no, signore, assolutamente, niente di tutto ciò. Ma capisco le sue perplessità. Il titolo, in effetti, potrebbe trarre le persone in inganno, ma l’experiensa è di tutt’altro genere. Mi deve credere, le assicuro che è la verità, anche se comprendo possa pensare che la mia posizione non mi consenta di dire in altra maniera. Entrare per lei sarebbe un’experiensa inedita e appagante.”

Le parole scelte, la calma che mostrava e il modo particolare di pronunciare il termine esperienza, gli fecero pensare che fosse uno straniero e l’insieme aumentò la sua curiosità.

“E allora, se non concerne l’occulto, Spirits cosa c’entra?”

“Lei ha ragione mio caro signore, stavo appunto per spiegare. Di spiriti si tratta ma … di quelli alcolici.”

“Come, come? Cioè che cosa accade all’interno?”, disse non credendo alle sue orecchie.

“Glielo spiego immantinente. Accedendo alla stanza dell’evocazione si ha modo di fare una experiensa senza pari. Troverà al suo interno un pannello con molti pulsanti, quaranta per l’esattezza, che sono a sua disposizione. Tuttavia, la informo fin d’ora che il biglietto d’ingresso consente al Cliente di pigiarne uno solamente. A ciascuno di questi pulsanti corrisponde uno spirito, un liquore o un distillato. Operata la scelta e digitato il pulsante si diffonderanno nell’ambiente i vapori dello spirito selezionato e il Cliente inalandoli compirà un viaggio tridimensionale. Venti minuti di experiensa che lei ricorderà per sempre, glielo posso garantire.”

Quelle parole lo lasciarono stupito e interdetto, si silenziò per qualche secondo, preoccupato che entrare in quel luogo potesse essere di qualche pericolo. Ma l’esperienza lo intrigava, la voglia di provare era tanta, forse liberata anche da un altro spirito, quello che già aveva in corpo.

“Inalazione, viaggio tridimensionale, vapori diffusi, non è che all’interno vengono sprigionate delle droghe?”

“Ciò che è vaporizzato è un segreto che non posso svelare. Ma le do la mia parola d’onore che non si tratta di alcuna droga, sempre che lei non consideri tale lo spirito medesimo”, rispose senza smettere di guardarlo negli occhi e cercando di mantenere un sorriso che non potesse confondersi per uno di scherno.

“Pertanto lei mi assicura che non corro alcun rischio se entro lì dentro?”

“L’unico rischio in cui potrà incorrere, gentile signore, è che quando la sua experiensa sarà terminata, vorrà che non lo fosse.”

“Ah bene. E quanto costa questa experiensa, come lei la chiama?”

“Quindici euro signore, quindici euro ben spesi aggiungo, se il signore me lo consente.”

“Però! Non è affatto poco.”

“Le assicuro, signore, che non avrà a pentirsene. Al contrario, terminata la sua experiensa le sembrerà d’aver pagato poco.”

Lasciò passare qualche attimo per far sembrare fosse in dubbio ma in realtà aveva già deciso. “E sia, mi ha convinto”, disse prelevando dal portafoglio due banconote, una da dieci e una da cinque che gli consegnò, “Farò pagare l’experiensa all’azienda. Può lasciarmi una ricevuta, vero?”

“Grazie signore. Certamente signore, le lascio un biglietto d’ingresso, che vale come ricevuta”, e detto questo gli consegnò un rettangolino di carta dove era scritto:

Spirits Evocation – Niente è come appare.

L’ingresso ha il costo di euro 15 e dà il diritto a 1 esperienza.

Durata dell’esperienza minuti 20.

Vietato l’ingresso ai minori di anni 18.

Notò che nel biglietto la parola esperienza era scritta correttamente. Ironizzò sulla presenza di tutti quei numeri, e se non convenisse giocarseli. Rigirò il biglietto ma nel retro non c’era scritto nulla. Sollevandolo e guardando in controluce però, notò una filigrana. Era un simbolo che non riuscì a decifrare. La presenza della filigrana lasciava intendere che fosse una carta di pregio, e in un certo senso lo rassicurò. Intascato il biglietto si diresse verso la porta d’ingresso. Poco prima di entrare sentì la voce dietro di lui:

“Faccia una buona experiensa, signore”.

La stanza era quadrata, ancor più piccola di quanto l’esterno consentiva di immaginare. Misurava all’incirca quattro metri per ciascun lato. Le pareti erano di legno, color castagno chiaro, e il tutto dava l’impressione di trovarsi all’interno di una sauna, e per un attimo pensò di essere stato truffato. In alto, posizionati ai quattro lati s’intravedevano degli ugelli, con tutta probabilità dei diffusori. Al soffitto era fissato un doppio tubolare al neon di luce bianca. Sulla destra c’era un pannello con dei pulsanti, incastrato nella parete di legno. I tasti erano di forma rettangolare e retro illuminati di luce bianca. Erano disposti in quattro file da 10. Su ognuno c’era scritto in stampatello il nome di un liquore o di un distillato. Scorse RHUM DELLA MARTINICA, COGNAC, TEQUILA, GRAPPA DI TRAMINER, KUMMEL, ACQUAVITE SUSINE MIRABELLE, BOURBON, e altri finché non lesse ISLAY SCOTCH WHISKY. Si ricordò di quel che aveva da poco bevuto e, senza andare oltre pigiò il pulsante. Non passò un secondo che da i quattro diffusori si sprigionò del vapore, l’intera stanza ne fu invasa per una ventina di secondi. Gli aromi erano gli stessi che aveva inteso nel whisky della cena. Poi le luci si spensero e d’improvviso …

le pareti svanirono e si trovò proiettato in un’altro ambiente.

La prima cosa di cui si accorse fu di trovarsi all’esterno. Dopo qualche attimo di disorientamento si guardò intorno incredulo, non capendo dove si trovasse. Che fine aveva fatto la stanza? Dove era adesso? Che cos’era questa sensazione di fresco, questo odore, questo rumore che sentiva? Si riprese lentamente dallo stupore e cominciò a guardarsi attorno. Era notte e il cielo era limpido, di un azzurro scuro e profondo rischiarato dalla luna piena situata proprio sopra la sua testa e che, oltre a illuminare la volta celeste, consentiva di vedere intorno a sé. Davanti c’era una immensa distesa d’acqua, un mare, forse un oceano mosso dal forte vento che, si rese conto in quel momento, sferzava il suo corpo, il suo volto, i suoi occhi, le sue labbra. Tirò le mani fuori dalle tasche, le guardò e si tastò il corpo per capire se stesse sognando. Indossava una giacca a vento che non ricordava di possedere, di colore giallo elettrico, o almeno con quella luce così sembrava, con cappuccio che gli copriva la testa. Lo sfilò e immediatamente sentì il fresco del vento che mosse i capelli, e udì forte un sibilo che penetrò nelle orecchie. Percepì quell’odore di salsedine, di iodio, di alghe marine, di pescato, del mare stesso, e ancora di catrame, e un sentore di rete da pesca, tutti molto intensi. Volse lo sguardo intorno a sé, e vide solo degli scogli, e si rese conto di dove si trovasse: in cima a una piccola isoletta rocciosa. Ascoltò il rumore delle onde che si schiantavano e qualche schizzo d’acqua arrivò fino a lui, bagnandogli le scarpe. Fu allora che, girandosi, notò una luce bianca che si muoveva e in lontananza illuminava la distesa innanzi a sé. Un percorso in lieve salita portava a un faro dipinto di bianco. Sembrava un birillo alto una trentina di metri che poggiava su una base di mattoni. Diede un ultimo sguardo al mare e si incamminò. Alla base del faro c’era una porta e provò ad aprirla. Non era chiusa a chiave ed entrò all’interno. Subito un disimpegno, e sulla destra le scale che iniziò a salire. Delle finestre fissate nel muro, s’incontravano, di tanto in tanto, e un paio di volte si fermò ad osservare l’esterno. Dopo qualche minuto raggiunse la cima, che terminava su un pianerottolo sul quale si trovava una porta. L’aprì e automaticamente la chiuse alle sue spalle. Era una stanza piuttosto grande e rotonda, illuminata, senza finestre, con pareti rivestite di legno marrone chiaro. A un lato una scala a chiocciola in ferro saliva ancora, e verso di essa si diresse. Culminava in un’altra stanza delle stesse dimensioni della precedente ma con il soffitto ben più alto e le pareti interamente di vetro. Al centro, all’interno di un cilindro, la lente di Fresnel. Rimase qualche secondo ad osservarla, affascinato dal suo luminoso movimento. Poi ridiscese per curiosare nel locale sottostante. Sulla sinistra una grande libreria circolare come mai gli era capitato di vedere. Era colma di libri e ne prese alcuni fra le mani.

John Barleycorn di Jack London, Typhoon di Joseph Conrad, Moby Dick di Herman Melville, The Narrative of Arthur Gordon Pym of Nantucket di Edgar Allan Poe, Treasure Island di Robert Louis Stevenson, Captains Courageous di Rudyard Kipling, Twenty Thousand Leagues Under the Seas: A World Tour Underwater traduzione dal francese di Jules Verne, e tanti altri volumi, anche non di narrativa ma semplici racconti di viaggio. Tutti in lingua inglese e aventi per tema il mare. La fattura editoriale era di un tempo andato, si trattava con probabilità di prime edizioni, perfettamente integre, come nuove. Su di un tavolo lì a fianco c’erano depositati alcuni oggetti: una bussola, una rosa dei venti, un calamaio, ma soprattutto alcune carte nautiche aperte e fermate da un compasso di ottone e da un righello, che apparivano antichi. Cercò di capire di quali tratti di oceano trattassero le carte ma non ci riuscì. Poi notò una vetrinetta. Al suo interno c’erano una ventina di bottiglie di whisky. Il mobile ad ante era aperto e ne afferrò una. Era integra, ancora sigillata, e aveva una etichetta bianca con delle scritte in nero. C’era scritto:

Old Liquer Scotch Whisky

Laphroaig.

(Non Peaty)

D.Johnston & Co.

Laphroaig Distillery.

Isle of Islay.

Distilled and bottled in Scotland.

Laphroaig … quel nome se lo ricordava, era quello del whisky assaggiato in trattoria, ma la bottiglia che aveva fra le mani era molto diversa. A cominciare dalla sua forma, dal colore del vetro, in questo caso scuro, dalla chiusura del tappo differente, e infine dai caratteri di stampa in etichetta, in gran parte in corsivo. Eppure era nuova, intonsa, su questo non c’era alcun dubbio. Fu colpito da quella scritta: Non Peaty. Stava a significare che il whisky non era torbato, mentre quello che lui aveva da poco bevuto lo era eccome. Fu in quel momento che gli venne un dubbio. Ripose la bottiglia nella vetrina, chiuse le ante, e cominciò a cercare un oggetto finché non l’ebbe trovato, fissato a una parete. Quel che lesse lo fece letteralmente trasalire:

Bonnie Scotland

Pictorial Leaflet Calendar

February 1932

Era ancora frastornato dalla scoperta quando udì un rumore di passi che s’interruppero dietro alla porta chiusa. Vide la maniglia abbassarsi, la porta aprirsi piano piano e …

si accesero le luci e si ritrovò nella stanza dello “Spirits Evocation”.                Una voce proveniente dall’alto enunciò: “La experiensa è giunta al termine. Si prega di uscire dalla sala dell’experiensa”. Ancora scosso si destò riconoscendo la voce dell’uomo e uscì da dove era entrato.

“Piaciuta l’experiensa signore?”

“Sì”, rispose frettolosamente, “ecco altri 15 euro per proseguire per altri 20 minuti”, porgendogli una banconota da 20 euro.

“Mi spiace, signore, ma non è possibile. Si può fare solo una experiensa al giorno.”

“Ma come, non c’è nessuno in attesa” e vedendo che l’altro non rispondeva lo supplicò “La prego, si tenga pure il resto ma lasci che continui”.

“Non mi è proprio possibile, signore. È il regolamento che lo impone, per la tutela della salute del Cliente.”

“Come sarebbe a dire per la mia salute, aveva detto che non avrei corso alcun rischio.”

“Infatti, e glielo confermo, può stare tranquillo, mio caro signore, non ne corre alcuno, ma la prosecuzione immediata potrebbe creare, in alcuni casi, episodi di dipendenza. Per tale ragione limitiamo l’experiensa a una sola per giornata a persona. Se vuole può tornare domani sera e proseguire la sua experiensa, che continuerebbe, se sceglie il medesimo pulsante, esattamente dove l’ha lasciata.”

Avvertì un’improvvisa stanchezza, e convenne fosse meglio non replicare e dopo aver salutato se ne andò.

“Arrivederci signore”, di rimando gli rispose.

Percorse a ritroso il viale alberato in tutta fretta, assieme a molte famigliole che anch’esse lasciavano il parco, voleva rientrare in albergo il più presto possibile. Era disorientato, confuso, spaesato e molto stanco, e quando arrivò a destinazione quasi non se ne accorse. Salì le scale ed entrò nella sua stanza. Le forze gli vennero meno tutte assieme e si addormentò di colpo sul letto, senza neppure svestirsi, tranne per le scarpe che fece in tempo a togliersi.

L’indomani mattina si svegliò pieno di forza, come da tempo non gli accadeva. Si svestì per potersi lavare e vestire di nuovo. Fece colazione e, avendo molto più appetito del solito, prese per due volte delle uova strapazzate con bacon. Provava una strana sensazione di euforia, quella che han coloro che vivono nell’attesa di una cosa gradita, e che vorrebbero veder passare le ore come nulla fosse e arrivare all’evento agognato. Si recò presso il cliente e svolse il lavoro con la mente distratta da quanto era accaduto il giorno prima. Commise pertanto alcuni errori che prontamente individuò e corresse, senza che nessuno se ne accorgesse. Saltò il pranzo e continuò a lavorare interrottamente fino alle 18. Quindi uscì per dirigersi in albergo, cambiarsi e riposare. Gli sembrò che, tutto sommato, quel piccolo paese non fosse così male, e d’averlo giudicato frettolosamente. Ora provava meno nostalgia di essere così distante da casa, rispetto a quando era arrivato. Scelse di cenare nel medesimo luogo del giorno precedente ma ordinando piatti differenti. Cambiò di conseguenza il vino in abbinamento. Mangiò con piacere e al termine si sentì fisicamente bene. Replicò solo il distillato, ritrovando i medesimi aromi, quelli percepiti anche in quella strana esperienza che aveva vissuto. Rivedendo la bottiglia di whisky da vicino ebbe la conferma che era lo stesso nome di Laphroaig ma ben diversa da quella vista nel faro. Pagò il conto e uscendo disse: “A domani”.

Si diresse verso il parco, percorse il lungo viale alberato e arrivò al piazzale, molto meno popolato rispetto al giorno prima. Ma il casotto di legno di “Spirits Evocation”, affianco alla Casa degli Orrori, nel punto dove si trovava non c’era. Sorpreso pensò che si fosse spostato di posizione, ma il parco non era così vasto e lui guardandosi intorno proprio non lo riusciva a scorgerlo. Decise che fosse meglio domandare a qualcuno.

“Mi scusi signora se la disturbo, ma non vedo più quel capannone di legno che stava poco dopo di voi ieri sera. Che fine ha fatto?”

“Lei si sbaglia, signore, non c’era nessun altro dopo di noi. Con la Casa degli Orrori il parco divertimenti finisce”, rispose una grassa donna che masticava un chewing gum.

“Ma non è possibile, ci sono stato ieri, si chiamava “Spirits Evocation”.

“Le ripeto che dopo non c’era nessuno e che mai c’è stato. Quel nome poi non l’ho mai sentito in questo parco. Lei si sbaglia.”

“Ma le dico che era esattamente qui. Sono entrato e ho fatto un’esperienza incredibile, mi trovavo altrove, forse in un’epoca del passato, ma poi il viaggio si è interrotto. Era scaduto il tempo. Il signore alla cassa aveva occhi azzurri truccati, vestiva in completo nero con panciotto, mi disse di tornare oggi”, era concitato e insistette con veemenza, senza alcuna cautela e senza rendersi conto che quel che stava dicendo poteva essere male interpretato.

“Mai visto uno con gli occhi azzurri e panciotto. Certo che, se lei ieri sera aveva bevuto quanto ha fatto oggi, non mi stupisce che racconti certe cose”, gli rispose la donna oramai visibilmente infastidita.

“Ma no, cosa c’entra. Le dico che è vero. Ecco, posso dimostrarglielo. Ho ancora in tasca il biglietto d’ingresso che mi diede”, e trasse senza neppure guardarlo il cartoncino che porse direttamente alla signora. Lei lo osservò appena, lo rigirò, guardò lui, poi sputò la gomma in terra e restituendolo il biglietto gli disse: “Vada al diavolo, deficiente.”

Lui riprese quel rettangolino, era bianco senza alcuna scritta da ambo i lati. Eppure il giorno prima … Lo alzò e messo in controluce vide nuovamente la filigrana. Adesso era chiara e comprensibile, e riuscì a identificare un piccolo faro.

 

Poggiò la penna e gli occhiali sul tavolo. Cercò il bicchiere con il whisky e ne bevette un sorso. Poi si alzò per osservare il mare. Una immensa distesa d’acqua lo circondava per intero. Il faro era appoggiato sulla spianata di un ammasso roccioso. Solo roccia e tanto mare. Nient’altro. Nessun albero né vegetazione. Nemmeno un uccello sorvolava quel luogo isolato. Aveva perso il senso del tempo. Non sapeva che giorno fosse o in quale anno si trovasse. Quanti anni aveva adesso? Non lo sapeva. Non ricordava più come ci fosse finito lì. Non c’era nessun dispositivo elettronico, né un orologio, e quello da polso aveva cessato di funzionare quando arrivò in quel luogo, assieme al suo cellulare. Era passato tanto tempo da quel giorno, ma non sapeva minimamente quanto. Mai nessuno era arrivato fin lì. Non vide mai una imbarcazione, anche in lontananza. Solo acqua. Sempre e solo acqua. La stessa che, quando pioveva, raccoglieva per bere. Non poteva sentire della musica, non c’era elettricità e il faro era spento, abbandonato. Gli unici suoni erano quelli legati all’acqua, quando si frangeva sugli scogli o cadeva dal cielo. Oltre al rumore del vento. E a quello della sua voce. Alla base del faro, una porta conduceva a una cantina. All’interno erano stipate riserve di cibo sufficienti per un lunghissimo periodo. C’erano anche diverse casse di whisky torbato. Tutto il necessario per sopravvivere eccetto l’acqua. Ovviamente non c’era acqua corrente nel bagno, e per lavarsi adoperava quella raccolta con la pioggia. Passava le giornate leggendo i libri che aveva trovato in quel luogo. Una volta letti tutti li rilesse di nuovo, e poi ancora una volta. Oppure impiegava il tempo per scrivere dei racconti. Ma soprattutto osservava il mare. Prima di giungere al faro aveva vissuto in solitudine, l’aveva fortemente cercata, facendo più o meno le cose di adesso, ma vivendo all’interno di una moltitudine. Ora sul serio sapeva cosa significava essere soli. Per colmare il vuoto ultimamente parlava da solo. Sarebbe diventato pazzo. Forse già lo era. Talvolta vedeva delle ombre, figure che rincorreva e che ben presto svanivano nel nulla. Lui si sarebbe accontentato di parlare anche con un fantasma. Nemmeno quello. Condannato a star lì, fino alla fine dei suoi giorni. 

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Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.

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