Parlando di Romagna, mancava all’appello il variegato quadro di Predappio, con i suoi Sangiovese di carattere a tratti inimitabile. Iniziamo, dunque, il focus su questo areale. Predappio si distingue in due fasce differenti: una bassa ai confini con altre menzioni aggiuntive regionali come Castrocaro Terme, dove dominano argille azzurre, vene ferrose e sabbie scure ed il clima è caldo-umido d’estate e freddo in inverno. Una invece, quella più interessante, nella parte alta, dove la “prè” (la pietra in dialetto romagnolo) diventa colorata di bianco e ocra, per gli inserti di calcare, gesso e zolfo di origine pliocenica.
Tutto era mare milioni di anni fa, ed il lento ritirarsi delle acque ha lasciato depositi di sale, richiamando in superficie sorgenti termali e componenti sedimentarie celate in profondità. Possiamo descriverle come delle piccole solfatare fredde di origine non vulcanica, che hanno ampliato la complessità morfologica dei terreni. Un luogo perfetto per il Sangiovese, amante delle cose poco banali e delle sfide ardite.
Nel 2011 Cristiano Mengozzi, proveniente da altro settore, optò per il grande passo, ponendosi al di là della barricata, nel ruolo di produttore. Il motivo della scelta di un nome così curioso e accattivante nell’immaginario collettivo per la Società Agricola SaDiVino si deve al dominio di un sito internet già esistente, nella disponibilità del Mengozzi stesso. Una evidente crasi tra i termini sano e di vino. La cantina di fermentazione e maturazione è opera del 2015, a costo di enormi sacrifici economici familiari. Ben 7 gli ettari in produzione, ma si punta a 10 nel futuro prossimo, superando le attuali 30 mila bottiglie annue. Sperimentazioni sul campo ed in vasca, con l’utilizzo di vinificazioni in tini troncoconici per parcelle separate.
Un’insospettabile vena bianchista tra tanti rossi, dimostrata ad iniziare dalle bollicine, l’austera Albanà 2018 Pas Dosè da 30 mesi sur lie e la Brut 2019 deliziosa, dalle tinte mielose e speziate. Che dire poi dello Chardonnay fuori dagli schemi, molto agrumato e privo delle opulenze del varietale e del Trebbiano 2021, prima volta in bottiglia, dall’acidità vibrante e salina. Si chiude la pagina dei vini bianchi con il Sauvignon Blanc 2022 en primeur dalle interessanti sensazioni di pompelmo rosa su tocchi mediterranei. L’alcool si avverte, ma è ben bilanciato dagli altri attori in gioco.
La pagina del Sangiovese riguarda invece una strepitosa verticale del Solfatara, cru di una vigna singola di 50 anni, zona Predappio Alta, partendo dalla recente 2018 fino a giungere alla 2012. Prima scaldiamo i muscoli facciali con due San Joves, uno vinificato con tecnica a grappolo intero, forse il metodo idoneo per fronteggiare l’attuale innalzamento delle temperature (a patto di governare però alcune asprezze tanniche).
Solfatara 2018: in chiaroscuro come tante altre denominazioni italiane in questo millesimo. Sbalzi climatici hanno reso il prodotto finale denso, carnoso, declinato già sui terziari di sigaro e cioccolato. Si trova in una fase di stanchezza.
Solfatara 2017: incredibile, alla faccia di chi scommetteva poco o nulla su quest’annata particolarmente calda e siccitosa. Il Sangiovese gongola per aver compiuto il suo sforzo supremo: dare giusta maturazione ai propri tannini. Succo di ciliegia e amarene sotto spirito, prosegue nelle scie fruttate tipiche dei fuoriclasse.
Solfatara 2016: note mentolate dal finale amaro con poca anima. E la chiamavano “annata 5 stelle”…
Solfatara 2015: buona da perderci la testa. Composita come il direttore d’orchestra al momento del tacet. Quando attacca con la musica è un tripudio di fiori viola, crème de cassis e pepe nero in grani. Termina su eucalipto e caffè.
Solfatara 2014: ormai ha salutato tutti per l’ultimo viaggio. Finale spento, eppure quella nota di incenso e fiori secchi chissà cosa avrebbe raccontato un paio di stagioni fa.
Solfatara 2013: nella norma, forse troppo carico di nuance da erbe officinali che distraggono dal frutto timido al ricordo di marasca. Il Sangiovese quando nasce verde muore sempreverde.
Solfatara 2012: ottima, dopo 11 anni non molla il colpo di un centimetro. Progressione agrumata da arancia sanguinella e mirtillo rosso americano. Scie minerali iodate in chiusura di sorso, lunghe e appaganti. Quando in altri territori blasonati i vini hanno già intonato il de profundis, il caldo a Predappio non può che far bene alle vigne.
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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