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© Cristian Castelnuovo.

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Intervista a Davide Calvi, presidente del Club del Buttafuoco Storico

Un club di un piccolo gruppo di viticoltori a tutela di un territorio all’interno della Doc Buttafuoco. Nasce così il Club del Buttafuoco Storico. L’idea è perseguire con ambizione la valorizzazione di un fazzoletto di terra compreso tra due torrenti, crocevia di culture ed esperienze, con tante storie da raccontare e un vino particolare: un blend consortile che vuole rappresentarne l’essenza. Ne parliamo con il Presidente del Club, Davide Calvi.

Al buta me al feüg“, in dialetto lombardo “brucia come il fuoco”.

Lo Sperone di Stradella

Bordeaux, Georgia, Napa Valley. Il 45° parallelo passa anche di qua, nell’Oltrepò Pavese, territorio del Buttafuoco.

Siamo nella propaggine più meridionale della Lombardia, in quel triangolo che si incunea tra Emilia Romagna e Piemonte, arrivando a toccare la Liguria, delimitato a nord dal fiume Po.

L’Oltrepò è dunque una terra di transizione, interessante crocevia di culture e tradizioni. Il suo versante orientale è percorso dall’estrema propaggine degli Appennini che lambiscono la Pianura Padana.

E nella parte più alta, non lontano dal confine con l’Emilia Romagna, si trova lo Sperone di Stradella, un territorio compreso tra i torrenti Versa e Scuropasso.

Singolare la composizione geologica: è il risultato di una sovrapposizione tra la placca appenninica e quella alpina, situata sotto la Pianura Padana, con tre zone ben distinte: Le Ghiaie, Le Arenarie e Le Argille.

È una piccola enclave, particolarissima, di appena 22 ettari, compresa all’interno della denominazione Buttafuoco Doc, oggi tutelata dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese.

Il vino nell’Oltrepò Pavese

Un vino con radici antiche. Lo testimonia il ritrovamento di una vite fossile riportato nel 1876 dal Bollettino del Comizio Agrario Vogherese. Mentre la prima citazione scritta è di Strabone, nel I secolo a.C.: “L’abbondanza del vino viene indicata dalle botti fatte di legno e più grosse delle case”. Citazione interessante oltretutto perché documenta l’uso di botti grandi…probabilmente con un pizzico di esagerazione.

Documenti di età medioevale testimoniano che alla fine del XIII secolo, dopo la vendemmia, entravano a Milano seimila carri di vino dell’Oltrepò al giorno.[1]

Lo studioso Ettore Cantù, esperto di storia locale riporta che “i Gallo-Liguri delle colline oltrepadane avevano bisogno di comunicare con la Lomellina per smerciarvi il loro abbondante vino.”[2]

Inoltre la classica pubblicazione ampelografica di riferimento, il più volte citato Delle Viti Italiane di Giuseppe Acerbi, riporta una nutrita varietà di uve, dai nomi divertenti ed evocativi, molte delle quali scomparse nel tempo: Moradella, Toppia, Gardinera, Barbisina, Ciau, Sgorbera, Pizzadella, Rossera … Tra queste, ne ritroviamo alcune oggi imprescindibili per l’identità del Buttafuoco come l’Ughetta di Canneto e la Barbera.

Nel 1884 l’Oltrepò Pavese vantava ben 225 vitigni autoctoni.[3] Tuttavia l’avvento della fillossera fu catastrofico. Dal XX secolo si ridefinì la grammatica dell’agricoltura in queste terre. Come riporta il sito del Consorzio dell’Oltrepò Pavese: “Il rinnovamento colturale e culturale fu intrapreso da alcuni emeriti pionieri: il Primo Ministro Agostino Depretis, che introdusse il Pinot Nero nell’alta collina oltrepadana; l’Ing. Domenico Mazza di Codevilla che disegnò una bottiglia in grado di resistere all’elevata pressione di un suo spumante che chiamò “lo champagne dell’Oltrepò”; il Senatore Luigi Montemartini di Montù Beccaria che nel 1902 fondò e fu Presidente della prima Cantina Sociale in Oltrepò Pavese (ora Cantina Storica di Montù Beccaria).”

Di contro, sopravvissero diverse uve antiche, memoria di una viticoltura remota e intimamente legata alle tradizioni locali. Sono queste le uve che oggi danno vita al Buttafuoco Storico.

Canneto Pavese, Buttafuoco © Cristian Castelnuovo

Il Buttafuoco Storico

Riconosciuto come territorio all’interno della Doc Oltrepò Pavese istituita nel 1970, il Buttafuoco ha ottenuto il riconoscimento come Doc a sé stante nel 2010.

Prima ancora tuttavia, un gruppo di viticoltori appassionati e caparbi avevano pensato di unirsi, di fondare un club per difendere, tutelare e raccontare questo territorio: preservarne la memoria e farlo conoscere in giro per il mondo è anch’esso un modo per preservarne l’integrità. Era il 1996.

Oggi, traguardati ormai 27 anni di attività, il club è diventato consorzio ed ha costituito un proprio regolamento con regole più severe e restrittive rispetto al disciplinare. Vediamo quali.

  • L’uvaggio, prevede esclusivamente l’impiego di tutte e 4 le uve autoctone dell’Oltrepò Pavese: Croatina, Barbera, Uva Rara, Ughetta di Canneto (a differenza del disciplinare che prevede anche un uso disgiunto[4]).
  • Le uve devono provenire da vigne posizionate all’interno della “zona storica” ed essere iscritte all’albo vigneti di Regione Lombardia con il loro nome tradizionale.
  • Le pratiche colturali che devono mirare alla ricerca della massima qualità̀ e al rispetto dell’ambiente – basse produzioni, inerbimento, concimazioni organiche – conservando il ciclo vitale delle piante.
  • Inoltre è stata istituita la Commissione di Campagna, che controlla costantemente le vigne e decide la data della vendemmia.
  • La vinificazione delle 4 uve avviene obbligatoriamente in maniera congiunta un unico vaso vinario. Segue la permanenza in botti di rovere per almeno 12 mesi e l’affinamento nella Bottiglia Storica.
  • Infine, ogni bottiglia riporta il bollino con il numero progressivo e il numero dei fuochi, punteggio dell’annata, deciso da una commissione esterna di Cantina, secondo la scheda dell’Union Internationale des Oenologues.

A tutto questo si affianca la bottiglia consortile dei “vignaioli del Buttafuoco Storico”. Un progetto nato nel 2011 che coinvolge tutti i soci ed un enologo scelto dal Club. Il vino è una cuvée speciale ambasciatrice del territorio, nata come assemblaggio di diversi vini dei singoli soci, rappresentativi anche delle differenze delle tre zone geologiche.

Quantità e proporzioni vengono definiti dall’enologo che ha la responsabilità di estrarre l’essenza del Buttafuoco Storico, in quella che vuole essere la bottiglia più rappresentativa. L’enologo veneto Michele Zanardo ha firmato la 2017, mentre la 2018, ultima annata in commercio, è stata seguita dall’enologo francese Jean- François Coquard.

Un veliero chiamato Buttafuoco

Oggi il marchio del buttafuoco è composto da un ovale, rievocazione della botte tipica dell’Oltrepò Pavese, sostenuto dalla scritta Buttafuoco e dal quale dipartono due nastri rossi rappresentativi dei due torrenti, il Versa e lo Scuropasso, che delimitano la zona storica di produzione. All’interno la sagoma di un veliero sospinto da vele infuocate a ricordare un curioso aneddoto, tra leggenda e realtà.

Si narra infatti che nel 1859, durante la Seconda Guerra di Indipendenza, una squadra di marinai dell’esercito austro-ungarico arrivò a Stradella per aiutare i genieri a costruire un ponte sul Po e trasportare le truppe.

Ma i marinai non si interessarono molto al loro compito e preferirono dedicarsi al piacere del vino. Così, invece di partecipare alle operazioni militari, si persero nei dintorni e finirono in una cantina dove scoprirono il Buttafuoco, un vino rosso corposo e forte che li fece ubriacare.

Gli ufficiali austriaci, preoccupati per la loro sorte, mandarono dei cavalieri a cercarli e li trovarono addormentati sulle botti di Buttafuoco, che tradussero con Feuerspeier, “sputafuoco”. Questo episodio rimase impresso nella memoria dei marinai, che anni dopo, battezzarono con il nome di Feuerspeier la cannoniera della marina imperiale “Erzherzog Albrecht”, varata nel 1872.

Nel 1920 la nave passò sotto il controllo dell’Italia e fu portata a Taranto, dove assunse il nome di Regia Nave Buttafuoco. Numerose le testimonianze di impiego di questa imbarcazione, fino alla sua dismissione nel 1955 dopo circa 83 anni di onorato servizio.

 INTERVISTA

Il Club del Buttafuoco Storico. Colpisce l’idea di “club” come qualcosa di privato, comunitario, in qualche modo esclusivo. Quale era ed è lo spirito che ne anima l’iniziativa?

La risposta è nel contesto e nel momento storico in cui è nato il Club del Buttafuoco. Era il 1996.

Allora erano tramontati i tempi d’oro del boom economico e l’Oltrepò era una terra produttiva che lavorava soprattutto conto terzi per le grandi aziende spumantistiche del nord. Di contro alcuni territori si erano già ben affermati con le loro denominazioni, come il Barolo.
Per mio padre ed altri amici che avevano avuto l’intraprendenza di guardare come si fa il vino in Piemonte ed in Francia, era il momento di cambiare la prospettiva di quello che era solo un vino d’uso quotidiano e locale. Era il momento di fare qualcosa di diverso.

Nasce così il Club del Buttafuoco Storico, a tutti gli effetti una sorta di Docg privata.

Canneto Pavese, Buttafuoco © Cristian Castelnuovo

Quali sono stati e sono oggi gli obiettivi del Club del Buttafuoco Storico?

Il club non nasce con un progetto commerciale, quanto piuttosto con un progetto che mette al centro i vigneron, le loro famiglie ed il territorio. Il club è mosso dall’attaccamento alla propria terra, dallo spirito di comunità dello Sperone di Stradella e dalla volontà di elevare il livello qualitativo che, negli anni ’90, era rimasto a pratiche tradizionali che non avevano assimilato migliorie tecnologiche e l’interpretazione moderna della tradizione.

Ovviamente, soprattutto oggi, l’obiettivo è anche far conoscere il territorio, un’enclave difficile, impervia e scoscesa, distinguendola dal mare magnum dell’Oltrepò Pavese, per le sue peculiarità. 

La vicenda del Buttafuoco Storico rimette al centro il concetto di genius loci, come insieme di caratteristiche socio-culturali e paesaggistiche che definiscono l’anima ed il modus operandi del territorio. È così?

C’è sicuramente l’idea di portare avanti una conoscenza millenaria, preservando le tradizioni senza rinunciare alla tecnica ed all’innovazione. Il cru, la singola vigna, spesso con filare misto è il mattone, l’atomo fondamentale del territorio ed elemento identitario anche per il singolo socio del club: ogni socio è anche una vigna e tutti hanno ugual peso al tavolo, animati dal piacere dello stare insieme e dall’amore per il Buttafuoco.

C’è poi un fattore identitario molto forte, che valica i confini regionali, assimilando l’appartenenza ad un’area che va da Alessandria a Piacenza, tagliando Piemonte, Lombardia ed Emilia, come ben si riflette nella gastronomia locale.

Siamo, in definitiva, gente di confine.                                      

Chi sono gli amici o i personaggi chiave del Buttafuoco Storico?

Sicuramente una signora che ha contribuito a salvare il Buttafuoco è stata “Bianchina”, al secolo Bianca Alberici. Era del ’25 ed ha prodotto Buttafuoco dagli anni Sessanta, traghettandolo ai giorni nostri. Cavaliere e Commendatore, garibaldina, eclettica, frequentava Veronelli e Macario ed ha fatto conoscere il Buttafuoco in un’epoca in cui era solo un fenomeno locale.

Carlo Porta, poeta milanese del settecento, cui leggenda vuole che abbia chiamato “Butafeug”, inventando il nome attuale. Infine tanti amici sul territorio, a partire dall’enologo Mario Maffi, grande esperto e conoscitore del Buttafuoco.

Quali sono le differenze tra Buttafuoco e Buttafuoco Storico?

Innanzitutto, quando è nato il Club del Buttafuoco Storico, il Buttafuoco era una menzione possibile all’interno del disciplinare dell’Oltrepò poco rappresentativa.

Il disciplinare del Buttafuoco storico, innanzitutto circoscrive il perimetro della zona di produzione allo Sperone di Stradella. Poi il Club rimette al centro la vigna, storicamente a filare misto e per questo imposta la presenza di tutte e quattro le uve locali: Croatina, per i tannini, Barbera per l’acidità, l’Ughetta per la morbidezza, l’Uva Rara per la speziatura. Il vino è pensato come potente e strutturato, con capacità di invecchiamento.

Non ultimo il Club istituisce le commissioni di campagna e di cantina. La prima stabilisce il giorno della vendemmia, la seconda ne segue l’evoluzione e ne valuta la qualità. Sono commissioni partecipate da enologi, appassionati e amici che contribuiscono volontariamente alla valorizzazione del Buttafuoco, quale vino identitario.

 Passiamo a Davide Calvi, presidente e ancor prima enologo. Cosa significa per lui questo territorio?

Io ho alle spalle ben dieci vigneron nell’albero genealogico. Ho scelto di fare questo lavoro, oggi sempre più articolato e complesso. La passione viscerale per il territorio, inteso come ambiente, paesaggio, architettura, ed il poter fare un lavoro che ti lega alla terra ed alla famiglia, portando l‘innovazione a servizio della tradizione e della storia.

La passione per il Buttafuoco nasce da papà. Per lui il Buttafuoco era come un figlio, dunque per me un altro fratello della famiglia.

Quale la visione per il futuro del Buttafuoco Storico?

È un grande progetto che lega il territorio e l’accoglienza: un winebar consortile.

Sarò a fianco della sede storica, bellissima, un castello medioevale. A fianco il winebar permetterà alla gente di conoscere il vino ed il territorio. Dunque un punto di accoglienza ed un incentivo per l’enoturismo.

 Come vorresti che fosse ricordato il Buttafuoco da chi lo scopre oggi?

Un’esplosione di territorio!

[1] Dal sito di Tenute Tonalini 1865 – https://www.tenutetonalini1865.com/

[2] Sito del Consorzio dell’Oltrepò Pavese – https://www.consorziovinioltrepo.it/storia/

[3] Da disciplinare del Buttafuoco Doc

[4] Dal disciplinare: il vino “Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese” o “Buttafuoco” deve essere ottenuto dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica: – Barbera: dal 25% al 65%; – Croatina: dal 25% al 65%; – Uva rara, Ughetta (Vespolina), congiuntamente o disgiuntamente: fino a un massimo del 45%

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Scritto da

Michelangelo Fani, da oltre 15 anni appassionato di vino, distillati e gastronomia. Nel 2010 scrive occasionalmente su Dissapore. Nel 2012 collabora alla guida Bibenda 2013. Negli anni successivi partecipa ai panel per le Guide “ai sapori e ai piaceri regionali” di Repubblica (Lazio, Abruzzo, Marche Umbria, Puglia, Sardegna) e collabora con l’associazione Ateneo dei Sapori. Dal 2019 scrive sulla guida ViniBuoni d’Italia, edita dal Touring Club. Degwineandspirits.com è il suo taccuino di viaggio nel mondo del vino e dei distillati. Perché in fin dei conti, “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla” (Danny Boodman T.D. Lemon Novecento – Novecento, A. Baricco).

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