La rubrica “Storiedabere”, che dà spazio alla fantasia ed ai sogni, sempre in qualche modo legati all’enogastronomia, si arricchisce di un altro racconto di Pino Perrone. Buona lettura.
È tutto passato, cucciolo mio, non ti preoccupare, non più. È stato un incidente, ma adesso sei salvo, grazie al Cielo. Non ti dovevi allontanare, te lo avevo anche detto. Non ti sto sgridando, stai tranquillo. Solo che mi hai spaventata a morte. Prima di allontanarti così tanto, devi imparare a nuotare per bene. Il mare può essere traditore, non è la piscina che hai iniziato a frequentare da pochi mesi. Ti stavo per perdere, accidenti, quanta paura mi ha fatto prendere. Oggi entrerò in chiesa, quella che a te piace tanto, per accendere una candela alla Madonna, che ti ha salvato. Non che ci creda tanto, lo sai, non sono brava come te. Me lo ripete spesso il nonno quanto sei fedele. Non ho mai visto un bambino di neppure dieci anni così interessato a Dio, alle chiese, ai suoi interni, al suo rituale, a tutto quanto. In particolar modo è rimasto colpito da quanto eri incuriosito e ti è piaciuta la messa di Pasqua. E le questioni che gli hai posto, per alcune delle quali, mi ha confessato, di non sapere la risposta e che ha dovuto anche lui domandare. Chissà da chi avrai preso, da me non di certo, e tuo padre… beh quello meglio lasciarlo perdere. Però in quegli istanti ci ho pensato, se tu ci credi… e allora l’ho pregata, ora sei salvo. Quanto ho ringraziato quel signore che dal canotto poco distante a dove ti trovavi si è tuffato. L’ho messo di certo in imbarazzo abbracciandolo, ho notato il rossore sul volto. Quando ti ha portato sulla riva eri bianco come un cencio. Mi sono disperata, ho gridato, ed è stato allora che l’ho supplicata. Sono stati tutti gentili con me, io non sapevo proprio cosa fare. Per fortuna una ragazza ti ha fatto la respirazione. Ho riflettuto anche sul destino, avere a disposizione un’infermiera in quella spiaggia neppure affollata. Quei secondi mi sono sembrati un’eternità. Volevo strapparmi tutti i capelli, lo so, a te piacciono tanto, mi chiedi di pettinarli in continuazione. Posso, mamma, posso pettinarti i capelli? Adesso continua a riposare su questo lettino, sereno. Se hai bisogno di qualunque cosa pigia il campanello e l’infermiera verrà subito. L’hai vista quanto è bella? Si è affezionata subito a te. Ancora pochi giorni e tornerai a casa. E tutto sarà come prima, tesoro. Mi è sembrata triste anche la cagnetta nel non vederti rincasare. Ha messo un muso lungo e si è rifiutata di mangiare. Come sono intuitivi gli animali, e come si è affezionata a te. Ma questo lo sai. Adesso devo proprio andare, ho preso un permesso al lavoro e occorre che rientri, ma oggi pomeriggio torno, stai tranquillo. Aspetta, quasi me ne dimenticavo, prima di uscire ti voglio mostrare una cosa. Dammi la tua manina sinistra. L’avevo notato da tempo, quasi attendevo che capitasse, ma non sapevo se fosse vero, e se sì né quando né dove sarebbe accaduto. Ora che è successo sono più serena. La vedi questa riga? Si chiama linea della vita. Parte più o meno all’altezza dell’indice, da quest’altro solco orizzontale, la linea della testa, e scende giù curvando verso il polso. Lo vedi che qui, poco dopo che è cominciata, è spezzata per proseguire a lato fino alla fine della mano? Sai che cosa significa? È il rischio che hai corso. E guarda dopo come scorre liscia fino in fondo, e quanto è lunga, ma proprio lunghissima. Il pericolo ora è scampato e avrai una interminabile e bellissima vita, te lo prometto. Devi credere alla mamma.
* * *
E se queste cose te le dice la mamma… ci credi. Lui le credette. Con gli anni l’interesse per la religione e per la chiesa scemò. Lo scetticismo prese piede ma conservò un bel ricordo dei momenti dell’infanzia. La sensazione di pace che avvertiva in quel luogo era il propulsore a far sì che ogni tanto continuasse a recarcisi. Entrava, si sedeva in un posto su una panca a caso, traeva un profondo respiro fino al diaframma, quindi buttava lentamente l’aria fuori rilassandosi, osservando le volte e il soffitto dell’edificio, distante e dipinto. Ora che era un uomo di quarantacinque anni compiuti, si interessava a tutt’altro genere di spirito. La cagnetta Katy, se la ricordava appena. La madre era morta, e il padre si trovava in un casa di riposo. L’episodio dell’ospedale si era impresso nella memoria e periodicamente tornava a fargli visita, non lasciandolo mai da solo. Talvolta aveva un valore dirimente. Pur temendo di volare, avveniva che era costretto a prendere un aeroplano e si quietava durante il viaggio al pensiero che ancora non era giunta la sua ora. La mano lo testimoniava, la mamma lo aveva promesso. Ogni tanto voltava la sinistra per rimirarla, come ad aver conferma che quella linea ancora fosse al suo posto, lunga e perenne e tutto non fosse avvolto nella rimembranza di un sogno. Ciò però non significava che cercasse rischi inutilmente, rassicurato che nulla poteva accadergli, tuttavia quella certezza materna era una sorta di paracadute da portare con sé. Svolgeva un lavoro a dire il vero non propriamente rischioso, avente a che fare con le persone, un ruolo che lo appagava e soddisfaceva. Riuscire a far coincidere il forte interesse di tutta un’esistenza alla propria fonte di sussistenza, era uno dei segreti nel condurre una vita felice, lunga nel suo caso a quanto pareva. Pochi giorni prima che se ne andasse definitivamente, la mamma gli disse che l’aveva visto intervistato nel televisore posto in alto nella sua stanza all’ospedale, e che era orgogliosa di lui. A parti invertite, era lei stavolta stesa su un lettino, lui le teneva la mano destra, magra e rugosa. Rimase freddo e impassibile, limitandosi ad un sorriso abbozzato, ma quando rientrò in casa, al ricordo si commosse a lungo davanti al piatto che conteneva la sua cena che infine mangiò fredda. Erano passati cinque anni da quel giorno, e il momento faceva il paio con quello del suo mancato annegamento.
Ma quella sera era di scena ed era già tardi, occorreva che si sbrigasse a prepararsi per mantenere la puntualità che lo caratterizzava e di cui andava fiero. Indossò una camicia bianca con piccoli disegni celesti che aveva acquistato in saldo, e cercò una delle sue migliori giacche, spesso così originali da stupire gli astanti. Non mancò di mettere la sciarpa a trama scozzese facendo il nodo al collo con un solo loop, perché a lui l’annodatura tipo pretzel non piaceva. Impiegò molto tempo invece a cercare le chiavi della sua auto. Guardò dove abitualmente le riponeva senza successo. Alla fine riuscì a scovarle: erano nella tasca dei pantaloni messi a lavare nella cesta dei panni situata in bagno. Una distrazione dovuta alla stanchezza del giorno prima, rientrato molto tardi. Era ancora celibe, pur avendo avuto qualche storia con donne all’incirca della sua età, mai durate a lungo affinché maturasse qualcosa di serio e definitivo. Adesso erano un paio di anni che non era impegnato con alcuna. Tre volte la settimana, una signora andava da lui per occuparsi delle faccende domestiche, lavaggio indumenti e stiratura dei medesimi inclusa. La conosceva da almeno dieci anni e vigeva totale fiducia. Aveva scelto apposta una di cui non fosse attratto, e tutto andava bene con lei. Tant’è che disponeva delle chiavi per entrare nell’appartamento, al quinto e ultimo piano di un edificio alla periferia nord della Capitale. A cucinare si arrangiava da solo, spesso del resto, soprattutto la sera, ciò avveniva in un ristorante. Proprio in uno di questi era atteso di lì a una mezz’ora. Avrebbe mangiato in quel luogo ma non era per tale ragione che si stava recando. Uscì di casa sentendosi carico e in gran forma, avrebbe fatto del suo meglio, come ogni volta che si cimentava nel suo lavoro. Si riteneva molto bravo in questo.
* * *
“Eccone n’artro. Dove l’avete caricato?”
“A Formello”
“Oddio, mica è daa Lazio”
“Cretino, nun lo vedi com’è ridotto? Piantala su.”
“Nun se pò più scherza a sto’ Triage”
“E che stai sempre a scherzà, te”
“Vabbè. Era pee fasse du risate”
“C’è poco da ride, sai?”
“Maa a macchina?”
“Un cartoccio. Pee tirallo fori ciavemo messo na cifra.”
“Volevo dì, a macchina, che era?”
“Ma chette cambia sapé. Na Audi Q3, comunque”
“Beeeella. Ma allora cià li sordi”
“Ma chenne sò. Pò esse”
“Ma che more?”
“Boh. Pò esse come pò non esse”
“Oh, ma c’ha bevuto? Ammazzelo se puzza d’arcol”
“Questo è ccerto”
“A questo nun cé mica bisogno de fà laa nalisi. Se risparmeno li sordi”
“Pecché tanto ce li mettevi té. Vanno fatte o stesso, anche se ciai raggione a dì che sò nutili”
“Che tte devo dì, e famoiele”
“Ma io quel signore lo conosco”
“Bonasera dottore. Conosce er paziente?”
“Ma sì. Certo. È un esperto di vino e distillati. Compare spesso in televisione”
“Si interessa a sté cose, dottò?”
“Ma sì, occasionalmente. Coltivo una passione, non sono un esperto. Ma lui lo è. Aspettate, si chiama Michele… Michele…”
“Bevilacqua”
“Allora lo conosce anche lei”
“No, c’era scritto sur documento dentro ar portafoglio trovato in auto”
“A me nun sembra popo che questo Bevelacqua, stacce”
“Proietti, lei non perde mai occasione per stupirmi, purtroppo negativamente”
“Me scusi dottò. E cche qui s’annoiamo”
“Non è una scusa valida. Piuttosto ci apra la porta. Forza voi due, aiutatemi a portarlo in reparto”
* * *
Uhm. Non so dove sono. Non vedo nulla. Non riesco a muovermi. Uhm. Sento delle voci che non comprendo. Cosa mi sarà successo? Qualcosa ricordo, ma è molto vago. Aah. Una degustazione. Sì, una degustazione che ho temuto. Erano…erano degli Armagnac. Molte persone, applausi. Uhm. Dopocena quel locale, non ricordo il nome. Ma non era distante. sono andato a piedi. Un tizio, un tizio mai visto mi ha riconosciuto e mi ha offerto un vino. Ooh. Quale? Ecco, sì, ricordo cosa risposi. Non è mai educato rifiutare un Meursault. Premier Cru. Che azienda era? Non lo ricordo. Aspetta, ci provo… Ohi. Domaine qualcosa… Non so. Sono così stanco, tanto stanco. E questo sapore che sento dentro cosa è? Tipo del fumo. Sì è vero, un whisky, ho bevuto un Octomore. Poi? Poi la macchina, la musica, Bill Evans. Uhm. Una frenata. Devo aver avuto un incidente. Speriamo che non sia grave. Tanto grave non può essere. Ho solo 45 anni. Eppure sono stanco, molto stanco.
* * *
“Lea, Lea, vieni qui”
“Che vuoi”
“Vieni a vedere, un tipo interessante”
“Gianna, stai sempre a pensare agli uomini, mannaggia a te. Soprattutto se inermi”
“Meglio quando sono così, no?”
“Ahahah. Già, forse hai ragione tu. Uhm, mi sembra una faccia conosciuta”
“Ho sentito dire che sia un esperto di vino e superalcolici o come diavolo si chiamano, io non tocco mica quella roba lì, e che va spesso in tv”
“Allora può darsi che l’abbia visto in una trasmissione. Ma aveva bevuto?”
“Molto. Indovina quanto?”
“Non ne ho idea, dimmi”
“2.3”
“Per la miseria.”
“Già. Non è male lui, vero?”
“Hai ragione, è un bell’uomo”
“Che spreco, peccato”
“Perché dici così Gianna, pensi che non ce la faccia?”
“Non si può sapere, ma a giudicare dalla cartella clinica sembra che abbia poche speranze.”
“Povero”
“Sì. Ma non è certo. Sai, mica sempre ci prendono. Dovresti saperlo oramai. Tu però… però potresti dirmelo”
“Cosa?”
“Se sopravvive”
“Perché, ti interessa così tanto lui?”
“Sì mi piace, più lo guardo e più mi piace. Sarebbe giunta l’ora di mettere la testa a posto, no? Che ne dici? E poi se sono la prima persona che vede quando si sveglia, chissà, magari rimane affascinato da Gianna”
“Ah ah. Quindi, da me cosa vuoi?”
“Lo sai, dai. Te l’ho visto già fare”
“Ma insomma, non è il caso. E se ci vede qualcuno?”
“Che dici, nessuno potrebbe, dormono tutti. Ti fai sempre troppi problemi. Dai, ti ho visto, sei brava. Ci prendi sempre. Ti prego Lea, dai ti supplico”
“E va bene. Fammi vedere la sua mano. Non la destra, quella è al femminile, la sinistra. Oh Gianna, quanto mi dispiace, davvero tanto. Guarda qui. La vedi questa? È la linea della vita che si interrompe a metà, lo vedi? È arrivato al capolinea. Non ce la farà. Mi dispiace Gianna”.
Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.
Aggiornamenti continui sul mondo dell'enogastronomia