Risfogliando alcuni appunti di qualche tempo fa incrocio con lo sguardo un nome sottolineato che mi richiama alla memoria le sensazioni provate nella degustazione di quello specifico pecorino denominato “cruscato”.
Decido di riprovare quelle emozioni andando a visitare chi lo produce: l’azienda agricola Fortunato, nella riserva naturale della Marcigliana.
Il tempo mi assiste, tutto si crogiola ancora in un caldo raggio di sole, la campagna intorno ne gode, è un giorno di seconda estate, una classica atmosfera da ottobrata romana.
A perdita d’occhio giochi cromatici affascinanti: distese di erba ancora di un verde acceso e vivace, miste a terra già pronta al riposo invernale, lunghi corridoi di ricce foglie verde scuro, quasi blu, nell’ordinato incolonnamento della coltivazione del cavolo nero, ancora presenti piccole macchie gialle di infiorescenza di finocchietto selvatico.
Entrando nello spaccio dell’azienda l’atmosfera è rilassata e rilassante, sono tutti assorti e impegnati nel proprio lavoro, dal consiglio alla vendita dei prodotti, dalla sistemazione del banco alla porzionatura della carne, il tutto ritmato da un cadenzato suono di battitura della lama del coltello sul tagliere a creare un sottofondo quasi ipnotico. Il bestiame è allevato con metodo biologico e allo stato brado, nutrito con foraggi e granaglie prodotti in loco, oltre le carni vendono anche salumi e insaccati privi di conservanti e additivi dove la tecnica di conservazione utilizzata è la stagionatura.
A delucidarmi sui prodotti caseari di loro produzione un ragazzo che distraggo dal suo lavoro e al quale prometto di non rubare più tempo del necessario.
Armato di pazienza per la mia richiesta riesco dalle sue parole a percepire la filosofia che è alla base di questa azienda: la tecnica tradizionale unita alle moderne innovazioni, la consuetudine di pratiche legate al passato miste ad accorgimenti appartenenti al nostro tempo.
Mi racconta del loro “brinato” (pecorino a crosta fiorita vincitore del premio Roma), dello stracchino fresco (delizia unica spalmato su una fetta di pane nero, come da consiglio), del canestrato a latte crudo, dello stagionato in grotta (la cui pasta rimane fondente malgrado la lunga stagionatura grazie all’aceto balsamico e all’olio extra vergine di oliva con i quali viene inumidita la crosta), dello scodellato (il cui nome deriva dalla forma arrotondata dei lati) e di altri ancora, tutti prodotti con il latte appena munto.
Acquisto e riassaggio il pecorino “cruscato”. La forma è ricoperta da crusca di irregolari dimensione e forma, di colore marrone, si intravede al di sotto la crosta dorata. È un formaggio da latte ovino stagionato 6 mesi, 5 dei quali li passa sotto la crusca; prima dell’immersione le facce e lo scalzo vengono spennellati con il miele sempre di produzione locale.
La pasta è compatta di colore bianco avorio ed ha un’occhiatura disomogenea.
L’odore è intenso, lattico tendente all’acidulo, sentore di erba fermentata, miele e fiori, speziato, rinfrescante. È persistente.
Al gusto è intenso, dolce, mediamente acido, sapido, fresco, ha un retrogusto leggermente amarostico, sentore questo sicuramente legato alla presenza della crusca in superficie.
Il morso non trova resistenza, la pasta è umida.
Risulta un formaggio gradevole, di sapore non comune, molto accattivante.
Così domenica 18 Ottobre in occasione del “Life of wine” ho avuto modo di assaggiare i vini dell’azienda umbra Madrevite e la sua verticale di Reminore bianco umbro Igt da Trebbiano Spoletino nelle annate ’19 – ’18 – ’17 e ’16.
È il millesimo 2017 che vedo bene in un armonico abbinamento con il pecorino “cruscato” per il suoi sentori eleganti, spiccatamente minerali, di pietra focaia, frutti bianchi a polpa e tropicali, scorza d’agrumi, resina e se si indugia si avverte l’idrocarburo, pronto.
Al palato è fresco, fine, giustamente complesso, sapido con un finale di buona persistenza.
Un vino che, come il formaggio, si lascia ricordare rimanendo ben saldo e presente nella memoria emozionale, anch’esso frutto di un’azienda che unisce usanze al contemporaneo.
Mi chiamo Emanuela, mi interesso del Mondo del cibo e del vino da sempre occupandomene a tutto tondo, dal punto di vista: - medico/scientifico: ho conseguito l’attestato all’abilitazione alla professione di dietista; - organolettico: sono sommelier classe 1993, maestra assaggiatrice onaf ed ho ottenuto l’attestato onav, umao, onas, aibes e iiac; - storico/goliardico: frequentando e visitando i luoghi del cibo, parlando con i protagonisti con chi produce, chi elabora, chi propone; - di divulgazione di “esperienze”: sono coautrice del libro “Le parole del formaggio - glossario enciclopedico per appassionati e curiosi”, collaborando con varie testate e blog: Vinodabere, Il talento di Roma (nel presente), scatti di gusto, aromarte, newsletter di avis e del circolo del tennis (nel passato), partecipando alle degustazioni per diverse guide con protagonista il vino, l’olio evo e il formaggio e facendo parte del panel di assaggio dell’ex “INRAN”; - lavorativo: ho lavorato, e lavoro, nel dinamico ambiente della ristorazione romana. Ho avuto modo di ricoprire diversi ruoli, incarichi e mansioni, esperienze che mi hanno permesso di conoscere l’andamento e lo svolgimento dello stesso direttamente sul campo.
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