I manuali di sopravvivenza.
Ricordo di tante manifestazioni il canto monodico e casuale dei riferimenti al territorio e il mio desiderio inconfessabile di narcotizzarne gli esegeti-cantori al di là del banco, prenderne il posto e darmi in loro vece a narrazioni situazioniste, o anche solamente strampalate. Non l’ho mai fatto; però, ho stilato un manuale di sopravvivenza che prevede l’interruzione della lettura o dell’ascolto di qualunque messaggio al momento stesso in cui cita il territorio. Tanto, prima o poi, l’immancabile menzione arriva. Un poco di territorio e un pizzico di storia non si negano a nessuno: li si beve difilato ascoltando distrattamente chi li snocciola, senza chiedersi che cosa significhino, di cosa constino, quali ne siano le fonti. Sono loro a fare del vino un power drink e la narrazione non può più farne a meno: il territorio e la storia sono il suo Cialis e la sua MDMA: ammendano disfunzioni e inibizioni, sono espedienti prestazionali, servono alla performance.
Stanco del territorio trascendente e coattivo e delle storie tra Bignami e melodramma, avrei potuto pensare all’invio di pacchi esplosivi ai poeti del camminare le vigne e delle tipiche espressioni, agli storiografi fai-da-te, a qualche influencer calicemunito e instagrammato in posa da Assurbanipal (o Sardanapalo, re degli Assiri). Poi, però, è arrivata Aquileia; ed è Aquileia che devo probabilmente ringraziare per non aver fatto la fine di Theodore Kaczynski (Unabomber).
A dare il nome a questa DOC piccola è una piccola, tranquilla città che fu grande e potente ma non se ne fa vanto. A lei non serve, in soccorso al vino, inventare storie e mirabilia: si vedono e si vivono. La vista e la vita di Aquileia, Palmanova, Clauiano e Grado – che è fuori dalla Denominazione e in una diversa provincia, ma fa naturalmente aggetto a queste terre con la sua laguna – sono state la prima ragione di meraviglia in questo viaggio; il vino viene dopo i luoghi o, tutt’al più, insieme e senza bisogno di soccorsi energizzanti.
Riscaldamento.
L’antefatto a Mulino delle Tolle, dove gioca in casa la vicepresidente Valentina Bertossi, si compendia in un frico squisito e nell’inatteso sviluppo di una prevedibile formal reception in tertulia valenziana: le presentazioni di rito con energiche strette di mano, facce contratte in sorrisi e cordialità di maniera non hanno avuto luogo. Al loro posto, per merito della padrona di casa, del Presidente e della Responsabile delle Relazioni Esterne del Consorzio, si è inverato un convivio gagliardo, ridanciano e spigliato, protrattosi fino a tardi. Coda di beatitudine, al mattino seguente, lo strudel fatto in casa per la colazione. L’Apfelstrudel è per me l’unico dolce degno dell’Empireo, sede dei beati, luce intellettuale piena d’amore.
Ai vostri posti.
I blocchi di partenza sono nel parco della Tenuta Ca’ Bolani e lo starter è Roberto Marcolini, l’affabile Presidente del Consorzio, che qui è anche di casa in quanto Direttore (e valente guidatore di Land Rover) della tenuta. Nel presentare la selezione dei 10 migliori vini di quest’edizione, Marcolini ha ricordato la coincidenza di ESPLORÂ col 60° anniversario della Selezione dei Vini del Territorio di Aquileia: la manifestazione è perciò giunta a suggellare un sessantennio di affermazione prima e, quindi, progressiva calibratura delle caratteristiche distintive dei vini della denominazione, tra le quali spicca l’evidente irriducibilità di bianchi e rossi a comuni matrici e salienze percettive. Discorso ammirevole, quello di Marcolini, anche per concisione e verve: un Allegro Vivace di dieci minuti o poco più, meglio di così avrebbe potuto solo Rossini nella IV Sonata a Quattro. Chiusura con applausi un attimo prima che il sole virasse a ruggire sulle teste dei convitati, lasciandoli riparare all’ombra per la degustazione en plein air dei vini selezionati dal panel del Consorzio. Questi i miei preferiti:
DOC Friuli Aquileia Pinot Bianco 2022 – Ca’ Bolani. Note nitide di biancospino, zagara, pesca bianca e miele e una bocca di saliente sapidità, polposa e pulsante, regolare nello svolgimento aromatico che richiama le note olfattive e chiude in ariosità e leggiadria.
DOC Friuli Aquileia Friulano 2021 – Ballaminut. Misurato nei profumi, piano ma regolare nella progressione gustativa, fa di contegno e concisione la sua cifra: non ostenta, adombra molluschi, frutta da guscio, alghe, fondi di tè. Il vino-ambient.
DOC Friuli Aquileia Malvasia 2022 – Mulino delle Tolle. Mulino delle Tolle presenta la fienagione: si va dalla freschezza aulente dello sfalcio ai profumi caldi del fieno e della foglia di tabacco, qui svariati di maggiorana, tiglio, fiori di sambuco, pera e punteggiati di rossi (fragola, granatina, karkadè) e castani (nocciola, bastoncino di vaniglia) in varia gradazione. Sorso teso, sapido e pieno, di buona progressione e chiusura nettante su cenni di miele, rabarbaro e canditi. Solare.
DOC Friuli Aquileia Traminer “Campo di Viola” 2021 – Vini Brojli. Celiando sul nome, il campo avrebbe potuto a buon diritto intitolarsi ad altro fiore: è, infatti, un vino in forma di rosa, dal fiore dell’olfatto – con una nota aggiunta, sottile ma sensuale, di tuberosa, sostenuto da una robusta vena sapida.
DOC Friuli Aquileia Bianco “Palmade” 2022 – Mulino delle Tolle (Friulano, Malvasia Istriana, Chardonnay). Rimpiazza la solarità di sorella Malvasia con corpo, densità e un bouquet meno estroverso ma ben assiemato, con cenni di frutta a polpa gialla, ginestra, pasticceria e arancia amara; bocca a trazione sapida, rotonda e di giusta freschezza, dal piacevole finale nel segno di camomilla e frutta a polpa gialla.
DOC Friuli Aquileia Cabernet Franc 2021 – Ca’ Bolani. Nel rispetto calligrafico delle caratteristiche varietali, ecco un vino che ispira frutti di bosco, viola, fragola, cenni di fumo e terriccio e, pungens in fundo, il peperone. Sottile, agile e franco.
DOC Friuli Aquileia Refosco dal Peduncolo Rosso 2019 – Mulino delle Tolle. Gagliardo e coinvolgente, asciutto, spinoso anche perché nel frutto scuro (mora, aronia) pare di cogliere il compendio silvano e terragno del suo rovo; bosso e felce ad arricchire il vegetale. Sorso di freschezza e durezza, ben teso e dai tannini piccoli, maturi e acuti a trapungere il tappeto di piccoli frutti neri, spezie e creosoto. Un burbero-affabile.
DOC Friuli Aquileia Refosco dal Peduncolo Rosso “Mosaic Ros” 2019 – Tarlao. Un volto diverso, compreso dell’eleganza ricercata di speziature fini e legni aromatici, con frutta scura e liquirizia a compendio. Tannini stondati e freschezza infusa, più compiacenti che nell’altro, fanno da duplice servomotore per la prestazione ad alti giri del frutto maturo e, più generalmente, per una rotonda agilità della beva.
Intermezzo: il sommelier è nudo.
Ore quattordici, appuntamento col destino: Elena Cobez, analista sensoriale, aromaterapeuta e docente dell’Italian Perfumery Institute di Milano, illustra una sua selezione di cinque vini in abbinamento con alcune essenze. Non chiede ai convitati riconoscimenti esatti, ma solo generici. Facendo questo, fa piovere garbati obici sulle fortificazioni organolettiche dei convitati, le smantella e le espugna. Tra chi spara fiori e chi spezie a caso, il suo sorriso illumina, benevolo e radioso, le lacune dello strumentario sensoriale del critico medio. Ciò fatto, Cobez svela di quali essenze si tratti, per quali corrispondenze le abbia scelte in connubio coi vini, chiede pareri, ottiene conferme e con garbo si eclissa, lasciando tutti con quella sensazione di parziale inidoneità che farebbe tanto bene provare più spesso, soprattutto ai piani alti della critica.
Ho fatto scalo a Grado.
L’avevo fatto in passato ma senza soffermarmi nella laguna. E dei casoni, non avendoli mai visitati, sapevo solo che Pasolini ne elesse uno a set per alcune scene di Medea (1969). Ignoravo la nuova esistenza di queste tradizionali dimore dei pescatori lagunari, riattate in molti casi a luoghi di vacanza o trattorie. A colmare la lacuna hanno provveduto le menti dietro ESPLORÂ con un’escursione in taxi acquatico e la cena in un casone. Ora, da coetaneo di Medea mi sfuggono i lemmi più attuali e cool per esprimere come social comanda il senso di conviviale meraviglia che l’atmosfera della barena (l’isolotto sabbioso) e la cena Ai fiuri de tapo (il casone convertito in agriturismo ittico) mi hanno instillato; più facile mi riesce il confronto irriverente tra il Pier Paolo solitario che nei casoni si fermava a leggere e meditare e il sottoscritto ingenuo che ci è arrivato in compagnia per far baldoria: un brindisi, do ombre (diciamo anche tre, quattro eccetera), una cena, una partita a biliardino stampa contro Consorzio ignominiosamente persa.
Turismi.
Ho sempre avuto paura della parola turista. La paura si è acuita col progredire dell’età e con la curiosità di lettore, che ha fornito riscontri clinici per la fase acuta della sindrome: Fussell, Ceronetti, Flaiano, Augé, Chatwin, Debord e qualche altro. Guardavo, perciò, con trepidazione al prosieguo del programma che, salvo lo sprint finale, da qui in poi prevedeva solo attività paurose. I timori, tuttavia, si sono rivelati infondati: non so quanto i percorsi e gli esiti fossero studiati, ma quelle presentate genericamente come visite guidate – la camminata notturna per Aquileia, la passeggiata in bicicletta a Palmanova il mattino seguente, la sosta a Clauiano in una delle sue tante corti – si sono concretamente risolte in racconto, ascolto e contemplazione. Proprio qui, finalmente, si è palesato il significato del nome scelto per la manifestazione: esplorâ, che è voce dialettale per esplorare, richiama il tempo e il senso delle esplorazioni, “viaggi alla ricerca di ciò che non è ancora stato scoperto”, profondamente diversi da quelli studiati per il turista, che “ricerca (…) ciò che è stato scoperto dalle compagnie imprenditoriali, e preparato per lui dagli artifici della pubblicità di massa (…), la sicurezza del puro e semplice cliché”. (1) Il vino, in tutto questo, è stato parte al tutto.
Ultimo giro (vizioso).
L’ultimo giro è doppio: inizia con l’escursione in bicicletta lungo il perimetro dei bastioni di Palmanova, con duplice sosta per la visita alle gallerie di contromina e, a fine giro, per le bevande di ristoro presso il girone dei golosi della Caffetteria Torinese (2); prosegue presso la Corte dei Vizi, luogo dal nome problematico in quanto allude a riferimenti che, a seconda degli esiti, possono rivelarsi più prossimi al Vizio di Forma o, al contrario, a un Giardino delle Delizie (3). Così si chiama il ristorante di Clauiano che ha risolto il dubbio a pieno favore del secondo riferimento, azzeccando non solo il menu, bensì anche i tempi, che erano necessariamente limitati per l’incombenza dello sprint finale. Su tutto ha svettato, soprattutto per me che, da provetto economo-domestico, sono un appassionato delle occasioni fuori stagione, la deliziosa, succulenta guancia brasata con brovade: non esattamente un piatto da trenta gradi all’ombra, ma chi se ne importa? Un fuori-luogo e fuori-stagione di grande effetto e grande bontà.
Nota: se un vizio di forma va rilevato, questo non ha a che fare con cucina e servizio, bensì con la scelta del vestiario da parte di noi stolidi avventori: a cinque metri dalla tavola, nell’estuo di un pomeriggio più agostano che giugnolo, giaceva inutilizzato il ristoro di una piscina. Mai più a Clauiano d’estate senza sandali e costume da bagno.
Sprint finale.
Sempre a Clauiano, finale di gara con passaggio in una prima dimora storica che cela, oltre la facciata ordinaria, un giardino di bellezza fuori dal tempo; e poi in una seconda, con deciso ritorno al vino: anche l’azienda agricola Foffani ha sede in una dimora storica, già complesso padronale della famiglia Calligaris che per secoli ne mantenne la proprietà fino a quando Maria, madre di Giovanni Foffani, la trasmise a quest’ultimo. Da vent’anni è lui a gestire a tempo pieno l’azienda e quindi, insieme alla moglie Elisabetta Missoni, anche ad accogliere gli avventori in un giardino – più esteso, splendido, adornato da un glicine plurisecolare d’indescrivibile bellezza – la cui prospettiva si estende fino ad abbracciare le prime vigne aziendali. La visita ha fornito l’occasione di riassaggiare alcuni dei vini selezionati dal Consorzio, nonché di gustare il primo dei non eletti – per me avrebbe meritato di far parte del novero – Friuli Aquileia DOC Sauvignon Superiore 2022, da poco in bottiglia ma già dichiaratamente varietale nelle note intense di foglia di pomodoro, pompelmo e zagara, fine ed equilibrato, dissetante per freschezza infusa e progressivo nello sviluppo aromatico che si chiude con composite note floreali-agrumate e una lunga coda sapida.
Crediti (e ringraziamenti):
- Klementina Koren e Nada Ayouche: Direttrici d’Orchestra.
- Il Presidente e la Responsabile Relazioni Esterne del Consorzio (https://www.viniaquileia.it/): Primi Violini.
- Michele Grimaz, occhio, lenti e obiettivi. Le immagini sono tutte belle e tutte sue: Instagram @mighele_ instagram.com/mighele_ www.michelegrimaz.com
- Anna la Guida podistica, ciclistica, non turistica: Piano solista.
- Le aziende organizzatrici, ospitanti e partecipanti, professori d’orchestra. Tra queste, le ospitanti: https://foffani.it/, https://www.cabolani.it/, https://www.mulinodelletolle.it/
- Vettovaglie & Tertulie: Mulino delle Tolle (https://www.mulinodelletolle.it/), Fiuri de Tapo (https://www.facebook.com/FiuriDeTapo/?locale=it_IT), La Corte dei Vizi (http://www.lacortedeivizi.it/it/ )
(1) Citazioni da Paul Fussell, All’estero (1980).
(2) La Caffetteria Torinese di Palmanova è stata scelta dal Gambero Rosso nel 2020 quale migliore bar d’Italia.
(3) I riferimenti sono, rispettivamente, al romanzo di Thomas Pynchon (Inherent Vice, 2009), nonché alla pellicola che ne è stata tratta nel 2014 da Paul Thomas Anderson; e al noto trittico di Hieronymus Bosch esposto al Museo del Prado.
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