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Fermo – Tra una torre medievale e una vigna di Syrah…degustando i vini della cantina Fausti

Contrada Castelletta, località Bore di Tenna. Siamo su di una collina, una delle ultime prima di arrivare al mare. Sotto scorre il fiume, il Tenna appunto. Dinanzi agli occhi un’immensa distesa di filari. Sullo sfondo la città, Fermo, con il suo Duomo. Qui, nel 1998, Domenico D’Angelo e la sua compagna, Cristina Fausti, hanno dato vita alla loro cantina, la cantina Fausti.

Sono partiti da zero. Hanno comprato la terra, l’anno seguente hanno iniziato a impiantare i vigneti, nel 2002 è arrivato il primo blocco di cantina. Domenico, nel frattempo, ha continuato a portare avanti anche il suo vecchio lavoro, quello di consulente. Consulente dei viticultori e viticultore lui stesso. Poi, a 60 anni, un po’ di peso se l’è voluto scrollare di dosso. Fu così che, nel 2015, la proprietà passa in mano alla famiglia Amici, che vive nel Lazio. A capo dell’azienda oggi ci sono i cugini di Cristina, Andrea e Marianna Amici. Negli anni la cantina è cresciuta, i lavori sono stati ultimati nell’agosto scorso. Ora manca tutta la parte vecchia da ristrutturare.

Sopra la cantina un resort sta vedendo la luce. Il Covid ha rallentato i lavori ma per settembre potrebbe essere pronto. Sette camere, la piscina, la spa, il ristorante: qualcosa di veramente ambizioso. Con Domenico saliamo sul terrazzo, dall’alto ammiriamo meglio il vigneto. Sono 10 ettari, per ora. Altri 4 sono stati acquistati di recente, l’anno prossimo cominceranno ad impiantare. «I turisti devono preferire star qui piuttosto che andare al mare» dice il viticultore imprenditore, racchiudendo in questa espressione il suo progetto di valorizzazione della campagna fermana.

Domenico, che è originario di Cossignano (AP), a un certo punto menziona Offida, città vicina. Mi dice che quando era consulente girava il mondo. Di wine tasting ne faceva tanti, intorno a sé aveva produttori francesi, californiani, australiani. Parliamo della seconda metà degli anni ’90. Di lì a poco sarebbe nata la DOC Offida, in seguito divenuta DOCG. Sul Montepulciano e sul Cabernet, come suo “partner”, si puntava molto. Del secondo Domenico me ne parla come un vitigno a una corda sola, lo paragona a un violino, nel senso che pochi musicisti lo sanno veramente suonare. La stessa cosa vale per il Montepulciano: «ci vuole il posto giusto, la vigna giusta, l’enologo giusto» dice, contando sulle dita di una mano quelli che secondo lui sono davvero dei grandi Montepulciano. «È un’uva con una varietà di cloni molto vasta, ma soprattutto è un’uva sensibilissima al microclima, e anche la posizione fa la differenza» spiega, tantoché, nel suo vigneto, il Montepulciano posto a sud è completamente diverso rispetto a quello sulla collina che risale verso nord.

Torniamo a noi, o meglio al racconto degli anni delle sue degustazioni. In una di queste, a Bruxelles, Domenico conosce un produttore francese. Portava del Syrah in purezza. «Non lo conoscevo, lo provai, mi sembrò perfetto». Una volta a casa, in cantina, organizza una degustazione con assaggiatori di un certo livello. Improvvisa un blend, riempie un bicchiere e lo fa girare: metà Montepulciano, metà Syrah, del quale Domenico, ormai, era profondamente innamorato. Tutti apprezzarono. Il clone che lui possiede l’ha preso in Francia, vicino Avignone. «Alla prima vendemmia era sottile, delicato, una cristalleria» racconta Domenico. Con l’affinamento è migliorato, glielo disse anche il suo amico Roberto Cipresso, enologo di fama internazionale e produttore di Montalcino.

Nel 2003, con il Syrah, Domenico decide di uscire in purezza. Commercialmente un azzardo, poiché è un vitigno internazionale. «Ma anche perché – spiega – se il posto dove sta non gli piace, l’eccellenza non te la dà». Invece, quella piccola vigna, sotto le querce, ancora oggi dà risultati stupendi e ne ha impiantato un altro ettaro, 50 metri più in là.

Entriamo nella barricaia. Su ogni barrique svetta una torre. La medesima torre che svetta sulle etichette. È la Torre Matteucci alle Paludi, dal nome dell’omonima nobile famiglia che la possedeva. Si tratta dell’ultima fortificazione rimasta di questo genere. Di essa non si hanno molte notizie, pare sia stata eretta nel XIV secolo per scopi militari. Domenico fotografò lo stemma. È raffigurato un tralcio d’uva. Se una famiglia nobile mette i grappoli sullo stemma allora l’uva, in questa zona, doveva essere molto importante.

A breve, comunque, il marchio della cantina cambierà. Niente più torre, l’idea sembrerebbe quella di voler valorizzare il profilo del panorama delineato dalla città che si scruta dalla cantina. Gli studi sono in corso, presto lo scopriremo.

Il primo a nascere in casa Fausti, nel 2001, fu “Vespro”, 60% Montepulciano e 40% Syrah. Cercavano un nome, poi una sera, mentre erano in cantina, Domenico e Cristina si imbattono in un tramonto mozzafiato. «Guarda che vespro» gli venne da dire. Un mix di colori,blu, rosso e viola. E Cristina che gli risponde: «Abbiamo trovato il nome». L’anno dopo è nato “Fausto”, il Rosso Piceno. Fausto come il papà di Cristina. Poi “Amedeo”, il Falerio Pecorino. Nome sempre legato alla famiglia: lo zio di Cristina si chiama Amedeo. “Firmum”, l’Offida Pecorino, è l’omaggio a Fermo. Poi c’è la Passerina spumantizzata, un inno alla libertà. L’ha chiamata “Liberty”. Nelle vecchie etichette figurava un aeroplanino. Non a caso Domenico è anche un pilota. Come scia il velivolo lasciava proprio questa bellissima parola, libertà.

“Per Domenico” , il Syrah in purezza, racconta un’altra storia, quella di una fabbrica di fuochi d’artificio che saltò in aria, vicino Fermo. Il titolare, Domenico Alessi, perse la vita. I Fausti erano molto legati alla famiglia Alessi e a Domenico, tanto da dedicargli il loro vino più caro.

Leggo il retro etichetta: “L’indissolubile ricordo ha motivato la dedica di questa particolare e raffinata selezione di vino Syrah a Domenico Alessi”. E ancora: “The show must go on”, nonostante tutto.

Tutto qui è rigorosamente biologico. Domenico, nel fermano, è stato uno dei pionieri del bio. La sua vita di agronomo l’ha cominciata in un’azienda offidana. Faceva succhi d’uva naturali, senza additivo alcuno. È per questo che, nel suo vigneto, di trattamenti non vuol sentire parlare. «Ci siamo ritrovati, a inizi anni ’80, che senza trattamenti non si raccoglieva. Abbiamo distrutto tutto il sistema di equilibrio tra predatori, parassiti e malattie. Eravamo arrivati a un punto di non ritorno, a quel punto noi abbiamo iniziato a lavorare biologico».

Non ci resta che degustare. Stappiamo “Vespro” e “Per Domenico”. Entrambi 2017.

VESPRO

Di buona consistenza, si mostra rosso rubino intenso con lievi sfumature violacee. Al naso una complessità che affascina: amarena sotto spirito, prugna rossa, mora, ribes, note floreali di rosa rossa, viola e glicine. E ancora, cacao, liquirizia, spezie dolci e tabacco. In bocca entra imponente, con un buon equilibrio tra alcol e freschezza, morbidezza e tannino elegante. Di lunga persistenza gustativa chiude con sensazioni di cacao e frutta rossa. Ottimo da abbinare con carne rossa alla brace.

PER DOMENICO

Nel calice si muove in modo consistente, di un bel rubino vivido e impenetrabile. Al naso note fruttate di prugne secche della California, confettura di amarene e mirtilli, sentori floreali di rosa, poi cioccolato, cuoio, vaniglia e pepe rosa. In bocca intenso, avvolgente, con tannini vellutati; caldo, morbido e sapido con una bella freschezza gustativa. Lungo finale sapido, con note di marasca e pepe rosa. Da provare con brasati o selvaggina.

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Marchigiana, classe 1994. L'infanzia la trascorre in campagna, giocando in mezzo al grano e scorrazzando tra i filari. Dopo la maturità classica si laurea in giurisprudenza. Nel maggio 2021 diventa giornalista pubblicista. Per il vino ha nutrito sempre un profondo affetto, trasformatosi in amore nel 2018. Freelance presso un quotidiano online della provincia di Fermo, di vino scrive per passione sul suo neonato blog e sulla rivista Sommeliers Marche Magazine. Sempre a caccia di storie, di mani sapienti da raccontare, di vitigni da scoprire, di cantine da visitare, sogna che un giorno, tutto questo, possa diventare il suo lavoro.

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