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Consorzio Sicilia Doc: cenni storici su alcuni vitigni rappresentativi

Se dovessimo raffigurare la Sicilia enologica dovremmo immaginare un treno che rappresenta l’isola e le rotaie su cui percorre il suo viaggio ciascuna delle quali si chiamano Grillo e Nero d’Avola, con una fermata obbligatoria dal nome Catarratto (Bianco Comune o Bianco Lucido).

Questo è stato il filo conduttore di un interessante press tour organizzato dal Consorzio di Tutela vini Doc Sicilia, presieduto da Antonio Rallo, con focus su questi vitigni, che ha ripreso la sua attività di informazione dopo le restrizioni del Covid. Solo per fare un breve excursus sul Consorzio è necessario ricordare che la Denominazione di Origine Controllata Sicilia viene ufficialmente riconosciuta il 22 novembre 2011, l’anno seguente, il 2012, segna l’anno di fondazione del Consorzio di tutela vini Doc Sicilia, che si prefigge la valorizzazione e la salvaguardia della produzione vinicola dell’isola e promuove, informa il consumatore e cura gli interessi generali della Doc “Sicilia”. Tanto per dare alcuni numeri il vigneto siciliano è il più grande d’Italia, è tre volte il vigneto della Nuova Zelanda, ed è più grande del sudafricano e in Europa è grande tanto quanto l’intero vigneto tedesco.

È necessario anche ricordare che la Sicilia è la prima regione in Italia per l’area agricola dedicata alla produzione biologica, così come nel mondo del vino, nonché rappresenti, con 97.937 ettari (dato al 31 luglio 2020, fonte Mipaaf), il primo territorio vitivinicolo italiano per superficie vitata.

Nel 2014 ed esattamente il 15 aprile, al Consorzio viene riconosciuto il decreto Erga Omnes, grazie all’elevato livello di rappresentatività della sua base sociale rispetto alla totalità degli utilizzatori della denominazione stessa.

Questo riconoscimento fa sì che il Consorzio svolga attività di promozione, valorizzazione, tutela e vigilanza i cui benefici si riflettono su tutti i soci, ed anche su tutti gli altri produttori dei vini Sicilia Doc non associati.

Da una recente indagine di mercato di Wine Monitor, l’Osservatorio di Nomisma sul mercato del vino, nella sua ultima relazione, l’export dei vini siciliani cresce a doppia cifra nel primo quadrimestre dell’anno rispetto al 2020 con un + 10% per i rossi e un + 45% per i bianchi dell’Isola.

La Sicilia per le sue diversità morfologiche, presenta caratteristiche climatiche molto diverse tra loro, tanto da rappresentare ben quattro climi diversi a seconda dell’area della regione.

Tornando al Focus sui vitigni, e per cominciare con il Grillo, i cenni storici forniti dal Consorzio ci danno un’idea sulla provenienza: e tanto per non cadere in errore non sembra sufficientemente supportata l’ipotesi (Giavedoni and Gily, 2011) dell’introduzione del vitigno in Sicilia dalla Puglia, non è un vitigno di antica diffusione. La prima citazione sembra risalire al 1873 (A. Alagna-Spanò) e successivamente in una relazione tenuta da Abele Damiani nel 1885 sulla viticoltura dell’area di Trapani.

Il Damiani però dichiara che l’elenco delle varietà che riporta gli è stato fornito dal Barone Antonio Mendola e pertanto appare strano come questo vitigno non sia presente nella collezione del noto ampelografo, né nell’elenco delle varietà siciliane preparato, nel 1884, dallo stesso Autore.

Il vitigno non è citato tra quelli coltivati in provincia di Trapani (1886), è assente nella Monografia Sul miglior modo di coltivare la vite in Italia di Giuseppe Frojo (1871) che elenca 35 vitigni coltivati in Sicilia, né viene citato fra quelli utilizzati per la produzione del Marsala (1890).

Cerletti (1892), in un rapporto sulla produzione del Marsala, non riporta il Grillo tra le uve acquistate di preferenza dagli industriali del Marsala, mentre il vitigno è citato in un incontro tenutosi a Conegliano Veneto nello stesso anno, sul vino Marsala.

Il Mondini (1893), nella relazione sulla viticoltura in Sicilia, riporta per la produzione dei vini marsala solo due vitigni, il Catarratto, oggi Lucido, e l’Inzolia.

È comunque certo che dalla fine del XIX secolo, con i reimpianti post filloserici il vitigno assume una sempre più significativa presenza ed importanza nella viticoltura siciliana e in particolare nella provincia di Trapani.

Il Paulsen (1909) studia il comportamento del Grillo innestato su diversi portinnesti, lo considera una varietà di pregio ed importante per il territorio di Marsala e riferisce che è coltivato in provincia di Trapani e di Messina. Il Murania (1911) lo cita tra le varietà coltivate nell’agro di Castelvetrano.

Nel rapporto del Ministero (1923), su “Notizie e Studi sui vini Italiani”, la varietà viene riportata per le province di Trapani e di Girgenti. Studi molecolari hanno dimostrato che il Grillo è frutto di un incrocio tra Catarratto bianco e Zibibbo o Moscato di Alessandria (Di Vecchi Staraz et al., 2007, De Lorenzis et al., in litteris) e la sua identità con la varietà Rossese bianco coltivata in Liguria (Torello Mariani et al., 2009).

L’origine di questo vitigno sembra debba essere attribuita al Mendola, che ha realizzato numerosi incroci tra i genitori del Grillo, ottenendo il Moscato Cerletti e/o Catarratto Cerletti; quest’ultimo è ampiamente descritto dal Molon nella sua Ampelografia (1906), che invece ignora il Grillo.

Il “fenomeno” Grillo entra a far parte di numerose D.O. della Sicilia centro-occidentale e in questi ultimi anni, grazie alle sue caratteristiche qualitative, si sta diffondendo anche in altre aree della Regione per la produzione di vini bianchi.

Presente anche in provincia di Agrigento e più limitatamente nelle provincie di Palermo, Caltanissetta e Siracusa. Fuori dalla Sicilia è coltivato soprattutto in Puglia dove entra a far parte di diversi vini Igt. due sono i biotipi, accertati attraverso la sua fenotipizzazione, denominati come A (grappolo mediamente compatto) e B (grappolo spargolo).

Si caratterizza per un germogliamento tardivo e per un’epoca di raccolta precoce. Da un punto di vista sensoriale il vino presenta un colore giallo intenso con riflessi verdolini, all’olfatto è di elevata intensità aromatica, da cui emergono le note tipiche di agrumi, come il pompelmo, accompagnate da quelle vegetali speziate e di fiori bianchi. A queste si possono anche aggiungere note di frutto della passione; al gusto risulta ricco di elevata struttura ed ha un buon equilibrio tra la sensazione alcolica e quella acida; inoltre sovente risulta particolarmente sapido. La persistenza aromatica è elevata.

A fare gli onori di casa il Consigliere del Consorzio Alessio Planeta, mentre le degustazioni sono state condotte dall’enologa Lorenza Scianna con gli interventi di Giuseppe Bursi e Laurent De La Gatinais.


34 sono stati gli assaggi di Grillo effettuati, così come sotto riportati:
FEUDO SOLARIA Kalsa 2020
GIASIRA Grillo 2020
BARONE SERGIO Alegre 2020
FEUDO MACCARI Olli 2020
FEUDO ARANCIO Grillo 2020
TENUTE SENIA Ti Cuntu 2020
VALLE DELL’ACATE Zagra 2020
CASA GRAZIA Zahara 2020
FEUDO MONTONI Timpa 2020
BAGLIO DEL CRISTO Lalùci 2020
SETTESOLI Mandrarossa Costadune2020
TENUTA STOCCATELLO Animi 2020
PLANETA Terebinto 2020
SUMMANERA Grillo 2020
VINI TOLA Grillo 2020
ALESSANDRO DI CAMPOREALE Vigna di Mandranova 2020
DI GIOVANNA Vurrìa 2020
CANTINE SIMONETTI Al mio amico 2020
TASCA Cavallo delle Fate 2020
MUSTAZZA Grillo 2020
COLOMBA BIANCA Resilience 2020
TAMBURELLO 204 2020
DUCA DI SALAPARUTA Kados 2020
ORESTIADI Grillo 2020
VACCARO Luna 2020
GORGHI TONDI Kheiré 2020
DONNAFUGATA Sur Sur 2020
FONDO ANTICO Grillo Parlante 2020
ALAGNA VINI Grillo 2020
CARUSO&MININI Naturalmente Bio Grillo 2020
FAZIO U Marusu 2020
ASSULI Fiordiligi 2020
FEUDI IMPERIALI Grillo 2020
FIRRIATO Altavilla della Corte 2020

Passando all’altra” rotaia” e cioè al Nero d’Avola, i cenni storici forniti dal Consorzio ci informano che “il vitigno è iscritto al Registro Nazionale delle varietà di viti come sinonimo riconosciuto per la Regione Sicilia del Calabrese nero.

Tale sinonimo non si riferisce alle sue origini, ma alla fama che avevano i vini calabresi. Il vitigno era noto in Sicilia fin dalla fine del 1600 ed era giudicato molto per la buona qualità della sua uva da vino ed era compreso in un gruppo di varietà dette Calavrisi o Calaulisi, con un’aggettivazione di provenienza come Palermo, Avola, o di colore (niuro).

Alla fine dell’800 nel Bollettino ampelografico siciliano compaiono le prime descrizioni di alcuni Calabresi (dolce, d’Avola, di Leofonte, ecc.) e si ipotizza un’altra origine del nome, da “colaurisi”, “colaulisi”, “calavrisi”, dove calea sta per uva (dialettale di “racina” in siciliano) ed aulisi per Avola, nella denominazione popolare e quindi Calaurisi o Calaulisi e da questo Calavrisi è divenuto Calabrese probabilmente perché con il termine calabrese si indicava un tipo di vino ottenuto lavorando le uve con il metodo calabrese e che veniva prodotto e commercializzato in differenti tipologie nella Sicilia orientale.

I territori di elezione per la coltivazione di questo vitigno erano quelli di Pachino e Vittoria, che producevano vini molto richiesti dal Midì della Francia nel periodo della crisi fillosserica, che li spediva successivamente nel Bordolese, sotto la denominazione di vino di Pachino.
Il Sangiovese toscano ha come sinonimo il nome di Calabrese, forse per la sua origine antica, la Calabria come recentemente hanno dimostrato le analisi del DNA. Orazio Cancila (2004) afferma: «a metà del Cinquecento la qualità di uva più diffusa in Sicilia appare comunque il Mantonico, mentre rari erano Moscatello Guarnacca, Calabrese e Malvasia». Francesco Cupani (1696) descrive un vitigno Calavrisi che Fausto Sestini (1812) definisce «uva che produce ottima qualità di vino» e ritiene essere il Calabrese della Toscana che altro non è che una specie di Aleatico.

Di Maria (1754), nell’elenco delle varietà coltivate in Sicilia, riporta il Calabrese. Nava (1802), descrivendo il vino Calabrese prodotto nel territorio di Siracusa, dice: «il vero Calabrese si tira da due sorti di uva, una chiamata “Calabrese” portatrice del profumo di viola, l’altra chiamata Vernaccia nera, e questa lo rende delicato». Acerbi (1825) nel “Catalogo delle varietà di uve osservate ne’ contorni di Termini” descrive una varietà Calavrisi niuru: «foglia quinquelobata con denti irregolari, cotonosa di un verde cupo. Acino bislungo, nero, di grossezza quasi uguale. Grappoli solitari. Gran quantità di cirri».

Mendola (1868) riporta nella Collezione un Nero d’Avola di Siracusa, per vino ordinario e di consumo e un Calabrese o Calavrisi d’Avola che descrive come nero dolcissimo, più precoce degli altri Calabresi, che dà vini robusti e che considera appartenente, ma diverso, al gruppo dei Niureddi.

Il Di Rovasenda (1877) riporta nel Catalogo un Nero d’Avola, e diversi Calabresi fra cui il Calabrese o Calavrisi d’Avola.

Alla fine dell’800, comunque, il Nero d’Avola si diffonde in tutte le province siciliane, come emerge dai Bollettini ampelografici (1883) delle provincie di Caltanissetta, Girgenti e Palermo, anche se in alcuni comuni della provincia di Siracusa continua a rappresentare quasi l’unico vitigno coltivato (Carpentieri, 1922).

Nei Bollettini ampelografici vengono riportati sotto il nome Calabrese e Nero d’Avola molte accessioni, il che fa pensare si tratti di una popolazione di biotipi e che con il termine Calabrese si indicassero diverse varietà; ipotesi confermata da recenti studi molecolari (Carimi,2011).

Il Nero d’Avola è sicuramente il vitigno a bacca rossa più importante della Sicilia. Se un tempo era intensamente coltivato soprattutto in provincia di Siracusa, oggi è presente in modo esteso in tutte le provincie siciliane e rappresenta il vitigno più coltivato nelle provincie di Agrigento e Caltanissetta, e costituisce la base in alcune delle più importanti Denominazioni di Origine Siciliane. Il Nero d’Avola, in funzione della sua antica origine e della elevata superficie su cui è coltivato, presenta una significativa variabilità intravarietale a carico soprattutto degli aspetti morfologici e compositivi delle uve.

Questa è stata valutata per tutti i diversi aspetti utilizzati per la fenotipizzazione della varietà permettendo così di definire tre biotipi che si caratterizzano sia per aspetti morfologici, in special modo forma e dimensione del grappolo, sia per quelli agronomici ed enologici.

Questi tre biotipi sono identificati come A, individuato nell’area della Sicilia centro-meridionale, il biotipo B quello maggiormente diffuso sul territorio isolano ma identificato nella Sicilia occidentale, ed infine il biotipo C proveniente dall’area viticola della Sicilia sud-orientale.

Il vino è di colore rosso molto carico, il profumo è molto caratteristico, di particolare intensità e complessità. Si caratterizza per le elevate percezioni fruttate di ciliegia, fragola e frutta matura; a queste seguono anche note di pepe e sentori di vegetale fresco e speziato, in alcuni casi le note vegetali, mallo di noce, risultano preminenti caratterizzando in modo particolare i prodotti a base di Nero d’Avola.

Al gusto il vino si presenta di struttura elevata, di buon equilibrio tra la componente alcolica e quella acida, l’impatto tannico non è mai aggressivo, ma può essere intenso dando al vino una gradevole lunghezza gustativa. La permanenza della percezione aromatica è elevata.


37 sono stati i Nero d’Avola degustati come sotto riportato:
COLOMBA BIANCA Resilience 2020
VACCARO Lisùli 2020
ALAGNA VINI Nero d’Avola 2020
DONNAFUGATA Sherazade 2020
ORESTIADI Nero d’Avola 2019
FONDO ANTICO Nenè 2019
CURATOLO ARINI Nero d’Avola 2019
FAZIO Gàbal 2019
FEUDI IMPERIALI Nero d’Avola 2019
ALESSANDRO DI CAMPOREALE Donnatà 2019
DI GIOVANNA Vurrìa 2019
CANTINE SIMONETTI Perla 2019
TASCA Tenute Regaleali L’Amuri 2019
FEUDO MONTONI Lagnusa 2019
DUCA DI SALAPARUTA Passo delle Mule 2019
FEUDO SOLARIA Moro 2019
RIOFAVARA Spaccaforno 2019
TAMBURELLO 306 N 2018
GORGHI TONDI Sorante 2018
CASALE DEL FRATE All’Aria 2018
ASSULI Lorlando 2018
FIRRIATO Chiaramonte 2018
BAGLIO DEL CRISTO Lu Patri 2018
SETTESOLI Mandrarossa Cartagho 2018
PLANETA Santa Cecilia 2018
CASA GRAZIA Gradiva 2018
GIASIRA Nero d’Avola 2018
FEUDO MACCARI Saia 2018
SALLEMI Calura e Amuri 2018
CARUSO&MININI Cutaja – Riserva 2017
SUMMANERA Azhar 2017
VINI TOLA Black Label 2017
DI PRIMA Gibilmoro 2017
QUIGNONES Largasia 2017
GAMBINO VINI Duvanera 2017
VALLE DELL’ACATE Il Moro 2017
FEUDO ARANCIO Hedonis – Riserva 2015

L’altro pilastro degli autoctoni siciliani non poteva essere che il Catarratto. Come per gli altri alcuni cenni storici che il Consorzio ci ha fornito. La varietà, coltivata da secoli in Sicilia, è stata descritta da Francesco Cupani (1696) nella sua opera “Hortus catholicus”, successivamente da Sestini (1760) nelle sue “Memorie sui vini siciliani e dall’abate Geremia (1835).

La prima distinzione è stata fatta da Macagno nel Bollettino Ampelografico (1883). Paulsen (1905) considera il Bianco Lucido una selezione di quello Comune che si differenzia per la forma del grappolo e degli acini.

Nel 1970 Pastena individuò quattro biotipi: Catarratto bianco comune, Catarratto Bianco lucido serrato, Catarratto bianco lucido spargolo e Catarratto bianco extralucido. Una curiosità, il Catarratto, attraverso un incrocio naturale con Moscato di Alessandria, ha dato origine al Grillo e, molto probabilmente, è il padre della Garganega e ha dirette relazioni di parentela con molti altri vitigni come ad esempio Albana, Susumaniello, Mostosa, Trebbiano Toscano (Di Vecchi Staraz et al. 2007; Crespan, Calò et al 2008).

Il Lucido è di gran lunga la principale cultivar siciliana, è coltivata intensamente nelle province di Trapani, Palermo e Agrigento ed è comunque presente in tutte le altre province siciliane. Questo vitigno è ammesso nelle diverse D.O. della Sicilia centro-occidentale ed anche in alcune delle più importanti della Sicilia orientale.

I Catarratti erano predominanti nella seconda metà del XIX secolo nell’area di Marsala, subirono una certa contrazione a inizio ’900 a vantaggio della cultivar Grillo (particolarmente idonea alla produzione del vino marsala), per recuperare superficie a partire dalla metà del secolo scorso.

Oggi anche grazie a una sua rivisitazione enologica è un vitigno in espansione su tutto il territorio dell’Isola. I produttori siciliani nel recente passato sollevarono il problema sul nome “Catarratto” che risulta ostico da pronunciare fuori dai confini nazionali e quindi con grandi difficoltà di proporre il prodotto sui mercati esteri.

Per ovviare a questo, con il decreto ministeriale del 21 novembre 2018 viene consentito “Ai soli fini della designazione dei vini provenienti dalle uve raccolte nella regione Sicilia” di riportare in etichetta il nome “Lucido”, un termine non nuovo, già usato nel passato come sinonimo, in alternativa a Catarratto Bianco Comune o Catarratto Bianco Lucido. I Catarratti, come detto, pur presentando un unico profilo microsatellite, mostrano una grande variabilità fenotipica intravarietale, che si evidenzia con l’iscrizione, al Registro Nazionale delle varietà di vite, di due distinte cultivar: il Catarratto bianco comune e il Catarratto bianco lucido.

È inoltre possibile rilevare un ulteriore variabilità all’interno del Catarratto bianco comune. Valutata a livello fenotipico, ha permesso la caratterizzazione di due biotipi, che si differenziano sia per i parametri morfologici del grappolo sia per quelli legati alla qualità delle uve. I due biotipi sono denominati come A, rappresentante l’ideotipo del Catarratto bianco comune, e il B rappresentativo del biotipo comunemente conosciuto come Catarratteddru.
Il vino di colore giallo paglierino con riflessi verdi, all’olfatto si presenta complesso e di buona intensità, caratterizzato da note floreali e da quelle fruttate, tropicali, di agrumi e spezie. I due biotipi si differenziano per il profilo sensoriale: nel Catarratteddru prevalgono le note vegetali, mentre nel Catarratto comune il profilo è qualificato dalle note di agrume, fruttae spezie e da una maggiore persistenza.

Al gusto il vino di Catarratto, e in particolare il biotipo A, si presenta di buona struttura e di elevata persistenza aromatica, mentre nel biotipo B è più intensa la nota alcolica ed è maggiormente percettibile una nota amara finale.
La degustazione ha riguardato le seguenti etichette:
CARUSO&MININI Naturalmente Bio 2020
GORGHI TONDI Midor 2020
MUSTAZZA Lucido 2020
ORESTIADI Lucido 2020
TAMBURELLO 797 N 2020
ALESSANDRO DI CAMPOREALE Benedè 2020
DONNAFUGATA Prio 2020
TASCA D’ALMERITA Buonsenso 2020
ASSULI Donna Angelica 2018
SUMMANERA Lucido 2018
Il press tour si è concluso con una visita alla Cantina Rapitalà, dove il Presidente Laurent Bernard de la Gatinais, ha fatto gli onori di casa. E dove abbiamo partecipato ad una interessante quanto unica esperienza sensoriale di ‘assaggio di grappoli di Catarrato raccolti in diverse provincie, da diversi suoli e diverse altitudini da 0 a 600 mt. s.l.m. con 4 agronomi delle Aziende Colomba Bianca, Settesoli, Donnafugata, Rapitalà. La “degustazione” ha evidenziato come le diverse altitudini, oltre che alla diversità dei terreni, danno alla stessa varietà profili diversi, di sicuro la cosa che si è palesata in modo chiaro la vocazione per le produzioni in altitudine della versatilità per le bollicine.

 

 

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