La Calabria è in fermento tra le sue varie denominazioni enologiche. La crescita è stata a macchia di leopardo, tra distretti maggiormente pronti ad esprimere identità e visione d’insieme e altri in affanno nel districarsi dall’atavico dilemma: produzione di quantità o di qualità? Osservando la regione da un mero punto di vista della cronaca, si potrebbe affermare che essa risulti divisa a metà, in senso trasversale, lungo la dorsale della Sila e dell’Aspromonte. Ad ovest l’areale cosentino con il Magliocco Dolce preferito al Magliocco Canino, utilizzato a sud nel reggino. Ad est invece il Gaglioppo, parente ancestrale del Sangiovese, che con esso condivide parecchie sfumature cromatiche e organolettiche.
La patria del Gaglioppo è Cirò, di recente sotto i riflettori per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale Europea del Disciplinare per la DOCG Cirò Classico, che prende le forme dalla precedente versione Cirò Rosso Riserva. Ancora 2 mesi di tempo e, in assenza di opposizioni, il percorso intrapreso nel 2019 dai produttori cirotani arriverà a compimento, con la prima DOCG calabrese. Meritata, visti gli sforzi notevoli dell’intera Comunità, seppur con i vari distinguo, mai distratta però dal centrare l’obiettivo.
Differenti vedute già narrate negli articoli su Librandi e sui nuovi alfieri della Cirò Revolution. Differenti suoli ed ecosistemi nel progetto delle microvinificazioni, 9 vini da 9 cru per capire appieno la potenzialità del Gaglioppo in purezza. Un progetto che non voleva essere una vera e propria zonazione, quanto uno studio approfondito sulle caratteristiche dei terreni e delle esposizioni in vista dei cambiamenti climatici in atto. L’idea applicata in altri contesti di coltivare innalzando l’altitudine media degli impianti, non è qui facilmente attuabile per il grande problema idrogeologico di mancanza d’acqua e per le estati torride e siccitose. Di converso la pianura più fertile non riesce a garantire sempre la medesima qualità polifenolica, che la varietà principe richiede.
Un dilemma dall’apparenza senza soluzioni anche per la Cantina F.lli Dell’Aquila, dei germani Salvatore e Assunta, che dal 2001 svolgono con passione l’opera di viticoltori proseguendo alla stregua del padre e del nonno. Appena cinque gli ettari totali, tutti in biologico e ben distribuiti lungo alcune proprietà, come Piana delle Grazie, Feudo, Mortilla e Russomanno. Da semplici conferitori hanno avviato l’attività di imbottigliatori, che rappresenta con circa 20 mila bottiglie annue quasi i due terzi del fatturato complessivo. Si vende ancora vino rosso sfuso al più che dignitoso prezzo di 4 euro al litro, indice della reputazione di Cirò quale polo enologico di elevata qualità.
La consueta degustazione ha inizio con una rarità aziendale, non realizzata in ogni annata: il Cirò Bianco “Frandina” prima annata 2021, da Greco Bianco in purezza. Anima da macerazione sulle bucce, anche se non dichiarata da Salvatore e Assunta. Di sicuro la sosta in vetro ne ha accentuato la vena ossidativa stuzzicante, da ricordi di orange wine elegante e speziato, col tipico timbro di frutta secca e balsamicità in chiusura. Si prosegue con il Rosèmanno 2022: la 2023, infatti, non è stata prodotta per le scarsissime rese di Gaglioppo a seguito di attacchi di peronospora e di siccità. L’uva si presta per eccellenti rosati, ma in questo caso l’evoluzione si fa sentire e non consente di avvertire quelle vibrazioni al gusto ciliegia, cartina al tornasole della tipologia.
I rossi sono rappresentati dal Salvogaro 2021 da piante della tenuta Russomanno su terreni argillo-sabbiosi, il più contemporaneo dei prodotti della cantina. Bevuta piacevole e dinamica, tra nuance floreali (rosa rossa) e amarene succose su finale pepato. Il Gemme 2021 nasce sulle colline del cru denominato Mortilla, da vecchie viti di oltre 50 anni d’età. Come per il precedente campione, la scelta di fermentazione e affinamento è ricaduta unicamente su contenitori d’acciaio e sulla bottiglia, senza utilizzo del legno. Appetitoso, sapido e agrumato, manca leggermente nello scatto finale, forse proprio per l’assenza di sosta in fusti di rovere. Resta comunque il miglior assaggio di giornata.
Infine il Rosso Classico Superiore “Piana delle Grazie” 2018, voluminoso e dai tannini palpabili, quell’accento che riporta a vini simbolo di altri territori blasonati. Qui il legno, seppur presente, è totalmente integrato alle sensazioni speziate e fruttate sotto spirito per un’annata memorabile di Cirò. Forse l’ultima in termini di equilibrio, anche se fiducia viene riposta in attesa dell’uscita in commercio della 2024.
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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