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CALABRIA – LA “REVOLUTION” DEI CIRÒ BOYS

Prima di affrontare, in un successivo articolo, il tema “Librandi”, bisogna necessariamente fare una digressione meritevole, cavalcando una metafora ciclistica. Ricorderete i mitici tapponi della montagna di Miguel  Indurain. Il Pirata Pantani non menzioniamolo, lui faceva un campionato a sè. Ancora è aperta l’amara ferita per il trattamento ad hoc perpetrato nei suoi confronti da chi aveva un interesse precipuo nel trovare il capro espiatorio di un sistema già malato. Dicevamo, dunque, di quel Miguelito, che sapeva vincere grazie ad un fantastico team di colleghi sempre pronti a trainarlo verso le cime più impervie.

La Calabria sta a Librandi come l’uva sta al vino sembrerebbe. Se non altro per una storicità acquisita. Aziende di queste dimensioni ed organizzazione creano, però, più o meno consapevolmente, anche un movimento positivo, agendo da traino per l’intero comparto. Coloro che per anni han recitato un ruolo da gregari pian piano cominciano a trovare la forza di staccarsi dal gruppo, con grande personalità da futuri campioni. Tradizione e modernità, riscoperta del piacere di coltivare secondo canoni di eccellenza anche a discapito delle rese e del numero di bottiglie. In perfetta simbiosi, adesso, ritroviamo che la testa della corsa marcia compatta verso una vittoria fatta da vini meno pesanti e legnosi, dai colori più tenui ed eleganti, che riscoprono un Cirò a dir poco rivoluzionario, come lo sono i suoi “boys”. A loro va tutta la nostra gratitudine!

Oggi parleremo di due di essi:  ‘A Vita e Cataldo Calabretta.

Laura

A Vita nel dialetto indica la vite. Francesco De Franco e sua moglie Laura conducono questi splendidi 8 ettari sulle colline prospicienti il mar Ionio, ove in lontananza si possono osservare le spiagge bianchissime di Punta Alice. Il motto è sempre stato “se c’è il deserto una palma prima o poi si vede“. L’attaccamento infatti dei vigneron alle loro piante è tale che persino nei cimiteri le foto sulle lapidi recano sullo sfondo del defunto la sagoma verdeggiante dei propri vigneti, a perenne ricordo.
Sembra strano ai profani, ma già nel 1200 le cronache di Federico II di Svevia parlavano di una nobile uva autoctona dall’enorme potenziale ancora oggi in parte inespresso: il Gaglioppo. Un saggio interessante per poter approfondire l’argomento è il libro di Marilena De BonisTerre d’uve” che narra la storia antica dell’Italia enologica.

Il territorio della DOC va da Crucoli a Melissa, ma è principalmente tra la località Feudo e Torre Melissa verso Lipuda da cui viene la produzione di miglior qualità.
Oltre il biologico, oltre il biodinamico, viaggiando verso metodi ancestrali di coltivazione e lavorazione in cantina, zero interventi umani.

In una passeggiata salendo tra sentieri inerpicati, si nota subito la vera essenza dell’esser naturali: una ragnatela bellissima tessuta dal temuto (e letale) ragno violino, tipico di queste zone assolate.

Gaglioppo

Grappoli carichi, dalla buccia coriacea e piuttosto resistente alla masticazione, indice di una importante presenza polifenolica da prendere in considerazione. Cure amorevoli e fitoterapia per piante, al fine di rinforzarne le difese immunitarie senza sforzi chimici dannosi alla Natura e all’Uomo. Pigiatura del mosto con i piedi e fermentazioni in tini aperti senza inoculo di lieviti selezionati. Il resto viene solo con la giusta pazienza di saper attendere.

Se cercate un naso in punta di forchetta o siete di palato sensibile peggio dei prosaici gourmet televisivi, desistete. Qui c’è tanta sostanza, una decisa “rusticanza” mai scontata, persistenze non costruite a tavolino nei migliori “laboratoires”.


LEUKÒ 2019 – è un Gaglioppo vinificato in bianco con un piccolo saldo di Greco. Un vino da macerazione, con i classici sentori di camomilla, mandarino, macchia mediterranea e richiami di cannella. Il sorso è divertente e appetitoso, ideale per contrastare l’arsura estiva.


– ‘A VITA 2019 – Gaglioppo questa volta in versione rosa, naso da caramella d’orzo, floreale di viola mammola e gelsomino. Attacco di bocca salato quasi salmastro su un letto di pepe bianco.


CIRÒ 2016 – equilibratissimo, quattro giorni di macerazione per un gusto dinamico come un ascensore: si entra su freschezze di agrumi gialli, si scende rapidamente verso il tannino, per risalire di nuovo al piano della sapidità. “Fragoloso”.
CIRÒ RISERVA 2015 – denso e materico, in parole povere largheggia. Un frutto di mirtillo nero e ribes scuro alto come un gigante, in linea con l’annata pressochè perfetta.
– ‘OX – chicca finale, 17 gradi volumici per un prodotto da meditazione che riposa ben 7 anni in barrique. Nuances ambrate con lunghe scie di bergamotto.


Cataldo Calabretta altro giro, altra filosofia. Cataldo ha il vino nel sangue, ereditato dalla famiglia (quarta generazione di coltivatori). Oltre ai soliti noti (non avevo ancora menzionato il Magliocco) Calabretta possiede anche due appezzamenti allevati a Greco Bianco e Malvasia oltre un insolito fuoriclasse, come l’Ansonica di zona Strongoli. Interventi ridotti al minimo, fermentazioni rigorosamente spontanee, duro lavoro nei campi; il simbolo stesso dell’azienda, quell’arciglione (o ronca da potatura) che ogni contadino cirotano sa maneggiare con assoluta competenza.


ANSONICA 2019 – la presenza iniziale di sensazioni ridotte scompare presto rivelando essenze da foglia di pomodoro, idrocarburi, scorza di cedro ed albicocche disidratate. Da vigne di 35 anni, quasi a livello del mare, da cui il tipico richiamo iodato.
ROSATO 2019 – vendemmiato in più giorni per dosare adeguatamente le acidità. Colore ramato luminoso, il naso sa di tarocchi e zagare fresche. Colpisce per mineralità intensa tesa come una corda di violino.


ALICANTE 2019 – rosato piacevolmente succoso, carico di lamponi ed erbette aromatiche, lavanda, petali di rosa rossa. Pronto, tipico ed immediato.


ALIPUDA 2016 – versione rossa della Grenache, da marze provenienti dal Castello di Sant’Aniceto a Motta San Giovanni (RC). Vinificato a grappolo intero, in presenza anche di raspi, spinge molto sul vegetale, quasi pasta di olive, per poi aprirsi su una parte ematico-carnacea.
CIRÒ 2017 – da piccoli e storici alberelli. L’assaggio migliore di giornata, con echi di Valtellina nel bicchiere, terroso, di frutta rossa croccante e finale spezie nere e balsamiche. Perfetto, bello e buono.
La “Revolution” continua e conta ormai ben 9 realtà che speriamo presto di continuare a raccontarvi.

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Scritto da

Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.

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