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Champagne – Cristal 2014, la “révolution” firmata Lecaillon

Fare rivoluzioni attaccando Bastiglie o Palazzi d’Inverno: acme di contrapposizione drammatica che la storia conosce bene, e che vede in campo forze divenute inconciliabili. Fare rivoluzione in casa propria, senza nessuno che attacchi il forte – anzi! – e mettere in discussione con fermezza tutto per aprire fasi nuove è, più che storia (lo diventerà, col tempo) un processo di natura filosofica.

Ed è di questa seconda specie la “rivoluzione” che Jean Baptiste Lecaillon, chef de cave “chez” Roederer, sta gestendo con coraggio e lucidità in pari misura, lanciando il suo messaggio… dal tetto della basilica che il premiato marchio ha costruito nel tempo: il Cristal.

Somma enologica dei vini ottenibili da 45 “brani” del vigneto di casa riservati all’etichetta top, ma da moltiplicare – per ottenere il totale attuale – per il coefficiente di metodo, convinzione, stile che Lecaillon ha introdotto in modo tanto netto e deciso che, nel presentare la nuova creatura (il Cristal 2014), non ha esitato a definire il contesto ampelografico da cui lo ricava come una sorta di “domaine” a sé stante, un’isola speciale nell’arcipelago composito (ma sempre più lecaillonista) della maison.
In breve: da una vendemmia non elementare ma di bella soddisfazione finale – vendemmia portata molto in avanti qui, fino a fine settembre, dopo un giro di montagne russe climatiche tra un inizio d’estate quasi torrido, un cuore agostano arcigno e piovoso e un finale pacificato e sorridente, quello settembrino appunto – il “compositore” Lecalilon ha estratto (usando solo 39 dei 45 “strumenti” a disposizione, tutti appezzamenti condotti in biodinamica, ed equamente divisi tra Montaigne de Reims, Côte de Blancs e Ay, 70% Pinot Nero e 30% Chardonnay, 7 grammi di dosaggio ma zero malolattica e passaggio e ossigenazione ragionata in legno per un terzo circa dei mosti) un Cristal assolutamente sui generis (difficilissimo paragonarlo ad altri o ad altre annate, e quasi compendio e summa di un certo ventaglio di esse) e di spessore, avvolgenza, complessità davvero impressionanti.

Per scendere appena un momento (senza esagerare e rischiare il vieto e lo stucchevole) in dettagli sensoriali, le note fruttate ed esotiche sono sormontate via via a ondate da quelle fumé e dalla squisita sapidità che allunga e incide il gusto. Importantissimo il ritorno speziato (zafferano, zenzero), spiazzante il finale che, ridando spazio a note acide, sfuma su ricordi pinottosi di piccoli frutti. Al di là della immediata golosità (c’è tutta) è dichiarata anche la progettualità a lungo termine della bottiglia. Sostenuta anche da un intervento tecnico (il cosiddetto “jetting”, successivo a sboccatura e dosaggio, e consistente in una stimolazione pressoria della CO2 presente sulla lamella più superficiale del vino che “spara” fuori la pochissima aria presente in bottiglia, con tappatura effettuata dunque in pressoché totale assenza di ossigeno) che dovrebbe ulteriormente esasperarne le già evidenti stimmate di potenziale longevità. Da bere felici (potendo); da metter via, se figlio unico, resistendo alle pur fortissime tentazioni.

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