A molti suonerà strano, ma perfino la Falanghina può vantare un patriarca, senza il quale i successi commerciali del vino bianco campano negli ultimi trent’anni sarebbero inimmaginabili. I meriti dell’ingegner Leonardo Mustilli, scomparso poco più di un anno fa, nella riscoperta di quest’uva autoctona sono indiscutibili.
Fu tra i primi a reimpiantarla, negli anni Settanta, assieme ad altri vitigni quasi dimenticati come Greco, Aglianico e Piedirosso, nelle vigne di Sant’Agata dei Goti, nel Sannio; sempre lui decise, nel 1979, di imbottigliare per la prima volta una Falanghina in purezza. Per di più, in un’epoca in cui era ancora sconosciuto il concetto di turismo enogastronomico, aprì le porte della sua cantina scavata nel tufo, sotto un bel palazzo nobiliare al centro del paese, dal Cinquecento di proprietà familiare, così come le vigne.
All’interno della sede sono attivi da anni un agriturismo, un ristorante e un wine bar.
Oggi sono le figlie Paola e Anna Chiara, sotto l’occhio vigile della mamma-cuoca Marilì, a portare avanti i sogni dell’ingegnere-pioniere. Con un occhio alla contemporaneità e alla cultura pop, come dimostrano le etichette dei vini che abbiamo degustato. Come spiega Paola, “i volti sono di tre nostri avi, i ritratti dei quali sono appesi alle pareti del palazzo storico di famiglia, con alcuni ‘storture rock’. Il Cesco con gli occhialini di John Lennon, Artus con il trucco a saetta, icona di David Bowie, e la Vigna Segreta con la maschera di Annie Lennox”.
Ma ecco le nostre impressioni sui vini assaggiati al ristorante “Armando al Pantheon” e accompagnati dagli ottimi piatti della storica trattoria romana.
Vigna Segreta 2016 Falanghina del Sannio – Sant’Agata dei Goti Doc. Affinato sur lies in acciaio per circa 10 mesi ed in bottiglia per un minimo di 6 mesi. Naso molto pulito, floreale, agrumato (in termini di buccia), elegante, anice e salsedine, al palato c’è più acidità rispetto allo standard di una Falanghina, è gustoso e bilanciato, reattivo come un buon mezzofondista, con un bel frutto dolce e tanto sale in chiusura.
Artus 2016 Piedirosso del Sannio – Sant’Agata dei Goti Doc. Un modo nuovo e coraggioso di affrontare il vitigno e il terroir. Affina per metà in vasi di ceramica (clayver) e metà in terracotta. Granato, dai profumi affumicati, minerali (cenere spenta), di violetta, ciliegia, mazzetto aromatico (timo e salvia), geranio; in bocca è un soffio ma al tempo stesso strutturato, sapido e succoso, fresco e vellutato, con risvolti vegetali e di frutta secca, di bell’allungo.
Cesco Di Nece 2015 Aglianico – Sant’Agata dei Goti Doc. Affinato in tonneaux di rovere per 12 mesi, poi sei mesi in vetro. Rosso rubino, 12.5 gradi alcolici, esprime tutta la selvatichezza e il frutto dell’uva di partenza, con piccole bacche rosse e nere all’olfatto, balsamico, cenni di grafite e spezie orientali. Sorso piacevole, classico, tannico e terroso, di beva trascinante, gran temperamento, molto caratteriale e persistente.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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