Se è vero che ogni successo trova le sue radici nel grande intuito e nella capacità di saperlo attuare con competenza e tecnicismo, allora potremmo dire che la storia di Castel De Paolis è la chiara testimonianza di un successo preannunciato. Nata nel 1985 dall’idea di Giulio Santarelli, all’epoca sottosegretario di Stato al Ministero dell’Agricoltura e Foreste, di produrre nell’areale dei Castelli Romani vini di qualità che bene potessero esprimere tutte le potenzialità del terroir, oggi l’azienda, tuttora a conduzione familiare, si conferma per la sua spiccata capacità di infondere a tutte le sette etichette prodotte una marcata impronta territoriale ed è connotata da un elevato livello medio qualitativo. Vini a “filiera corta” potremmo definirli, ottenuti solo da uve dei vigneti di proprietà e imbottigliati all’interno della stessa azienda, pieni di carattere e personalità, alcuni dei quali realizzati con varietà alloctone reinterpretate nel nuovo contesto locale.
Incontriamo Fabrizio Santarelli in mezzo ai suoi vigneti a Grottaferrata, a 270 metri sul livello del mare, attigui all’azienda situata proprio sulle rovine del Castello di epoca medievale, dal quale prende il nome, che a sua volta sorgeva su rovine di epoca romana.
Nel video Fabrizio Santarelli ci racconta la nascita di Castel De Paolis
15 ettari vitati per circa 100.000 bottiglie annue prodotte ed una grande voglia di sperimentazione e innovazione che ancora non accenna a placarsi. “Stiamo sperimentando la produzione di uno spumante da uve Bombino, Bellone e Chardonnay. Sarà un Metodo Classico che faremo uscire il prossimo anno” racconta Fabrizio che da subito, ripercorrendo la storia aziendale, ci narra della lungimiranza del papà Giulio che più di trent’anni fa, con l’ausilio del prof. Attilio Scienza, all’epoca direttore generale dell’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige, decise di non vendere più l’uva alle cantine sociali e di cominciare a produrre e a commercializzare i propri vini. Il passo non fu immediato perché preceduto da accurate sperimentazioni tese a selezionare le varietà che in quel terroir potessero integrarsi ed esprimersi al meglio. Terroir d’eccezione, d’altronde, se si considera l’altitudine, la giusta distanza dalla costa del mar Tirreno ed il terreno di origine vulcanica tipico dell’areale. Così si scelse di espiantare mezzo ettaro degli allora otto ettari della superficie aziendale, sperimentando tutte le varietà locali di maggior rilievo come la Malvasia Puntinata, il Bellone, il Trebbiano Giallo a cui si aggiunsero il Vermentino, la Passerina, il Moscato Giallo e l’Incrocio Manzoni per i bianchi. Tra le uve nere si puntò sul Cesanese del Piglio, il Montepulciano d’Abruzzo ed il Sangiovese. Tra i vitigni alloctoni Viognier, Semillon, Chardonnay, Sauvignon Blanc e Roussanne per i bianchi. Syrah, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot, Merlot, Grenache, Tempranillo e Alicante per i rossi. Venne anche impiantato il Moscato Rosa, secondo le indicazioni proprio del prof. Scienza che ne aveva intuito le potenzialità espressive in questo terroir. “Abbiamo deciso di impiantarlo in questo territorio per un motivo anche storico” racconta Fabrizio ripercorrendo le valutazioni dell’Istituto di San Michele, “gli studi sulla genesi dei vitigni ci riconducono alla regione del Caucaso ed è da lì che alcuni mercanti avevano selezionato un vitigno molto simile al moscato rosa diffondendolo poi nel nord est dell’Italia…, riportarlo in un clima più vicino a quello di origine non poteva che dargli giovamento”.
Nel 1988 la prima vendemmia sperimentale a cui seguì la scelta delle varietà che avevano dato i migliori risultati e poi il reimpianto su tutta la superficie vitata, incrementando la densità da 2200 a 6000 piante per ettaro, secondo una visione moderna di produzione qualitativa. E così, dopo otto anni di sperimentazione, nel 1993 la prima produzione con il brand aziendale.
La nuova cantina è dotata delle più moderne tecnologie, con un sistema di refrigerazione per il controllo delle temperature ed una barricaia ove i vini rossi riposano ed affinano. Nelle operazioni di scavo per la realizzazione della stessa è stata rinvenuta una struttura di epoca antica, un luogo di grande fascino e suggestione che Fabrizio sta pensando di utilizzare per l’affinamento sur lie del suo prossimo progetto produttivo: il metodo classico dei Castelli Romani. Decisamente accattivante anche il packaging scelto per le bottiglie della linea produttiva, tutte con etichette disegnate dall’artista Umberto Mastroianni, recentemente rivisitate in un’ottica di modernità, strizzando l’occhio ai mercati esteri.
Ma veniamo ai veri protagonisti del nostro incontro. Le sette etichette che abbiamo potuto apprezzare in diverse annate saggiandone la capacità evolutiva.
A dire il vero di alcune etichette abbiamo avuto la possibilità di verificarne l’evoluzione nel tempo e questo è stato un ulteriore aspetto positivo della visita.
Partiamo da:
Frascati DOC 2017 (70% Malvasia di Candia – 20% Trebbiano – 5% Bombino – 5% Bellone)
Il vino di entrata dell’azienda, vinifica ed evolve in acciaio, profumi floreali si accompagnano a note di pesca e miele, dinamico, sapido con un finale di agrume e di mandorla amara.
Frascati Superiore DOCG 2017 – 2016 – 2015 (70%Malvasia puntinata – 20% Trebbiano – 5% Bombino – 5% Bellone)
Dobbiamo in questo caso ringraziare Fabrizio che ci ha permesso di capire come evolve il suo Frascati Superiore nel tempo. Il 2017 esprime le caratteristiche tipiche di questo vino con acidità e sapidità in evidenza, le note agrumate e floreali incorniciano la freschezza di un vino che finisce con una giusta nota di lime. Nell’annata 2016 il Frascati si ammorbidisce pur mantenendo quelle caratteristiche che lo contraddistinguono in gioventù, l’agrume è meno predominante e la mandorla perde quella nota di amaro che troviamo nell’annata più giovane, mantenendo nel complesso equilibrio ed eleganza. Grande sorpresa con la 2015, notiamo che il passare del tempo non fa male a questo vino, anzi gli permette di evolversi, l’agrume si accompagna a miele e frutti maturi, l’acidità pur presente risulta meno aggressiva divenendo insieme alla sapidità elemento di pregio.
Donna Adriana 2017 – 2016 – 2015 (80% Viogner – 20% Malvasia del Lazio)
Un’altra piccola verticale per l’altro vino bianco prodotto dall’azienda. Il 2017 lo assaggiamo in anteprima, non essendo ancora in commercio, e si differenzia dalle annate precedenti in quanto si è deciso di sperimentare un leggero affinamento in legno, ben individuabile non appena si avvicina il naso al bicchiere, ma ottimamente contenuto da sapidità e acidità. Aspettiamo che faccia tutto il suo corso prima di darne un giudizio definitivo. La 2016 ci appare dinamica, fresca e sapida, ma non sembra aver ancora raggiunto quell’equilibrio che invece troviamo nell’annata 2015, dove profumi di fiori bianchi si accompagnano a note di pesca bianca e mela. Ricco, dinamico, di grande equilibrio, con una sapidità che anticipa un finale di mandorla interminabile.
Campo Vecchio 2015 – 2014 (50% Syrah – 50% Cesanese)
Anche in questo caso due annate a confronto per il piccolino dei vini rossi di Castel de Paolis. In questo caso la freschezza e morbidezza dell’annata più recente la 2015, anticipate da note di viola, mora e pepe nero, risultano più convincenti della 2014 che evidenzia maturità, lasciando il campo a note di cuoio, spezie dolci e frutta matura con un tannino che non si è ancora perfettamente integrato.
I Quattro Mori 2014 – 2013 – 2001 ( 50% Syrah -30%Merlot – 10% Petit Verdot – 10% Cabernet Sauvignon)
Un vino che mostra il meglio di sè con il passare del tempo, la 2014 ci mostra note speziate, erbacee e frutta rossa evidenti sin dall’inizio, un tannino giovane ne accompagna ricchezza e freschezza, bello il finale con evidenti note di vaniglia. Nell’annata 2013 una nota di cenere caratterizza il vino non appena lo avviciniamo al naso, ben accompagnata da note di cioccolata, caffè e frutta rossa. Un’entrata setosa sul palato ci mostra un vino ricco ed equilibrato. Un finale vegetale molto lungo lo rende molto interessante. Lo stupore ci invade quando nel bicchiere ci viene versato il 2001, un’annata in cui le vigne erano a differenza di oggi in conversione biologica, non tanto per l’annata, ma perché la bottiglia, una magnum, era aperta da almeno 2 giorni. Troviamo un vino ancora in grande forma, una nota balsamica accompagnata da cioccolata fondente, spezia e confettura di frutti rossi ci stupisce piacevolmente, poi un tannino morbidissimo, ben sorretto da una buona acidità ci accompagna in un finale di pepe nero. Veramente una bella sorpresa.
Muffa nobile 2016 (80% Semilion – 15%Sauvignon – 5% Moscato giallo)
Veniamo rapiti da questo vino che riposa in barrique nuove prima di essere messo in commercio. Dagli acini lasciati sulla pianta fino a novembre quando, per effetto di favorevoli condizioni climatiche, vengono aggrediti dalla muffa Botrytis Cinerea che, disidratando l’acino, fa diminuire l’acidità aumentandone la concentrazione di zuccheri. Note floreali e di miele anticipano una beva dove acidità e dolcezza sanno trovare il giusto equilibrio. Il finale di ananas sciroppata lascia nella nostra bocca una piacevole sensazione per lunghissimo tempo.
Nel video Fabrizio Santarelli ci racconta la nascita di Rosathea
Rosathea 2015 – 1994 100% Moscato Rosa)
Con questi assaggi Fabrizio ci permette di percorrere l’intera vita di questo vino. Abbiamo la possibilità di assaggiare l’ultima annata la 2015 e la prima la 1994, di cui sono rimaste appena 12 bottiglie. Anche in questo caso possiamo verificarne l’evoluzione dopo 21 anni, le note vegetali, di rosa e di confettura, si trasformano in caffè, miele di castagno, fragolina di bosco e humus, la spiccata acidità presente oggi si attenua pur ancora presente e il finale di caffè zuccherato diventa una prugna cotta accattivante e mai stucchevole. Un privilegio questo viaggio che ci ha fatto muovere nel tempo senza neanche accorgerci .
L’assaggio dei vini, avvenuto nella sala degustazione con vista sulla città eterna, ci consente un’ultima riflessione. ” In un’areale in cui la superficie vitata dal 2000 al 2016 si è più che dimezzata, scendendo da 2000 a 900 ettari e dove da sempre si è costretti a fare i conti con il prezzo delle uve a quintale e con le rese produttive”, Castel De Paolis si rivela una realtà che cresce e si afferma sempre più anche sul fronte dell’export, Usa e Cina le sfide dei nuovi mercati.
Un esempio di valorizzazione territoriale, quindi, che ridà lustro ad una zona vinicola ed ai vini che ne sono espressione e che forse meriterebbero ben altra attenzione e considerazione e le cui reali potenzialità sono ancora tutte da scoprire.
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