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I vini della Tenuta Pakravan Papi incontrano la cucina tradizionale giapponese

Miope è chi si ostina a non vedere i cambiamenti climatici.

Sciocco chi intende sottovalutarli, trascurando le drammatiche evidenze.

Ciò non toglie che nel passato ci siano state comunque delle catastrofi naturali.

Tra le più note in Italia, tra quelle che più si ricordano e commuovono il mondo, vige senza alcun dubbio l’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966.

I giorni seguenti furono tuttavia una grande testimonianza d’affetto, con i numerosissimi “angeli del fango” che accorsero da ogni luogo per ripulire una delle più meravigliose città del pianeta.

In quella occasione due volontari si incontrarono, si innamorarono e tre anni dopo si sposarono, trasformando un dramma in una gioia.

Sono Enzo Papi, natio di Vada, vicino a Rosignano le cui spiagge bianche paragonate a quelle tropicali, frutto degli scarichi del carbonato di calcio da parte della vicina fabbrica Solvay, sono set di riprese televisive (avete presente il video dei Negrita, L’uomo sogna di volare?), e Amineh Pakravan studentessa persiana in Provenza.

Più avanti, negli anni ’80, la coppia decide di trasferirsi in campagna individuando come luogo ideale Ortacavoli, in prossimità di Riparbella. Siamo nell’alta Maremma in un territorio che guarda il mare situato a circa 200 sopra il suo livello. Qui, attraverso una serie di acquisizioni, ora sorge un’azienda che possiede 20 ettari di vigneto più altri 80 ettari di bosco vergine, composto da querce, lecci e numerosi arbusti come corbezzolo, stipa e ginepro, una fondamentale presenza quale fonte di umidità e di biodiversità, attuando una naturale filtrazione e purificazione dell’aria.

L’azienda Pakravan Papi è probabilmente ancora poca nota nel nostro Paese giacché l’80% delle vendite guarda all’estero, in primis Stati Uniti, Svizzera e Canada, con una produzione annuale attorno alle 65 mila bottiglie, ma con mire di crescita.

I primi impianti si hanno a metà degli anni ’90, mentre la prima etichetta dell’azienda è del 2003.

L’intenzione è quella di trovare una sorta di equilibrio tra la valorizzazione dei vitigni locali, quindi Sangiovese piccolo e Malvasia di Candia e Toscana, e quelli internazionali dovuti alla passione della famiglia per i vini francesi, pertanto Chardonnay, Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, e perfino il Riesling per via di alcuni terreni qui inclusi composti da sabbie, limo e argille, ideali alla crescita del vitigno.

E a proposito di terreni, oltre al sopra menzionato, ne esistono altre due tipologie con differente composizione: le argille a palombini, vale a dire una marna di colore grigiastro e/o verdastro tipica della zona del Chianti Classico e di Montalcino; e i cosiddetti gabbri, delle rocce di origine vulcanica miscelati ad argille di sedimento, ricche di componenti minerali.

La conduzione è sostanzialmente biologica seppur non certificata, poiché l’azienda ritiene d’adottare dei criteri con standard addirittura più bassi. La riprova si ha osservando la quantità di solforosa totale in tutti i vini prodotti (che attualmente sono diventati sette), che va da 20 ad un massimo 27 mg/l, di gran lunga al di sotto del limite legale consentito e di quello che prevede l’agricoltura biologica.

I lieviti sono selezionati tranne per un vino a partire dal millesimo in corso, come vedremo, ma anche su questo aspetto in futuro si tenderà ad attuare la fermentazione spontanea su quasi tutta la gamma in produzione.

A mandare avanti l’azienda oggi la coppia è aiutata dai figli Chiara e Leopoldo, e Francesca sua moglie.

Ma vale la pena di menzionare anche altre due persone molto importanti per Pakravan Papi, a cui di recente se n’è aggiunta una terza.

Stefano Pinzauti, agronomo che ha individuato i luoghi ideali per impiantare i vitigni, attraverso un lavoro certosino di scandaglio e conoscenza dei terreni.

Graziana Grassini, enologa di fama, allieva e braccio destro per 25 anni di Giacomo Tachis, che lavora dal 2004 con l’azienda, praticamente dal suo inizio.

Ultima arrivata è Alice Bona, enologa interna aziendale che segue ogni fase della produzione del vino.

Completa la struttura un agriturismo in essere dal 2016, gestito da Chiara Papi.

Abbiamo avuto l’occasione di conoscere quasi l’intera gamma del vino aziendale, e il piacere d’incontrare Leopoldo Papi e sua moglie Francesca Filippone, che ne curano il lato commerciale, in un teatro d’eccezione: il ristorante tradizionale giapponese Kohaku di Roma.

Difatti, grande passione di Francesca, con un passato vissuto in Cina ed esperta di mercati asiatici, nonché chef del ristorante enoteca presente all’interno della tenuta ad Ortacavoli, è proprio la cucina orientale della quale è grande conoscitrice. Oltre a ciò è lecito rammentare che metà del sangue che scorre nelle vene di Leopoldo è persiano.

Al ristorante Kohaku si applica la cucina Kaseiki, forma di pasto tradizionale che include tante piccole portate, servite in modo elegante e armonioso, e che vanta cinque secoli di storia. Nasce dai maestri del tè nel segno dell’accoglienza e del rispetto verso l’ospite. Al giorno d’oggi si sviluppa tendendo a ricercare l’armonia dei gusti, con un’attenzione all’apparenza cromatica, utilizzando solo ingredienti locali e spesso freschi per amplificarne il sapore.

Le dieci piccole portate proposteci, che anticipiamo ci hanno convinto sia per la presentazione delle stesse che l’armonia e delicatezza dei sapori, hanno accompagnato l’assaggio di cinque vini.

Dopo il Sakizuke con capasanta, crema di zucca e ikura (vale a dire il caviale di salmone) accompagnato con un ottimo sake di benvenuto, si parte con gli abbinamenti col vino.

Malvasia di Riparbella 2023 Costa Toscana igt

Malvasia Toscana al 100% da vigneti con 15 anni, si produce per la prima volta in purezza nel 2022. Affinamento sulle fecce per quattro mesi in tino inox. Produzione di circa 3000 bottiglie. Solforosa totale 25 mg/l.

Aromi varietali ma delicati, con fiori di acacia e mandorla, ai quali si aggiunge del frutto, pesca, salsedine, erbe aromatiche, e dei sentori minerali. Buona la struttura e sorso agevole con ritorni di frutta esotica fra i quali spicca il pompelmo. Piacevolmente gastronomico e non stucchevole nelle percezioni aromatiche tipiche del vitigno.

Al vino sono stati abbinati due piatti: O-suimono, abalone in brodo katsuodashi con verdure e scorza di yuzu; Hassun di quattro antipasti, zucchine e champignon al sesamo, Nanbanzuke di anguilla, riccio di mare con patate e miso, Chawanmushi vale a dire un budino salato con uovo cotto al vapore.

gli antipasti Hassun

Ribellante 2023 Costa Toscana igt

Un blend creato nel 2016 con Riesling al 60% e Chardonnay e Malvasia Toscana al 40% (le percentuali sono variabili a seconda dell’annata) da vigneti con almeno 10 anni. Affinamento sulle fecce per quattro mesi in tino inox. Produzione di circa 4000 bottiglie. Solforosa totale 25 mg/l. Il nome è legato a chi si ribella ai soli vini autoctoni in regione, e si rifà a ciò che Dante fa dire a Virgilio nella sua Divina Commedia per spiegare il motivo per cui gli fu negato il Paradiso: con lei ti lascerò nel mio partire; ché quello imperador che là sù regna, perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge, non vuol che ‘n sua città per me si vegna (la legge è ovviamente quella di Dio poiché Virgilio non conobbe l’era cristiana, essendo morto prima d’essa nel 19 a.C. Si trova nell’Inferno Canto I)

Vino sapido e idrocarburico, con note evidenti di pompelmo fresco e di altri frutti esotici come il melone giallo, fiori acacia, e sentori minerale. Sorso austero e prolungato, elegante, potente e sul finire un ritorno delle note legate alla Malvasia che lo ammorbidiscono.

Al vino è stato abbinato il piatto Agemono, un tempura di mazzancolla, capasanta e verdure.

Gabbriccio 2013 Toscana igt Sangiovese

Sangiovese piccolo 100% da vigneti di 16 anni. Primo anno di produzione 2004. Affinamento di 12 mesi in tonneau, poi 4 mesi in tini di cemento, e infine almeno 12 mesi in bottiglia. Produzione di circa 6000 bottiglie. Solforosa totale 20 mg/l.

L’annata corrente è il 2017 ma Leopoldo ha scelto di farci assaggiare un 2013, ritenendo non a torto che il suo sangiovese meritasse una  attesa per potersi esprimere al meglio.

Lo abbiamo trovato molto intenso, con sentori legati di humus e terriccio, di un sottobosco fungino, carico di frutta rossa matura in confettura vicina alla visciola, e al contempo fresco, speziato, con ancora della vitalità. Il sorso è piuttosto speziato, con un tannino delicato, e suggestioni di legno di sandalo, di ribes rosso e lampone. Finale mediamente persistente con ritorni di spezia, chiodo di garofano principalmente e tabacco dolce.

Yakimono è il piatto in abbinamento, del merluzzo black cod con purea di funghi.

Cancellaia 2020 Toscana igt

Il vino è un blend di Cabernet Sauvignon 60% e Cabernet Franc 40% provenienti da vigneti di 19 anni. Primo anno di produzione 2004. Diverge dal precedente per l’affinamento che è di 12 mesi in barrique, poi 4 mesi in tini di cemento, e infine almeno 12 mesi in bottiglia. La produzione varia a seconda dell’annata, dalle circa 15000 alle 20000 bottiglie. Solforosa totale 27 mg/l. È il vino che a partire dall’annata 2020 è prodotto con la fermentazione spontanea dei lieviti.

È un vino declinato sui frutti rossi a piccola bacca, che non manca di una percepibile nota balsamica, di menta soprattutto, seguita dall’atteso peperone verde che rimane tuttavia delicato, e sensazioni di prugna. Sorso molto agile e fresco, note sapide, con ritorni di frutta rossa e una punta di speziatura. Un vino persistente, gastronomico e a nostro parere convincente.

Il piatto in abbinamento è stato Takiawase, merluzzo black cod avvolto in foglia di Kombu cotto al vapore.

Campo del Pari 2016 Toscana igt

Il vino di punta dell’azienda, prodotto per la prima volta nel 2011, proviene da un clos di un ettaro di vigneto a Merlot all’80% con età di 19 anni, al quale si aggiunge il restante 20% di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, in composizioni variabili a seconda dell’annata. Difatti nel 2016 che abbiamo assaggiato la componente Merlot è al 95% e il vino titola 15.5%, rispetto agli abituali 14%. Affinamento di 12 mesi in barrique, poi 4 mesi in tini di cemento, e infine almeno 12 mesi in bottiglia. Produzione di circa 3000 bottiglie. Solforosa totale 20 mg/l.

Vino di struttura, molto elegante, che ci ha convinto attraverso le note fruttate, di visciole e di ciliegie ben mature, di prugna e mirtillo, floreali di viola, e lievemente balsamiche di menta. L’esistente ma non invasiva presenza alcolica si traduce in suggestioni di ratafià. Il sorso è ben caldo, coinvolgente di natura speziata, e grande persistenza.

In un gioco di alternanza voluto da Francesca Filippone, prima di questo vino si è tornati alla Malvasia per il piatto Su-zakarana, tofu fresco con salsa ponzu, alga nori e zenzero;

successivamente al Campo del Pari sono state abbinate una selezione del Sushi del giorno, dove spiccava la ventresca di tonno, la spigola e il salmone, e il Tome-wan, una zuppa di miso con alghe, tofu a piccolissimi dadini e negi vale a dire il cipollotto invernale giapponese.

La cena si è conclusa con un davvero delizioso Mizugashi, una gelatina di yuzu e uva con foglie di shiso prossime al nostro basilico, e del tè abbinato a tre praline cioccolata con wasabi.

 

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Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.

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