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OSTERIA NUOVA – Il ristoro di Anzio dal cuore scozzese

Il primo scotch whisky di malto è come il primo bacio: non può essere dimenticato.

L’iniziazione dell’appena diciannovenne Maurizio Criscuolo, ristoratore in Anzio, è propriamente affumicata e affonda le radici nel lontano 1988.

Ma prima di parlarne facciamo un passo indietro.

La sua Osteria Nuova condotta assieme alla moglie Anna Chiara (i coniugi sono anche i proprietari e gestori del Jolly Lido, stabilimento balneare con annesso ristorante di Lavinio), ha di recente conseguito il premio per la miglior carta di distillati d’Italia dei ristoranti, attribuita dal Gambero Rosso nella sua guida.

D’obbligo una visita, non di certo per testare la capacità di giudizio della storica e celebre pubblicazione, ma per sincerarsi del livello della proposta e di come è composta. Oltretutto la succitata guida certifica che qui mal non si mangia e Anzio è pur sempre un posto carino dove tornare. Ciò non bastasse il titolare è un amante del whisky scozzese e su questo campo, se mi è consentito dire, gioco in casa.

 

Potrei soffermarmi più a lungo sul luogo, sul recupero di una vecchia stazione di posta, con tanto di acquedotto d’acqua dolce nel sotterraneo, dove dimora la cantina.

Oppure potrei descrivere in maniera più dettagliata le pietanze che hanno accompagnato la nostra cena, come il benvenuto di palamita con maionese appena fatta, i calamari fritti solamente scottati e velati di farina di riso, il tortino di alici con abbondante tartufo nero, le mazzancolle di poco sbollentate, la gustosa palamita in guazzetto di pomodori, cavolfiore e alloro in tajine di terracotta, le vongole veraci selvagge al cardamomo affumicato e aglione, o infine i gamberoni rossi su un tappeto di fungo porcino, tutti piatti peraltro ben preparati, una cucina di alto profilo che valorizza, attraverso cotture mai prolungate, tutt’altro, la salvaguardia degli aromi di prodotti visibilmente freschi.

 

 

No, lascio l’onere a colleghi più talentuosi, non dimenticando che sono qui per un determinato motivo e con l’impressione, dovuta ad alcune rivelazioni che mi sono giunte, d’aver trovato nel campo del whisky scozzese, finalmente, “uno più pazzo di me” (come l’aneddoto che circola su Frank Zappa).

Ho anticipato del sotterraneo dove dimora la cantina alla quale si accede varcando un  cancello. Stupore, è una vera e propria grotta delle meraviglie, degna del racconto di Ali Babà di Le mille e una notte, ma non essendo in Persia la parola d’ordine è differente: Apriti Islay.

Immaginate il medesimo stupore narrato in quel racconto, unito al varco di uno Stargate verso il passato. Non sono di certo un novizio, ho ammirato (e anche assaggiato) bottiglie di malto scozzese di ogni genere, vintage ed attuali, e vederne così tante e rare accade, certamente, ma nelle collezioni private, non in un ristorante. Sembra una collezione di un profondo amante del whisky messa a disposizione per la mescita. Sinceramente sono privo di parole, quasi in difficoltà, la quale si smorza al primo assaggio. Comprendo il motivo per cui Maurizio è un ristoratore anziché demografo, ciò per cui ha studiato, quando gli domando quante ce sono in quella grotta e ottengo la risposta che non le ha mai contate. Grosso modo ne ho enumerate quattro centinaia, decisamente sbilanciate sui prodotti provenienti dall’isola di Islay, con una massiccia presenza dell’Ardbeg (almeno una settantina di capi) tra rilasci divenuti aneddoti del passato e release appena uscite, sia originali di distilleria che selezionate da indipendenti. Di Islay non manca proprio nulla, e sono disposte in ordine alfabetico: vedo pertanto dei Bowmore, dei Bruichladdich nelle tre declinazioni di brand (quindi anche Port Charlotte e Octomore), dei Bunnahabhain, molti Caol Ila, e ancora Kilchoman, Laphroaig, Lagavulin, Port Ellen anche questi sia ufficiali o frutto della selezione di un privato. C’è perfino l’ultima distilleria nata sull’isola la Ardnahoe, che tuttavia è posta alla fine, forse in quanto neofita oppure perché avrebbe inquinato l’orgia di Ardbeg, visibilmente la distilleria del suo cuore. Non altrettanto presenti sono i whisky dello Speyside il che non significa che manchino, difatti dei Macallan mi strizzando l’occhio. Qualche lowlander e poi tanto Campbeltown.

Lì il mio cuore vacilla quando vedo (e successivamente assaggio) uno Springbank 1966 local barley di 24 anni, proveniente dalla botte #441 e con 60.7%. Frastornato anche dal folle valore attuale della medesima che supera di netto i 10 mila euro, bottiglia che non potrei mai permettermi vien da sé pur trattandosi come molti sanno della mia beneamata.

Testo un Bowmore del 1969, e lo faccio per due volte giacché è al termine di bottiglia e per giunta tutto da botti di ex sherry, e se non la termino, poiché avrei potuto, è solo perché un po’ di decenza mi è rimasta.

Assaggio anche qualcosa del suo prediletto Ardbeg,  un 1974, l’ultima annata sia con pavimenti maltatoi che maggiore presenza di grado di torba, sugli 80 ppm successivamente ridotto a soli, si fa per dire, 54 ppm, da una singola botte a grado pieno di 51.7% e 23 anni di maturazione, frutto della selezione dell’indipendente Signatory.

Infine un incredibile Longrow, che Silvano Samaroli tanto amava e come molti sanno è un brand della Springbank, della prima annata di produzione, il 1973 importato da Sutti con 46%. L’etichetta è visibilmente rovinata ma accadeva spesso per il tipo di carta utilizzata. Ho testimonianza di altre persone a cui si è letteralmente sbriciolata. La bottiglia, malgrado aperta da qualche anno era stata ben preservata e al buio da Maurizio che l’ha evidentemente centellinata. Senza alcun dubbio è stato uno dei migliori assaggi della mia vita, al cui solo pensiero mi ritorna la pelle d’oca.

Dopo aver cenato proseguo con una interessante verticale di Caol Ila, provenienti da imbottigliamenti indipendenti, due dei quali di fine anni ’60, tutto messo a disposizione cortesemente da Maurizio.

Visibilmente commossi da cotanta presenza di malto scozzese gli chiedo di raccontarmi come nasce l’amore (poiché non siamo in presenza di passione), e l’iniziazione che ha avuto. Scopro che è sia originale che simile per molti tratti a quanto accaduto a tanti appassionati, e personalmente mi ha ricordato quella di Robbie, il protagonista del film The Angels’ Share diretto dal grande Ken Loach.

E come in Le Mille e una notte, io la racconto a voi, aggiungendo qualcosa di mio.

Maurizio ha studiato l’inglese in Scozia alla Basil Paterson School of English di Edimburgo nei due mesi estivi del 1988 quando aveva diciannove anni. Un giorno vede nella bacheca dell’istituto un volantino che pubblicizza una degustazione di whisky che si sarebbe tenuta l’indomani presso la sede della Scotch Malt Whisky Society, nella località portuale di Leith, e si iscrive. L’edificio in pietra, completato nel 1787, risale al dodicesimo secolo e anticamente era un magazzino per i commercianti di vino. A partire dal 1983 ospita questo club di amanti del whisky scozzese chiamato The Vaults. A fine anni ottanta Leith non era affatto un gioiellino, una località dove recarsi di sera in serenità come adesso, non aveva ricevuto il sostanziale risanamento di cui gode ora, del resto è sufficiente leggere qualunque libro scritto negli anni ’90 da Irvine Welsh o Ian Rankin per rendersene conto compiutamente. Per fortuna il locale è situato più verso l’interno, distante dal porto che al tempo era la zona peggiore. Ad accompagnare i partecipanti c’è il general manager della scuola d’inglese, un membro della S.M.W.S. Quel giorno Maurizio riceve quello che io chiamo il grande e potente schiaffo, assaggiando l’Ardbeg imbottigliato dal club. I polifenoli contenuti, tutti quegli aromi legati al fumoso e nel caso specifico al catrame sono virulenti, e dapprima ne è sorpreso poi infettato. Terminati gli studi, prima di tornare in Italia, il virus ha ben attecchito: desidera visitare quella distilleria. Telefona al padre per dirgli che ha piacere a passare una decina di giorni su Islay, l’isola che ospita la distilleria di Ardbeg e altre che producono i cosiddetti whisky torbati, e se lo supporta finanziariamente. L’isola de che? gli risponde il genitore che tuttavia lo accontenterà. Maurizio era ignaro di un particolare: la distilleria in questione ha subito, a causa della ingente recessione economica di quegli anni, un lungo periodo di mothballed, di messa in naftalina, in parole povere di chiusura momentanea, iniziata esattamente il 23 marzo 1981 e protrattasi fino alla riapertura con nuovi proprietari nel novembre 1989. Quindi la trovò serrata.

In quei 10 giorni domicilia in un appartamento che affaccia sul golfo di Port Ellen gestito da una gentile signora di mezza età, con la quale rimarrà in buoni rapporti anche negli anni seguenti, e che eleva la sua cortesia fino a prestargli l’automobile per girare l’isola in lungo e largo, per vedere Kildalton Cross e le altre attrazioni del luogo o sentire i suonatori di cornamusa che in aperta campagna celebrano in note il termine della pioggia. Visita la distilleria di Laphroaig e tuttora rammenta e preserva un Ardbeg 10 anni per il quale spese 23 sterline acquistato presso la Spar del paesino di Bowmore: fu il suo primo whisky comprato.

Al rientro in Italia porterà con sé l’amore per il distillato di malto scozzese contagiando, fenomeno che conosco in prima persona, le persone che gli sono vicino, un sentimento che a distanza di sette lustri è tutt’ora intatto e che sviscera con molta energia e vitalità (ricordandomi il mio passato, il mio presente, e chissà se sarà anche il mio futuro).

Col ristorante aperto quattro anni fa, Maurizio ha coronato il sogno di poterle mettere in mescita per gli eventuali clienti interessati, anche se è palese che il primo è proprio lui stesso. Una buona rappresentanza di ulteriori distillati accresce la proposta complessiva, e in definitiva il mio personale parere a proposito del premio raggiunto è che sia ben più che meritato.

Perché diciamolo, una volta per tutte: avere numericamente una offerta di distillati non è affatto difficile, è sufficiente acquistare. La differenza la fa la scelta e la conoscenza, e qui ho trovato entrambe oltre, un plus non di poco conto, a molte espressioni del passato rare e difficili da trovare in assaggio e non capitate lì per caso, e che tanti di noi avrebbero venduto per monetizzarne il valore.

In conclusione Maurizio Criscuolo è un folle, senza possibilità di recupero, un entusiasta del whisky scozzese alla massima potenza che sono costretto a frequentare, poiché l’ho cercato in ogni luogo, lungamente, e infine ho trovato chi è più folle di me.

 

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Pino Perrone, classe 1964, è un sommelier specializzatosi nel whisky, in particolar modo lo scotch, passione che coltiva da 30 anni. Di pari passo è fortemente interessato ad altre forme d'arti più convenzionali (il whisky come il vino lo sono) quali letteratura, cinema e musica. È giudice internazionale in due concorsi che riguardano i distillati, lo Spirits Selection del Concours Mondial de Bruxelles, e l'International Sugarcane Spirits Awards che si svolge interamente in via telematica. Nel 2016 assieme a Emiko Kaji e Charles Schumann è stato giudice a Roma nella finale europea del Nikka Perfect Serve. Per dieci anni è stato uno degli organizzatori del Roma Whisky Festival, ed è autore di numerosi articoli per varie riviste del settore, docente di corsi sul whisky e relatore di centinaia di degustazioni. Ha curato editorialmente tre libri sul distillato di cereali: le versioni italiane di "Whisky" e "Iconic Whisky" di Cyrille Mald, pubblicate da L'Ippocampo, e il libro a quattordici mani intitolato "Il Whisky nel Mondo" per la Readrink.

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