IL VINO DEL RICORDO
Cioè quello che non si scorda mai… Inevitabilmente, come il primo amore, è il primo vino importante (comprato da me per me): compivo 18 anni fatidici, era un Barolo 1964 – Cordero di Montezemolo.
Ma io faccio gli anni poco dopo Ferragosto. E scolarsi (programmaticamente da solo: il proposito era quello) un Barolo in spiaggia sotto la canicola era roba tosta anche per un pischello di (mal)educazione sessantottina come il sottoscritto, e già aduso anche a qualche stravizio. Morale: bevuta rinviata. E bottiglia sdoganata in inverno, giusto prima di Natale. Aperta (con i riti prescritti), bevuta in un’ora, crollato a letto fulminato… con un ricordo incancellabile di cassetto di comò di zia Felicita, e in primo piano quelle note di rosa dolcemente asciugata e polverosa (e friabile al tatto) che ho risentito poi in vari Barolo (soprattutto dei Cannubi) in anni successivi, ma poi sempre meno, sempre meno… come se quel sentore fosse passato di moda proprio come i cappellini della zia Felicita. L’ho risentito però, mescolato a una nota di legno pastoso (oggi, più esperto, direi: forse oud, allora non sapevo) in una circostanza speciale e anch’essa memorabile: accompagnando sottobraccio (privilegio straordinario) svariati decenni dopo un mito del cinema italiano e della mia gioventù, Claudia Cardinale, a prendere un premio alla carriera nel salone di Donnafugata, dove aveva girato il “Gattopardo”. Avrei voluto dirglielo. Ma come si fa a dire a una delle donne più belle e desiderate nella storia del mondo (ancora bellissima allora, per me, malgrado gli anni passati): signora, lei ha un profumo meraviglioso, sa di Barolo? Mi astenni. Tanto più che ero in casa di produttori siciliani tra i più bravi, i Rallo (cui sono per sempre debitore di quegli attimi fantastici). Ma, poi, più di una volta – confesso – me ne son pentito…
IL VINO CHE VORREI IN REGALO
Non metto limiti né di geografia né di genere, né tantomeno alla provvidenza… Ma quello che vorrei in regalo è un vino – purché buono e vivo – del 1952. Il mio anno. Un millesimo davvero non troppo felice per le tipologie che amo di più, e di cui è arduo trovare esemplari in forma. Due, in realtà, ne ho avuti: un Marsala mitico della Florio, Riserva e Botte speciale, commovente davvero (ma coi liquorosi e/o dolci, si sa, il gioco è un filo più facile) e un Rioja. Semplice e incredibile. Dono, quello, di Maurizio Menichetti, alias “Caino”, cui una sera, a cena nel suo locale, gustando la cucina santa di Valeria e davanti alla sua carta dei vini pazzesca, avevo confessato il mio piccolo cruccio: di non potermi praticamente mai far festa con una boccia della mia età. Qualche tempo dopo (troppo perché ricordassi) mi squilla il telefono e una voce arzilla mi fa: ehi, grullo, veh che ce l’ho per te! E io, già immemore: ma che??!! E lui (Maurizio): ma il ’52, grullo! Sto tornando dalla Spagna, come s’arriva te lo stendo. Era il Monte Real Reserva delle Bodegas di Cenicero di cui (allego foto) serbo da allora, religioso, la boccia (vuota, claro…). Descrizione? Superflua. Era vivo. Sano. Buono. Magico. Perché ero io… rinato in bottiglia. Ps per me Caino, l’avrete capito, checché se ne dica, è un santo… e quanto a Abele, era un infido, e se l’è voluta…
IL VINO CHE REGALEREI
Potrebbe seguire elenco sterminato e rutilante, tessuto di grandi annate e cru prestigiosi, con dentro anche un po’ d’inevitabile sfoggio e snobberia (nessuno in questo nostro mondo imbottigliato ne è del tutto esente, e io non faccio eccezione). Ma non è così. Il vino che mi piace di più regalare (e lo dico con sincerità) è sempre l’ultimo che ho scoperto. L’ultimo asteroide da vino conquistato, l’ultimo che m’ha sorpreso (e che qualcun altro, ovviamente, mi ha aiutato a scoprire, perché è sempre così: stavolta l’amico e “professional” Angelo Vecchioni). Un vino folgore, dunque. Un vino apparizione. Buono perciò per Natale e anche… per l’Epifania (perdonate il giochetto etimologico da liceale anziano). E nella fattispecie trattasi, oggi e qui, di un sudista travestito da nordista, un siculo in renana da Riesling. E programmaticamente, direi. Perché è un Catarratto da vecchi alberelli (40-60 anni) che a modo suo rieslingheggia, già per questioni di quota (si autodefinisce: di montagna, e siamo a quasi 900 metri, e non sull’Etna, bimbi, ma sulle Madonìe). Si chiama Shiarà, e lo produce, attenta a ambiente, impatto, e solfitagggio (minimo, ancorché necessario) a Valledolmo la Castellucci Miano. Io ho assaggiato, e dunque regalerei, lo sfavillante 2016. Ma mi parlano di profondità di giacimenti aziendali che vanno fino a splendidi 2009, 2008, e via così. Esplorerò, giuro. E vi saprò dire. Così magari al prossimo Natale…
Aggiornamenti continui sul mondo dell'enogastronomia