Fare vino a 1.200 metri di altitudine, da un’uva autoctona coltivata nelle vigne più alte d’Europa, sotto il maestoso massiccio del Monte Bianco, non deve essere per niente facile.
Ci vogliono passione, pazienza e tenacia per lavorare in condizioni estreme: la neve, le gelate precoci e tardive che possono colpire a tradimento e pregiudicare le fatiche di un’intera annata, le temperature che spesso rendono difficile la maturazione (ed ecco perché gli impianti, in pietra e legno, sono organizzati a pergola bassa, per sfruttare il più possibile il calore rilasciato dal terreno…).
Eppure da più di cinquant’anni la Maison Vevey Albert valorizza questo territorio, la Valdigne, nell’Alta Valle d’Aosta, e il suo unico vitigno, il Priè Blanc, dal ciclo vegetativo abbastanza rapido, con germogliamento tardivo e maturazione precoce. Per lo più franco di piede, visto che quassù la fillossera non ha attecchito.
È in condizioni così peculiari che tramite l’ingegno dei fratelli Mario e Mirko Vevey, contagiati dalla passione trasmessa dal padre Albert, scomparso nel 1990, si riescono a realizzare un grande vino, il Blanc de Morgex et de La Salle, e un rarissimo vin de glace (icewine per gli anglofoni): il Blanc Flapì. Undicimila bottiglie in tutto, il 60% delle quali vendute all’estero. Ottenute da ben diciassette fazzoletti di vigna per un totale di 1,7 ettari.
Nello scorso luglio ho avuto il piacere di far visita a Mario Vevey, con il quale abbiamo parlato a lungo delle potenzialità commerciali del Blanc de Morgex, finora essenzialmente legate ai flussi turistici: secondo lui bisogna alzare un po’ i prezzi per valorizzare il marchio, io credo che anche un maggior gioco di squadra, con la cantina sociale ma soprattutto con gli altri piccoli vignerons indipendenti del territorio, ne aumenterebbe la notorietà finora assai ristretta.
Ho poi potuto apprezzare l’ultima annata dei due soli vini prodotti, e quelle che seguono sono le mie impressioni.
Valle d’Aosta Dop Blanc de Morgex et de La Salle 2018. Profuma di primavera: subito al naso un soffio di mineralità purissima, che ricorda la roccia di fiume, poi foglia di limone, fiori e frutta bianca, lieve scia di fresche erbe di montagna. Sorso scattante e di spiccata verticalità, un’autentica lama di acidità che si allunga con prepotenza in bocca, accompagnata da una rilevante sapidità, che invoglia a nuovo bicchiere. Buona persistenza.
Blanc Flapì. È uno dei pochissimi vin de glace prodotti nel nostro Paese, una vera specialità della zona. Le uve subiscono il congelamento invernale (che ne concentra gli zuccheri) e vengono pressate alla temperatura di -10°, dando vita a un nettare di buona alcolicità (14,5°) e 110 grammi/litro di residuo. Il bicchiere restituisce un vino che coniuga al meglio la spiccata acidità del vitigno con il classico calore avvolgente di un passito, garantendo freschezza e bevibilità. All’olfatto lievi cenni di frutta matura si intrecciano con fieno, grafite e un’impressione di idrocarburi. Al palato ha grande equilibrio e, di nuovo, molta sapidità, con una coda “dolce – non dolce” di indubbio fascino.
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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