Scrivere del Turriga vuol dire raccontare un momento fondamentale nella storia dei vini sardi. Fu la prima etichetta isolana, a fine anni Ottanta, a oltrepassare il Mediterraneo e a raggiungere grande fama nel “Continente” (così spesso i sardi appellano l’Italia peninsulare) e poi il mondo. La decisione di produrre un grande vino da invecchiamento era frutto di coraggio e ambizione perché andava del tutto controcorrente: all’epoca la CEE offriva generosi incentivi a chi espiantava le viti, e in regione la gran parte dei viticoltori conferivano alle cooperative o al massimo producevano sfuso.
Gli artefici del Turriga furono Antonio Argiolas, il patriarca fondatore della cantina di Serdiana, assieme ai figli Franco e Giuseppe e a Giacomo Tachis, allora già celebre per aver “inventato” Sassicaia, Tignanello e San Leonardo, tra gli altri. In questo caso fu scelto un blend strettamente legato alla tradizione: 85% Cannonau, 5% Carignano, 5% Bovale, 5% Malvasia Nera, con uve da viti che oggi raggiungono il mezzo secolo di età, allevate ad alberello su marne calcaree, a 250 metri s.l.m., sferzate dal maestrale che assicura le giuste escursioni termiche. Con l’accortezza di variare il momento della raccolta dei vari vitigni assecondando le caratteristiche di ogni annata. Percentuali mai mutate, neppure quando a Tachis subentrò l’attuale enologo di casa Argiolas, Mariano Murru, che era stato fino ad allora il suo principale collaboratore. Fermentazione in vasche di cemento, affinamento in barriques nuove per 18-24 mesi e almeno un altro anno in vetro prima della commercializzazione.
Durante l’ultimo Wine Festival di Merano Antonio Argiolas, nipote del fondatore, ha presentato una ricca verticale di sei annate del vino-bandiera di famiglia. E ha spiegato: “Il blend da varie uve in realtà faceva già parte della tradizione vinicola del Basso Campidano. Il Cannonau dona alcol e struttura, la Malvasia Nera tannini e acidità, il Carignano rotondità ed eleganza, il Bovale (parente stretto del Cagnulari e della Barbera sarda) frutto e polifenoli”.
Ma ecco le mie impressioni sui vini.
Turriga IGT Isola dei Nuraghi 1998. Secondo Antonio “uno dei tre migliori Turriga degli anni Novanta, assieme a ‘95 e ‘97”. Inverno di piogge abbondanti, basse temperature in primavera hanno rallentato la fioritura. In quella sola annata fu scelto di raccogliere le uve in surmaturazione, ma a giudicare dal bicchiere che ho davanti non c’è nessuna deriva amaroneggiante. C’è invece un frutto incredibile, tonico, rosso e succoso, che sopravvive sia al naso che in bocca. Spettro aromatico complesso, con sottobosco, cenni balsamici e di spezie dolci, note di cuoio, radici, tabacco da pipa, cassetto della nonna. Beva robusta ma sciolta, con tannini ormai perfettamente integrati. Ancora vispo, anche se presenta già cenni di evoluzione nel finale salmastro, che indicano forse l’inizio della fase calante. 91
Turriga IGT Isola dei Nuraghi 2004. Affumicato al naso, con pepe, grafite, mirto e liquirizia, un residuo di cacao e caffè tostato; struttura di tutto rispetto, abbondanti tannini che ancora mordono, finale di more, ciliegie sotto spirito e macchia mediterranea. Un vino cremoso, di struttura quasi imponente e dalla chiusura leggermente asciugante, dove è forse il legno a lasciare ancora traccia di sé. 89
Turriga IGT Isola dei Nuraghi 2007. All’olfatto è fresco, sottile e mentolato, con cenni di ribes, inchiostro, ginepro e chiodi di garofano. Tannino finissimo e risolto, grande dinamica gustativa, finale piccante e minerale con frutto in primo piano e caffè sullo sfondo. Leggermente vegetale ma di grande slancio, equilibrato e incisivo, è il suo magic moment. La sorpresa della giornata: buonissimo. 93
Turriga IGT Isola dei Nuraghi 2011. Profumi di sandalo e salsedine, spezie (noce moscata), tostatura, con sfumature vegetali e di macchia. Palato tonico e giovanile, sapido e cesellato, solo un po’ frenato da tannini ancora irruenti. Anche qui grande espressione di frutto in chiusura, dalle sfumature più severe di cuoio e liquirizia. In bocca è simile al 2007, forse appena un po’ più caldo e meno lungo in persistenza. 92
Turriga IGT Isola dei Nuraghi 2013. Annata abbondante e calda, uve molto mature. Naso balsamico, erbe aromatiche (rosmarino), aghi di pino e mirto, con sfumature minerali. Sorso ancora aggrappato al tannino ma grande seconda parte di bocca, elegante e succosa, con polvere di caffè e prugne fresche nel lunghissimo finale. Oggi il migliore, anche perché la freschezza fruttata rilancia in chiusura e invoglia a un nuovo bicchiere. 95
Turriga IGT Isola dei Nuraghi 2015. Profuma di confettura e spezie (pepe bianco), macchia mediterranea e cenni tostati. Beva più dolce delle annate precedenti, dal frutto spinto, segnale di una vendemmia molto calda; tannino vivace ma abbastanza morbido. Persistente e un po’ alcolico, leggermente amaro, deve distendersi. Ancora quasi ingiudicabile. (89-91)
Nato nel Luglio del 1969, formazione classica, astemio fino a 14 anni. Giornalista professionista dal 2001. Cronista e poi addetto stampa nei meandri dei palazzi del potere romano, non ha ancora trovato la scritta EXIT. Nel frattempo s’innamora di vini e cibi, ma solo quelli buoni. Scrive qua e là su internet, ha degustato per le guide Vini Buoni d’Italia edita dal Touring Club, Slow Wine edita da Slow Food, I Vini d’Italia dell’Espresso, fa parte dal 2018 della giuria del concorso Grenaches du Monde. Sogna spesso di vivere in Langa (o in Toscana) per essere più vicino agli “oggetti” dei suoi desideri. Ma soprattutto, prima o poi, tornerà in Francia e ci resterà parecchi mesi…
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