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SECONDO SEMINARIO ASSAGGI – SALONE DELL’ENOGASTRONOMIA LAZIALE DI VITERBO

Dopo avervi parlato qualche giorno fa del primo seminario (link) dedicato a “I vini di assaggi. Un calice di territorio” che si è tenuto durante la seconda edizione di Assaggi – Salone dell’Enogastronomia Laziale di Viterbo, è il momento di raccontarvi il secondo incontro condotto sempre da Carlo Zucchetti, coadiuvato dai produttori presenti in sala, dal titolo “I vini di assaggi. Partenze e arrivi, vitigni storici e migranti”.
Prima di arrivare ad un’esaustiva interpretazione dell’argomento, sappiamo bene come nel mondo vinicolo si discuta da tanto tempo su vari temi, ci sono tante mode e tanti modi di pensare al vino, come utilizzare le barrique o le anfore sia una moda o meno, lieviti indigeni o selezionati, questioni di solforosa. Ma la verità è che la cosa più importante è beneficiare di storie e racconti considerati come un mezzo efficace per raccontare e trasmettere non solo un territorio ma anche tutto il contesto sociale e culturale in cui opera un’azienda.
I vini in un certo modo contribuiscono alla crescita delle regioni in maniera proporzionale e complementare, di contro un territorio che racconta bene la sua storia, la sua vocazione, offre al vino una comunicazione gratuita, reale, invitando al consumo anche le fasce più esigenti.
In questo incontro si sono confrontate referenze provenienti dalle varie zone della Tuscia viterbese suddivisa in 12 microaree prevalentemente di origine vulcanica, con un vino nativo di un un’area completamente differente, quella dell’Agro Pontino dove è ubicata l’Azienda Casale del Giglio. Si tratta di una pianura di origine alluvionale molto fertile, bonificata tra il 1926 e il 1937 con non poche difficoltà e costituita da depositi alluvionali e marini.

La pianura dell’Agro Pontino

In fin dei conti, quando si parla di vino è fondamentale non farlo solo in termini di produzione, poiché come si evince non è una condizione univoca, da interpretare in un unico senso, ma spesso ci si riferisce alle tante sfaccettature, tante idee, tanti saperi, tante conoscenze di un territorio, in maggior misura attraverso l’assaggio di quello che lo rappresenta: il vino.
La storicità e la migrazione sono eredità lasciateci dagli Etruschi. Mentre la vite allevata ad alberello basso rappresenta una forma di coltura specializzata greca (come a Lampedusa, Santorini), quella cresciuta alta su alberi veri e propri, è una forma di allevamento tramandata dal popolo etrusco e consentiva al contempo la coltivazione dei cereali. La vite selvatica, arbusto lianoso, si arrampicava con i tralci naturalmente fra le chiome degli aceri, dei pioppi, degli olmi senza interferire con la vita stessa dell’albero (esempio l’alberata dell’Asprinio d’Aversa in grado di superare i 20 metri di altezza), tradizione che continuò a vivere per millenni fino ai nostri giorni.
Perché migranti? La storia ci racconta che dall’Armenia la vite si diffuse dapprima in Tracia poi, grazie ai Fenici, alla Grecia e successivamente in Italia, inizialmente nelle colonie della Magna Grecia per poi arrivare nelle regioni centro-settentrionali ad opera degli Etruschi. Per cui i Greci plasmarono la viticoltura del sud d’Italia e della Francia mediterranea, gli Etruschi influenzarono quella del centro e del nord d’Italia, Roma compresa. I Romani, più tardi, estesero la sua coltivazione nei territori dell’Europa centrale, portandola anche in aree che non avevano mai visto prima la vite. Ancora oggi abbiamo testimonianze di navi dove a bordo non c’erano solo le anfore vinarie etrusche consentite per gli usi commerciali, ma anche le marze e i semi. Grandi navigatori e mercanti quali erano, portarono la cultura del vino in molte parti del mondo.

Quindi “migranti” ovvero vitigni che sono usciti dai confini, anche italiani, si sono trasformati e sono tornati a casa in qualche modo.
A tal proposito, ci piace citare il grande lavoro fatto da Aldo Lorenzoni, fondatore dell’Associazione G.R.A.S.P.O, e da alcuni enologi che hanno e continuano ad attraversare l’Italia alla scoperta di vitigni “reliquia”, autoctoni sconosciuti, abbandonati o a rischio estinzione che si trovano un po’ ovunque, pronti a tornare a nuova vita.
Anche in Tuscia, nella Riserva Naturale di Monte Rufeno, è stato ritrovato e analizzato dal Crea di Conegliano Veneto un vitigno autentico legato alla storia e alla tradizione del territorio aquesiano che non era catalogato; in un primo momento chiamato “Empibotte” per la sua enorme capacità di riempire la botte e successivamente ribattezzato Greco Puntinato.
Anche nella zona del Frusinate sono stati riscoperti il Lecinaro, il Maturano e altre migliaia di vitigni definiti storici proprio perché si sono fermati in un luogo, ma che poi sono stati coltivati in altre parti d’Italia. Come il Grechetto, altro vitigno antico che troviamo in cinque regioni italiane, il Trebbiano, il Roscetto e il Bellone, il Moscato di Terracina che è un clone particolare di Moscato divenuto Doc, il Cesanese (diviso in 3 zone: Piglio DOCG, Olevano Romano Doc e di Affile Doc) che è stato piantato anche sull’Etna e in Toscana. Insomma vitigni memorabili che sono migrati in giro per l’Italia e per l’Europa per merito anche della Chiesa, dei commercianti e nei tempi moderni, negli ultimi 500 anni, per il mondo grazie alla pastorizia.

Ecco i vini che abbiamo degustato alla cieca:
Il Vepre 2016 – Lazio Rosso Igt dell’Azienda Vinicola Vigne del Patrimonio è un Cabernet Franc in purezza che fermenta per 25 giorni a temperatura controllata, affina 12 mesi in barrique di primo e secondo passaggio e riposa ulteriori 18 mesi in bottiglia prima della sua uscita.
Un calice inconfondibile che esprime subito al naso, così sincero, un frutto rosso pieno e croccante con accenni di humus, spezie fini, dall’impronta vegetale. Gusto ricco in lenta evoluzione, di liquirizia e cioccolato, con tannini scalpitanti in via di integrazione, sorretto da una grande sapidità e una lunga vena acida a chiudere in persistenza. Destinato a regalare emozioni con il tempo.
L’Azienda prende il nome dall’antica denominazione della provincia di Viterbo, ai tempi in cui faceva parte dello Stato Pontificio, denominata “Patrimonio di S.Pietro”. Siamo nella regione castrese, a Ischia di Castro per l’appunto, a pochi passi dal Lago di Bolsena dove i vigneti, abbarbicati sulle pendici vulcaniche tra i 200 e i 250 metri di altitudine con esposizioni sud/sud est verso il lago, garantiscono la produzione di Pinot Nero e Chardonnay, le basi indispensabili per lo spumante metodo classico – la vera passione di Michele e Rosa Capece – e il Cabernet Franc che sta dando ottimi risultati. Un terreno calcareo, vulcanico, con buona percentuale di limo, adatto a realizzare un’espressione molto interessante di Cabernet Franc, vitigno francese migrato in molte regioni italiane e nel mondo, probabilmente di origine illirica e progenitore del più famoso Cabernet Sauvignon, nato nel Medioevo da un incrocio spontaneo con il Sauvignon Blanc.
Comunque poi alla fine non conta tanto se è francese, italiano o greco, purché si adatti appropriatamente al suo terroir. L’obiettivo della Cantina è stato proprio quello di capire cosa mettere a dimora su questo terreno, in questo ambiente, per realizzare un vino interessante, elegante.


Rosa Maria Angela Capece ci racconta: “Sono una grande visionaria, soprattutto per quanto riguarda l’esperienza che ho fatto con il metodo classico, ma anche con questo vino rosso che non era previsto nel nostro progetto perché volevamo produrre in particolare bollicine. Dagli studi che abbiamo effettuato preimpianto con la consulenza del professor Marco Esti, Ordinario di Enologia alla Facoltà della Tuscia, ci siamo resi conto che c’era una piccola parte dell’appezzamento di nostra proprietà che sicuramente era più indicato per un rosso.
Abbiamo piantato nella vigna oltre Pinot Nero e Chardonnay per gli spumanti, una piccolissima quantità, circa 7000 metri, di Cabernet Franc e realizzato con molta cura, molta attenzione questo prodotto che adesso avete nel bicchiere. Pensate quanto tempo serve a questo vino per esprimersi e ancora non è completamente espresso. Poi incidono anche gli aspetti delle varie annate, questa 2016 è stata un’annata un po’ complessa che però ha dato al vino subito una sua freschezza, una sua prontezza, rispetto alla 2015. Adesso sta per uscire il 2017, però è il tempo la grande ricchezza, la grande opportunità che dobbiamo dare al vino, non dobbiamo avere fretta per capire bene cosa ci può regalare. Stiamo lavorando, stiamo studiando ancora tutto il progetto e speriamo di crescere e di migliorare sempre.”

Il Petit Manseng Igt Lazio 2022 di Casale del Giglio, è un vitigno della Jurançon, zona dei Pirenei, utilizzato solitamente per vini dolci insieme al Gros Manseng, in questo caso vinificato in bianco da uve ben mature, con breve macerazione a freddo e lunga permanenza sui lieviti.
Un calice di grandi profumi molto fresco che racconta questo grandioso vitigno, dal piglio aromatico che racchiude sentori di ananas, lime, pesca, delineando nel tempo effusioni di spezie orientali ed erbe officinali.
Dallo spiccato carattere  nel binomio parte fresca e parte matura, incisivo nel sorso dettato da tanta sapidità e mineralità con un finale a tratti armonico e profondo.  Casale del Giglio si trova in località Le Ferriere, in provincia di Latina, vicino all’antica città di Satricum, a pochi chilometri a sud di Roma e a poca distanza dal Mar Tirreno che arricchisce le uve con le sue brezze fresche e salmastre. L’azienda è di proprietà della famiglia Santarelli, una famiglia che inizia il suo percorso nel mondo del vino con il mestiere del vinaio. Il bisnonno dell’attuale proprietario Antonio Santarelli era un mercante di vino di Amatrice alla fine del 1800. Poi nel 1914 la famiglia aprì il primo negozio di olio e vino e come tanti amatriciani iniziò ad interessarsi anche al mercato romano aprendo in seguito altri punti vendita. Si vendeva perlopiù lo sfuso ma non solo. In effetti, dal listino del 1935 che abbiamo tra le mani, ritrovato casualmente poco prima del sisma, riprodotto e che rappresenta una sorta di memoria storica, si evidenzia come negli anni ’30 a Roma erano già presenti etichette particolarmente interessanti.


Questo fino al 1957, anno in cui Esselunga aprì il primo supermercato in Italia e a seguire tanti altri, cominciano a cambiare le abitudini alimentari degli italiani,  e c’è più interesse per le bottiglie. Nel tempo le attività vengono cedute e alla fine degli anni ’60. Dino Santarelli con visionarietà decide di investire in questa zona dell’Agro Pontino, che all’epoca rappresentava un ambiente vergine e tutto da esplorare, acquisendo l’azienda agricola già avviata con allevamento di bestiame e produzione di foraggio.
Oggi parliamo di una delle realtà vitivinicole più rinomate e ben radicate nel territorio laziale con i suoi 200 ettari vitati, produttrice di vini legati alla storia del territorio che parte dagli anni ’20, quegli anni in cui i bonificatori arrivavano dal Veneto, dall’Emilia Romagna portando le tre varietà prodotte poi in grande quantità per coprire il consumo dell’epoca (Merlot, Sangiovese e Trebbiano). Anche se poi nell’Agro Pontino non c’erano varietà autoctone presenti da 100/150 anni, la storia vitivinicola è stata creata nel tempo.

È il tempo in cui il professor Attilio Scienza, insieme ad uno staff tra agronomi, enologi, docenti universitari avvia nella zona un progetto di sperimentazione e ricerca mettendo a dimora 57 vitigni. Tre gli ettari dedicati allo studio del territorio, dieci anni per individuare i vitigni più adatti alle condizioni naturali, fisiche e chimiche della zona geografica e solo 15 delle 57 varietà autoctone e internazionali risposero in maniera soddisfacente. L’obiettivo, che ha portato risultati sorprendenti, è stato quello di valorizzare e interpretare le varietà alloctone nel terroir laziale, uve dal respiro internazionale che si sono perfettamente adattate, a differenza delle autoctone della regione coltivate nella pianura che, a parte il Bellone, non davano risultati qualitativi rispondenti alle aspettative.
Così per ovviare al problema, parte il progetto di recupero delle varietà autoctone nelle loro zone di origine, come sull’isola di Ponza con le vigne di Biancolella,  o la vigna di Bellone antico di 60 anni alle Falasche di Anzio, coltivato a piede franco. Successivamente è la volta del Cesanese, in merito alla collaborazione dell’Enologo trentino dell’Azienda, Paolo Tiefenthaler, con i colleghi delle zone di Piglio, Olevano Romano, Affile.
Ma c’è ancora un sogno nel cassetto: le bollicine.
Ad Antonio Santarelli viene in mente Amatrice. Dopo il sisma, nel 2018, viene piantato un ettaro di Pecorino. Oggi Amatrice fa parte della provincia di Rieti, ma fino agli anni ’30 la regione era aquilana e Amatrice abruzzese. Ci vorrà ancora del tempo prima che questa bottiglia completi la vasta gamma di referenze prodotte. Per Casale del Giglio, dal momento in cui si pensa un vino al momento in cui si produce, passano almeno dieci anni. Intanto è alla terza vendemmia.

Petit Manseng Casale del Giglio

Il Vermentino Igt Lazio 2021 “Zamathi” (dall’etrusco oro) viene prodotto dalla Cantina Terre di Marfisa, Azienda di Farnese, località dell’Alta Tuscia Viterbese ricca di testimonianze etrusche, regno della nobiltà romana e per ultimo, ma non di poco conto, epicentro di una storia di famiglia, quella della Famiglia Clerici e del podere dedicato alla nonna Marfisa.
Vermentino vinificato in purezza, dalle bassissime rese, adattato ottimamente al terreno di natura vulcanica di matrice tufacea che dona mineralità, caratteristica peculiare di questi suoli, e sapidità dovuta alla vicinanza al mar Tirreno che dal poggio, in linea d’aria dista 30 Km e la cui brezza accarezza costantemente le uve.
Dall’iniziale chiusura in se stesso, riscaldato un pò nel calice racconta l’idea chiara del produttore, di un vino fresco, elegante, dall’impronta olfattiva agrumata, di ananas con leggeri richiami alle erbe aromatiche. Il timbro gustativo, dai sospiri iodati, è contrassegnato da un frutto integro, un appeal leggiadro e ben delineato, dalla lunga e ampia persistenza salina.

Zamathi Terre di Marfisa

Il “Poggio del Cardinale” Est! Est!! Est!!! di Montefiascone Dop 2021 di Antica Cantina Leonardi, è composto dal 50% Procanico, 20% Malvasia bianca, 30% Roscetto. La prima parte della fermentazione è condotta in acciaio a temperatura controllata, verso la fine circa il 30% dell’intera massa termina in barrique la fermentazione e l’affinamento per alcuni mesi.
Nel bicchiere si colgono piacevoli e intensi profumi fruttati di albicocca, di uva passa quasi di vinaccia, di frutta a guscio quasi surclassati da una parte erbacea preponderante. L’ingresso in bocca del sorso è molto fresco, citrino, sapido, dinamico, dalla spiccata mineralità. È un vino di media struttura che ha bisogno ancora di affinarsi, di allungarsi, con una spalla acida scostante rispetto all’impianto complessivo del vino. Lungo finale di mandorla.

Poggio del Cardinale di Antica Cantina Leonardi

Montefiascone, paese attraversato dalla via Francigena, si erge in posizione strategica, a 600 metri di altitudine sulla sponda sudorientale della Catena dei Monti Vulsini, da dove si può ammirare una vista mozzafiato e un tramonto strabiliante sul Lago di Bolsena, il più grande lago d’Europa di origine vulcanica originatosi dall’esplosione di un possente vulcano in tempi preistorici. Un luogo ricco di storia e una tradizione di famiglia lunga oltre un secolo.
L’Azienda, la più antica e prestigiosa del luogo, nasce agli inizi del ‘900 da Domenico Leonardi. Giunta oggi alla quarta generazione, ha visto nell’ultimo secolo un susseguirsi di profondi cambiamenti. Il nuovo vigneto, di 24 ettari, si trova sulle colline circostanti il lago dove sono presenti vitigni internazionali e autoctoni. La storica Cantina si completa con ulteriori 11 ettari situati nel comune di Graffignano al confine con l’Umbria.
Chiudiamo la degustazione con il “Terre Palus” Lazio Vermentino e Viognier Igt 2022, prima annata per l’Azienda Agricola Anna Elisei che nasce nel 2006 a Tarquinia, nella maremma laziale, cittadina graziosa sede di importanti insediamenti della dodecapoli etrusca. Undici ettari situati nella località Pantano di Sopra, il cui territorio, come suggerisce il nome, un tempo era una palude, in prossimità del mare, ma che oggi, grazie agli interventi degli agricoltori, è un terreno fertile, fossilifero dove rinvenire gusci di conchiglie.
L’azienda per anni si è occupata solo di prodotti cerealicoli e ortofrutticoli. Nel 2019, dalla collaborazione con esperti, con l’impianto di un vigneto coltivato a Vermentino e Viognier è nata anche la produzione vitivinicola. Il Viognier è una varietà a bacca bianca originaria della Valle del Rodano che si è diffusa nel Lazio in maniera esemplare proprio perché ama il clima caldo dove riesce ad esprimersi con risultati degni di nota.

Terre Palus dell’Azienda Agricola Anna Elisei

In effetti in questa comunione torreggia il Viognier che gioca sui profumi più intensi di albicocca, su leggere sensazioni esotiche, di agrumi che in qualche modo abbracciano in sottofondo i sentori del Vermentino con i fiori di campo, le erbe spontanee e la pesca gialla. Un vino di mare che regala tanta freschezza e un vino vulcanico che mostra una maggior sapidità rispetto all’acidità, dalla beva semplice, lineare, immediata, la meno complessa della batteria. Un bianco da assaporare nel tempo, quel tempo che servirà solo a migliorarlo.
Anna Elisei racconta: “Quest’anno abbiamo fatto questa intesa, 60% Vermentino e 40% Viognier, un vino lasciato a riposare 8 mesi in botti di acciaio refrigerate e subito dopo imbottigliato. Abbiamo prodotto soltanto 1200 bottiglie, ma appena avremo la giusta quantità proveremo a fare il Vermentino in purezza e il Viognier in purezza. Per ora abbiamo fatto Terre Palus, speriamo di continuare, la passione c’è”.

 

 

 

 

 

 

 

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Sono un'Archivista Digitale nel campo editoriale, dedico la mia vita ai libri perché come dice Kafka "un libro rompe il mare ghiacciato che è dentro di noi". Così lo è anche il vino. Lui mi ha sempre convinto in qualsiasi occasione ed è per questo che dal 2018 sono una Sommelier Fisar, scrivo e racconto con passione sui miei canali e in varie testate giornalistiche la storia dei territori, gli aneddoti e il duro lavoro dei Produttori in vigna e in Cantina. Ho seguito un corso Arsial al Gambero Rosso Academy sulle eccellenze enogastronomiche del Lazio e presto servizio in varie eventi per il Consorzio Roma Doc e per il Consorzio Tutela Vini Maremma. Inserita con orgoglio in Commissione Crea Lab. Velletri come membro esterno per le degustazioni, sogno e aspiro a diventare con il tempo una vera giornalista.

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