L’Italia è piena di vulcani, alcuni ancora attivi, altri ormai spenti da millenni. Tale “comunicazione” richiederebbe un degno approfondimento, perché raccontare un vino ed un’azienda significa, anzitutto, parlare dei suoi luoghi. Quanto sia forte il legame tra le due componenti, perlomeno nei territori della Roma Doc, è davvero difficile a dirsi.
E non può valere la solita storia di Roma caput mundi, ormai ampiamente desueta per mille motivazioni che non staremo qui ad affrontare. A chi scrive importa soltanto lo sforzo economico delle cantine locali nel cercare di recuperare terreno da un passato costellato di criticità nel tentativo, ad esempio, di creare un serbatoio italiano di uve da rivendere per il tramite delle enormi Cooperative Sociali ad altri territori.
Silvia Mingotti di CantinAmena e Tullio Galassini presidente Consorzio di Tutela Vini Roma Doc
Non ne fa mistero nessuno, neppure Tullio Galassini, presidente del Consorzio di Tutela Vini Roma Doc. Persona affabile e pronta a confrontarsi con gli operatori del settore, stampa inclusa, sa comprendere le perplessità attorno ad un progetto di rilancio globale che è appena agli inizi e che necessita della fermezza degli attori protagonisti.
Utile, dunque, un’analisi libera e approfondita di un intero comparto con l’arrivo in loco di giornalisti pronti a visitare aziende e, appunto, territori nascosti. Un plauso va a chi ha saputo organizzare ottimamente le visite, scandite da ritmi incessanti per consentirci di avere un quadro esaustivo dei progressi fatti, come le agenzie Mg Logos e Gheusis.
È il caso, dunque, di cominciare da Silvia Mingotti e della sua famiglia di CantinAmena. Da quel 23 gennaio 2004, anno di acquisto della proprietà da parte del padre Valeriano, di strada ne ha fatta grazie anche a validi consulenti come Fabio Ciarla per la cura dell’immagine e gli enologi Giacomo Cesari e Valentino Ciarla. Circa 30 mila bottiglie prodotte con 14 ettari vitati a disposizione. Interessante il lavoro svolto sugli autoctoni laziali come Malvasia Puntinata e Cesanese, frutto delle scelte di attuare rese bassissime per ettaro e non intervenire in cantina durante le fasi di maturazione, mantenendo al massimo la tipicità dei varietali di provenienza.
Divitia Malvasia Puntinata 2021 si muove sinuoso su erbe officinali, pompelmo e fiori gialli. Note terragne e minerali sul finale, vino dallo spettro gustativo tipicamente vulcanico. La 2019 è straordinaria con profumi che rimandano alle densità mielose e tostate rinvenibili in tanti capolavori nostrani. Meno espressivo il Roma Doc Rosso, proposto in una verticale di 4 annate ove la 2019 ha primeggiato anche in questo caso. Tanta materia da arancia sanguinella e sensazioni iodate, forse sacrificate nella svolta tannica irruente.
Da Campoleone di Lanuvio ci spostiamo di pochi chilometri per arrivare da Tenimenti Leone, proprietà di Federico Veronesi di Signorvino. Quaranta ettari vitati in un areale dove prevaleva la coltivazione di ulivi per produrre olio lampante. Si cerca l’attenzione di un preciso mercato di riferimento, quello dei giovani alle prime esperienze con il mondo del fermentato d’uva. Uno stile in chiaroscuro, non sempre espressivo per il varietale di riferimento.
Ad ogni modo, un paio di positive eccezioni le ritroviamo nel De Coccio Igp 2020 da Trebbiano Verde in purezza e vinificazione in anfora. Spinta calorica d’impatto, cui segue un’ottima balsamicità con chiusura di cera d’api e tamarindo. Buono anche il Cesanese Tera de Leone 2021, succoso e dinamico nei ricordi di liquirizia e crème de cassis.
La Giannettola ed il suo enologo Angelo Giovannini rappresentano invece il concetto di vitivinicoltura di medie dimensioni con gli oltre 45 ettari vitati, utilizzati per due terzi da conferitori di altre realtà. Dal 2017 hanno optato per una piccola rivoluzione nel campo ed in cantina per ottenere maggiore qualità. Nonostante gli sforzi apprezzabili, il gap è ancora elevato rispetto ad alcuni competitori. Positiva l’espressione del Cesanese “Il frangente” 2020, delicato e finemente estrattivo con un corredo da humus boschivo e frutta scura.
Chiudiamo nei pressi di Nettuno, con Casa Divina Provvidenza, fondata nel 1821 e presa in mano, dopo varie vicissitudini, da Fernando Cosmi e le sue due figlie, che l’hanno acquisita direttamente dalla Santa Sede. Qui il Bellone viene chiamato localmente (e per disciplinare della Doc Nettuno) “Cacchione”, vitigno duttile dalle mille risorse in termini di acidità e sapidità.
Gli investimenti economici sono evidenti, così come i locali curati e ben predisposti alle varie fasi produttive. Quantitativi ragguardevoli, pari ad oltre 550 mila bottiglie annue, imbottigliando sostanzialmente l’intero raccolto vendemmiato. Il Roma Doc Bellone 2021, con un prezzo irrisorio di appena 9 euro in tenuta, gode di sapidità inebriante su nuance da agrumi gialli ed erbe aromatiche.
Incredibile anche il Roma Doc Rosso 2021, blend quasi alla pari di Montepulciano e Cesanese, succoso e delineato verso ciliegia matura e pepe in polvere. Una qualità media complessiva davvero impressionante e con un grande futuro davanti.
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
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