1953 “Annus Librandis“. Inizia la storia di una leggendaria famiglia di produttori calabresi (giunta ormai oggi alla quarta generazione), che cambierà per sempre il volto enologico di questa splendida regione per certi versi ancora selvaggia ed inesplorata.
Quando incontro il quarantaduenne Paolo, mio coetaneo, nasce una intesa immediata, grazie ad una innata capacità umana ed imprenditoriale di trasmetterti la sua passione per il vino ed il territorio in cui nasce.
Que Cirò, che abbiamo già menzionato in un precedente articolo (link) a proposito di alcune espressioni “artigianali” e che ora affrontiamo nuovamente visitando una autentica corazzata da ben 232 ettari complessivi ed oltre due milioni di bottiglie prodotte.
Non soltanto quantità, ma anche qualità e ricerca continua sui cloni; grazie agli studi di Librandi sono stati individuati ben 8 varietà di autctoni: 4 di Gaglioppo, 2 di Magliocco, 1 di Mantonico ed 1 di Pecorello (greco bianco).
Percorrendo la vasta sala dedicata alla pressatura e fermentazione, scopro in una nicchia ancora tracce dei locali di un tempo, quando tutto è cominciato. Serbatoi in acciaio inox alti a perdita d’occhio sovrastano un ambiente perfettamente ordinato e pulito, come le scuderie di un purosangue.
Le foto lungo le pareti raccontano una storia tramandata da decenni; innesti fatti rigorosamente a mano; di un progenitore ancestrale comune a tutti i vitigni dell’Enotria: il Mantonico Nero.
Si narra anche, però, di fatica contadina, nel voler coltivare una terra brulla e sciolta, dove la presenza di argille scure dal potere drenante la fa da padrone. Ecco perchè, nonostante un siccitoso caldo estivo, si riesce ad avere vendemmie piuttosto regolari e abbondanti.
Ma non finisce qui; Librandi per tanti anni è stata affiancata nella conduzione enologica da un autentico numero uno come Severino Garofano, padre dell’enologia moderna pugliese. Egli ha cercato, non sempre con successo, di perseguire la stessa filosofia attuata in Salento; purtroppo il Gaglioppo mal sopporta eccessive surmaturazioni in pianta, rispetto al Negroamaro e lo si poteva notare da vini sicuramente densi, ma troppo protesi a sensazioni caloriche scure, predominanti ed evolute, anche per un utilizzo del legno ben diverso dai canoni odierni.
Con l’avvento di Donato Lanati tutto si modernizza, seguendo l’incipit sempre vincente del “less is more”. C’è di più: si limita la coltivazione degli internazionali, ritornando a privilegiare i sempre validi autoctoni, di sicuro meglio rappresentativi del terroir.
Prima di avviarci alla consueta degustazione, incentrata principalmente su prodotti generati da questi vitigni, Paolo ci tiene a farci vedere il suo piccolo gioiello: la stanza di produzione del Metodo Classico sia versione bianca che rosè, con remuage rigorosamente a mano, senza utilizzo di giropalette.
Quel
Concludiamo il nostro interessante giro attraversando un ampio spazio dedicato esclusivamente alle etichette storiche, con alcuni vini che hanno fatto epoca in Calabria.
Adesso possiamo finalmente assaggiare i suoi vini, curiosi più che mai di scoprirne pregi, difetti e potenzialità.
Cominciamo dal Cirò Bianco DOC “Segno Librandi” 2019, che dimostra grande gioventù di naso e di bocca. Il Greco Bianco è fatto così, sembra facile da comprendere ed invece bisogna ragionare su annate ed evoluzione. Qui la potenza del frutto emerge ancora lievemente scomposta, con note più zuccherine e ricordi di lieviti che sicuramente andranno scomparendo con il giusto riposo in bottiglia. D’altro canto, Librandi stesso suggerisce da uno a tre anni prima del consumo, il che significa che non parliamo del bianco beverino da costume hawaiano e toga party (e per fortuna). La ginestra ed il fieno sono i markers floreali evidenti; segue frutta bianca polposa appena matura come pere williams e susine.
Proseguiamo con la versione rosa del Cirò DOC “Segno Librandi” 2019, da Gaglioppo in purezza. Della tipicità di questo vitigno resta la decisa componente fruttata, richiamante il lampone e la fragolina di bosco. Per il resto, come spesso accade per aziende di queste dimensioni, il gusto è proteso verso un’ampia diffusione commerciale e non se ne può fare un torto al produttore. La categoria già di per sé presenta difficoltà nell’inserimento di fascia per creare un vino “artigianale” come altri assaggiati. Gradevole e tanto basta, sopratutto in estate.
Efeso IGT Calabria 2019 Tenuta Rosaneti. Bello. Ecco il termine che nasce spontaneo pensando a questo vino nato da 100% Mantonico, allevato in agro di Rocca di Neto/Casabona. La fermentazione è in barrique, con conseguente affinamento di 8 mesi circa sulle fecce e relativo batonnage. Vi garantisco che non si sente non fosse per un riverbero di speziatura morbida sul finale di bocca. Di corpo ed intenso, naturalmente più tropical e da essenze floreali tendenti all’appassimento. Colpisce una mineralità salmastra in scia di chiusura decisamente persistente.
Il Cirò DOC Rosso “Segno Librandi” 2018 inaugura i tre assaggi dei red wines. Davvero interessante, segno che la 2018 pur essendo stata una annata meteorologicamente ballerina, in certe tipologie “easy” ha creato il giusto compromesso tra freschezze (necessarie) e struttura. Qui il Gaglioppo giganteggia, con quelle sue caratteristiche sensazioni di visciola e spezie dark, completate da richiami di liquirizia in stecco. Genuino, sincero, non gioca a nascondino, ma pretende di guidarti lungo un percorso fatto di sapori da macchia mediterranea.
La Riserva Cirò DOC “Duca Sanfelice” Rosso Superiore 2017 invece, ancora non sa bene cosa fare da grande. Le viti sono vecchie, ad alberello, memoria del tempo che fu. Come il base, non v’è presenza di legno in affinamento, ma solo acciaio e bottiglia. Vittima di una annata davvero torrida, al momento si concentra su note surmature di prugne, cassis e mirtilli. Total dark, chiosa su tabacco scuro, pepe in grani e liquirizia. Pecca in profondità, mancando una vera spalla acida che renda il sorso maggiormente dinamico.
Finiamo in bellezza con il “Magno Megonio” – IGT Calabria 2017, questa volta per valorizzare un altro autoctono spesso dimenticato: il Magliocco. Ha i caratteri di alcuni supertuscan di stampo bordolese, con una rispondenza tra olfatto e palato perfettamente coerente. La barrique si avverte, ma non è invadente. Aiuta invece il vino a smorzare alcune durezze, rendendolo piacevole in un corretto mix tra frutta rossa e nera quasi in cottura e balsamicità mentolate finali. Non disdegna l’utilizzo in meditazione, scevro dalla necessità di un abbinamento gastronomico.
Come disse Virgilio: “Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope“; capirete perchè alle ultime due locuzioni sia particolarmente legato..
Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.
Aggiornamenti continui sul mondo dell'enogastronomia