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IRPINIA – AZIENDA VITIVINICOLA CONTRADA MICHELE: LA STORIA CHE SI RIPETE

“Repetita iuvant” diceva un antico brocardo latino. La storia si ripete, potremmo tradurlo oggi, usando la fantasia ed osservando la trasformazione maturata negli anni da tante realtà del panorama vitivinicolo.
Il tema è proprio questo, nello scrivere i progressi dell’Azienda Vitivinicola “Contrada Michele“; fa sorridere il fatto che chiunque, me compreso, abbia sempre confuso fisicamente i fratelli Gerardo e Michele, sulla base della denominazione sociale.
Gerardo è la parte commerciale, “il volto” per così dire; Michele, più schivo, è perso tra le cure amorose dei suoi vigneti, “l’anima” dei Contrada. Giochiamo ancora con le metafore, dando il ruolo di “colonne portanti” a due figure femminili: la sorella Rita e Carmela (Carmen) Contrada, moglie di Gerardo, indispensabili nella fase di cantina e di accoglienza.

Carmela

Supportare e sopportare l’enorme impegno celato nella gestione di una realtà agricola di medie dimensioni, in un panorama che presenta ancora delle arretratezze ataviche, notevoli acredini e lacune, come quello del meridione irpino, non è semplice. L’unione familiare, quando spesso manca tra produttori a livello di Consorzi, fa però sempre la forza e la differenza.


Il Comune di Candida rientra tra quei 26 elencati per la produzione del Fiano di Avellino DOCG, compresi tra la Valle del Calore, la Valle del Sabato, le pendici del Partenio e le colline che guardano al Vallo di Lauro. Zona molto eterogenea, nella sua attuale conformazione fu già descritta nel 1642 dallo storico Fra’ Scipione Bellabona nei “Raguagli della città di Avellino”.
Per disciplinare la fascia più ampia, quella centrale, che comprende i territori comunali (da nord verso sud) di Grottolella, Montefredane, Avellino, Forino, Contrada, Cesinali ed Aiello del Sabato è caratterizzata principalmente da ceneri e pomici piroclastiche del II periodo flegreo sovrastanti argille, marne e tufi. Nella fascia occidentale, i territori di Sant’Angelo a Scala e Summonte vedono la presenza di arenarie con intercalazioni di marne; quelli di Ospedaletto d’Alpinolo, Mercogliano e Monteforte Irpino delle stesse cineriti della fascia centrale, anche in appoggio su calcari. Più articolata la fascia orientale: quelle stesse cineriti nei territori di Pratola Serra e Manocalzati riposano sopra argille, marne e talora gessi ed in quelli di Lapio ed Atripalda sopra argille varicolori con intercalazioni lapidee, che rappresentano anche il solo litotipo presente nelle aree di Montefalcione, Parolise e San Potito Ultra. A Salza Irpina e Sorbo Serpico, prevalgono nettamente argille marnose e sabbiose ed argille varicolori; in quello di Santo Stefano del Sole, Santa Lucia di Serino e San Michele di Serino principalmente depositi detritici, alluvionali e raramente calcarei.


E Candida? Ve lo racconto io, avendo avuto la fortuna di passeggiare tra i vigneti guidato da Carmen: argille piuttosto compatte di color giallo viranti al grigio, con affioramenti di pietre calcaree/marnose di colore biancastro (da cui il nome “Candida”) facilmente rinvenibili arando il terreno. Si consente un ottimo drenaggio nelle fasi asciutte stagionali e maggior potere irradiante in primavera, quando inizia il momento delicato della fioritura con la successiva allegagione ed invaiatura dei frutti.
Contrada è molto di più. I vigneti sono dislocati in diversi terroir: per l’Aglianico, ad esempio, Poppano e Montefalcione, unico comune assieme a Lapio a rientrare in due diverse DOCG (Fiano di Avellino e Taurasi).
Tanta passione, vissuta prima in qualità di semplici conferitori e successivamente, anno 2003, da vigneron professionisti. Impara l’arte e mettila da parte si direbbe; lo dimostra una assoluta padronanza di Gerardo della tecnica dei processi produttivi, per evitare minor interventi possibili in ciò che dovrebbe avvenire quasi spontaneamente.
Non significa necessariamente seguire un particolare protocollo, ma apprendere le antiche usanze di chi sapeva ascoltare la vigna, migliorando la qualità grazie ai progressi in campo enologico. Se poi si aggiunge la consulenza dell’enologo Carmine Valentino, conosciuto per creare prodotti sempre eleganti e fini, non manca davvero nulla all’appello.
La mia degustazione si è trasformata, al dunque, in una piacevolissima chiacchierata, intervallata da due autentiche rarità, che presto scoprirete.


Cominciamo dando spazio ai bianchi, da una personalissima interpretazione di un vino che adoro.
Irpinia Coda di Volpe Doc 2017 – sosta sei mesi sulle fecce fini, normale per questo particolare vitigno che ha bisogno di maggior calma ed estrazione rispetto ad pilastri irpini. Ne emergono essenze di cedro, fiori gialli, erbe aromatiche in stile salvia, rosmarino, lavanda. Il gusto è tipico da Coda di Volpe, con quelle sensazioni suadenti di frutta matura (pesca), note tostate unite a spezie pepate. Infine una macerazione di fiori bianchi dal sapor zuccherino/glicerico che rimanda agli aromi utilizzati nelle torte. In una sola parola: bello.
Fiano di Avellino DOCG 2018 – purtroppo è stato un annus horribilis per i Contrada; una terribile grandinata ha distrutto metà del raccolto agli inizi della vendemmia; ne risente sia per lunghezza che profondità. Toni decisamente verdi, di mela annurca poco matura, erbe di campo e foglia di pomodoro. Timido.
Fiano di Avellino DOCG  2017 – a questo serve degustare in verticale; differenza notevole, una annata “cicciotta”, ricca di esuberanza, spingente l’acceleratore verso note tostate di nocciola, noce moscata e mango polposo. Sorso terziarizzato su richiami di elicriso e bergamotto, dalla scia minerale nerboruta.
Fiano di Avellino DOCG “Selvecorte” 2015 – il loro storico Cru, tra i pionieri della denominazione, nel ricercare un single vineyard da proporre al consumatore. Potente, caloroso, come la ’17, solo più elegante e dinamico. Ancora giovane e balsamico da sbuffi di nepitella e rosmarino. Tostatura in polvere, pepe bianco, zenzero. Piccante al palato, concentrato e denso.
Fiano di Avellino DOCG “Selvecorte” 2003 – il vecchio saggio. Vi avevo avvisato di un paio di primizie ed ecco la prima. Il colore è un oro antico brillante, per nulla orange. Stupisce per essere un fantasma etereo piuttosto vivace e ben presente. Ginestre e camomille essiccate, scorzette agrumate, noci e frutta candita. Gusto finale di marzapane e cannella, altro non si poteva chiedere.


Passiamo ai rossi
Taurasi DOCG 2014 – rispetto ad altri territori si basa su meno spigolosità a vantaggio della rotondezza. Tannini agevoli, non soltanto dovuti ad un’annata fresca. Uno stile che esalta altre caratteristiche spesso tacitate. Petali di violetta, liquirizia, rabarbaro, caffè. Non te lo ricordi in eterno, ma ti piace, è versatile e adatto a mille usi e abbinamenti.
Ho parlato di rossi..non dimenticavo l’ultima “chicca” promessa, gli assaggi dalle botti grandi.

Aglianico atto a divenire Taurasi DOCG 2017 – seta pura. Antociani già armonici, gradevoli, persistenti. Amarene chiaramente percepibili unite a grani di pepe nero e tanto altro ancora.
Aglianico atto a divenire Taurasi DOCG 2018 – speriamo in una dei tanti capovolgimenti di fronte a cui il vino sa abituarci, perché al momento desta perplessità una nota sanguigna di evoluzione forse troppo prematura. Certamente più esile e delicato del precedente.


Aglianico atto a divenire Taurasi DOCG 2019 – non lo vorrei raccontare, rischio di spoilerare troppo. Dico solo questo: segnate l’annata in agenda e ricordatevelo. Strepitoso.

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Scritto da

Luca Matarazzo Giornalista- Sommelier AIS - Degustatore Ufficiale - Relatore corsi per la Campania.. Ha partecipato a numerosi concorsi enologici e seminari di approfondimento. Vincitore del Trofeo Montefalco Sagrantino edizione 2021 e del Master sull'Albana di Romagna 2022, Wine Consultant collabora attualmente con testate giornalistiche e blog importanti a livello nazionale.

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