Nel panorama dei vini italiani, poche regioni sono così caratteristiche e riconoscibili quanto le terre del Soave, con le loro suggestive colline di origine vulcanica. Uno dei progetti vitivinicoli più interessanti, volto ad evidenziare peculiarità e potenzialità del terroir locale, è “I Luoghi di Suavia”, la nuova linea di cru di una delle cantine più affermate del territorio.
La Cantina Suavia, di proprietà della famiglia Tessari da generazioni, non ha bisogno di lunghe presentazioni. Pluripremiata dalla critica e ricercata dagli appassionati, si trova nel cuore del Soave, sulle sue colline orientali, nel punto più alto della zona classica della denominazione. La sua storia affonda le radici nei primi anni del ‘900, quando gli antenati della famiglia iniziarono a coltivare le vigne e a produrre uve per la cantina sociale del paese. La svolta avvenne nel 1982, quando Giovanni e Rosetta Tessari, consapevoli del potenziale straordinario del loro territorio, decisero di intraprendere la vinificazione in proprio. In un gesto che simboleggia il loro profondo legame con la tradizione e la cultura locali, decisero di chiamare la cantina Suavia, il nome antico del paese di Soave.
Oggi, sono le tre sorelle Meri, Alessandra e Valentina Tessari a guidare l’azienda di famiglia. Nei circa trenta ettari dei loro vigneti, si coltivano in biologico esclusivamente varietà autoctone a bacca bianca: Garganega e Trebbiano di Soave, uve talentuose interpretate con rigore e rara sensibilità. “Ci eravamo accorti da tempo che da tre dei nostri vigneti avevamo delle uve e dei mosti particolarmente espressivi” – racconta con entusiasmo Alessandra, spiegando la genesi del nuovo progetto – “diversi da quelli che arrivavano da altre zone. Quando i tre terreni denominati Fittà, Castellaro e Tremenalto, sono entrati a far parte delle le zone storicamente riconosciute come vocate per la viticoltura all’interno del comprensorio del Soave Classico, e quindi ufficialmente inseriti all’interno del disciplinare di produzione come UGA (Unità Geografiche Aggiuntive), non avevamo più scuse. Era nostro dovere provare ad indagare a fondo le potenzialità di queste vigne, per capire se potessero darci dei vini particolari”.
“Si tratta di vigneti storici della nostra azienda”, continua,”situati nell’arco di un raggio di circa 3 km. Quindi non così distanti. La matrice di fondo, come in tutta la zona del Soave, è quella vulcanica. Allora ci siamo detti: prendiamo queste tre piccole vigne, facciamo una raccolta identica e una vinificazione identica, e vediamo che succede. L’idea era quella di azzerare il più possibile la variabilità del fattore umano e, quindi, di produrre tre vini in maniera più neutra e naturale possibile, in modo da far esprimere l’elemento distintivo, l’X-factor del territorio. Sappiamo che l’esito dipende da molte variabili: non solo il suolo, ma anche clima, altitudine, esposizione, età della vigna. Tutta una serie di fattori che potremmo riassumere con l’idea di “luogo”. L’elemento esogeno, determinante, è quello umano: e allora abbiamo pensato di neutralizzarlo il più possibile. Abbiamo fatto tre vinificazioni identiche, con stessa epoca di vendemmia e identico processo. I risultati sono stati vini che da subito hanno cominciato a prendere strade molto diverse, confermando i nostri sospetti iniziali e stuzzicando la nostra curiosità”
A quel punto, con l’aiuto di un geologo, le sorelle Tessari hanno iniziato ad indagare meglio il fattore suolo, scoprendo che nelle tre zone, seppur vicinissime, vi erano tre terreni di origine vulcanica molto diversi tra loro. La matrice è in comune, ma effettivamente la composizione è risultata essere molto, molto diversa.
“A Fittà il terreno è molto profondo, oltre i due metri, ricchissimo di argilla”, spiega Alessandra, “e quindi riesce a trattenere più acqua quando c’è siccità, ma rischia di diventare asfissiante quando invece piove molto. A Castellare, già a 80 cm, si incontra una roccia dura e compatta: un terreno quindi molto più magro, abbastanza ossidato, rossastro, e molto drenante. A Tremenalto, infine, il terreno fino non presenta traccia di roccia fino a due metri, ma a colpire è la colorazione: è praticamente arancione, molto leggero, segno di una ossidazione spinta, più tipica dei terreni tropicali che di quelli di alta collina. Abbiamo così imparato che parlare di terreno vulcanico in maniera generica è limitante; intanto, c’è grande differenza tra un terreno vulcanico come quello di Soave, formatosi milioni di anni fa, ed uno come quello dell’Etna, ad esempio, che è molto più giovane e ancora in trasformazione. Ma anche all’interno della stessa area, si ha una variabilità tale che andrebbe sempre indagato più in profondità, poiché si è formato in maniera violenta, scomposta, con esplosioni e assestamenti, che lo rendono assai più imprevedibile rispetto ad altri suoli”.
Tutto molto interessante, ma alla fine, come sono questi vini? Realmente le differenze dal punto di vista organolettico sono sorprendenti, con scostamenti dei parametri analitici (acidità, grado alcolico, etc..) che sono invece trascurabili.
Il Fittà ci è sembrato un vino molto aperto, più largo che lungo per capirci, di buona struttura, con una piacevolissima dolcezza di fondo ed una singolare aromaticità che potrebbe lasciar pensare a un piccolissimo inizio di muffa nobile. A Castellaro sono le spezie a predominare, pepe bianco su tutto, con un sorso equilibrato, persistente e di grandissima finezza. Tremenalto gioca invece su toni più caldi, di frutta matura e composta di mele cotogne, con grande acidità e potenza.
Se è vero che i tre vini hanno subito lo stesso processo di vinificazione, ci sono senz’altro altri fattori, come esposizione e microclima, che hanno potuto incidere sul risultato finale, per cui ci sembra un po’ prematuro addurre tutto solo al tipo di terreno. Inoltre, i vini sono relativamente giovani (3 anni) e quindi potrebbero avere delle caratteristiche latenti che solo il tempo potrà evidenziare. Però l’indagine è appena iniziata e la caparbietà e convinzione di Suavia porterà sicuramente a nuove scoperte, che permetteranno di capire meglio il “genius loci” dei loro terreni . Forse sta davvero tutta qui l’essenza del fare viticoltura.
Abruzzese, ingegnere per mestiere, critico enogastronomico per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri, con cui ancora collabora. Vino, distillati e turismo enogastronomico sono la sua specializzazione. Nel tempo libero (poco) prova a fare il piccolo editore, amministrando una società di portali di news e comunicazione molto seguiti in Abruzzo e a Roma. Ha collaborato per molti anni con guide nazionali del vino, seguendo soprattutto la regione Abruzzo (ma va?), e con testate enogastronomiche cartacee ed online. Organizza eventi e corsi sul vino...più spesso in Abruzzo (si vabbè...lo abbiamo capito!).
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